La Tardy e Benech e i primi scioperi industriali a Savona (1887 – 1889). Ci siamo già occupati della Tardy e Benech in due precedenti puntate su Trucioli.it. Il 18 gennaio 2024, abbiamo descritto i primordi della società: https://trucioli.it/2024/01/18/savona-pagine-di-storia-i-primordi-della-tardy-e-benech-come-e-perche-nasce-una-fabbrica-sviluppo-e-piu-residenti/
di Ezio Marinoni
Il successivo 25 gennaio, ci siamo occupati dello sviluppo dell’attività industriale nel contesto urbano savonese: https://trucioli.it/2024/01/25/savona-e-la-sua-storia-lo-sviluppo-della-tardy-e-benech-tra-il-1869-1885-rinascita-con-il-lavoro-e-di-ben-3-banche-della-citta/
In questa storia, siamo arrivati all’anno 1887; grazie al socio imprenditore Cottrau, che nel frattempo è entrato a far parte del Consiglio di Amministrazione, la Tardy e Benech ottiene una considerevole commessa, 30.000 tonnellate di rotaie per la costruzione delle linee ferroviarie della Sardegna, tra cui la Isili-Sorgono.
Cottrau aveva già ottenuto, per la propria azienda, la concessione dell’esercizio delle ferrovie sarde, insieme alla Banca di Torino, e con tale istituto costituisce la Società Italiana per le Strade Ferrate Secondarie della Sardegna. Possiamo ipotizzare che Cottrau abbia influito positivamente perché i lavori della ferrovia fossero appaltati alla Tardy e Benech, in cambio dell’acquisto della fabbrica in Savona della Impresa Industriale Italiana di Costruzioni Metalliche.
Sul nuovo sito, posto a sud del binario del porto, lo stabilimento si ammoderna e si ingrandisce rinnovando gli impianti con due nuovi altiforni Martin Siemens, nuovi apparecchi idraulici di sollevamento, un treno laminatoio per rotaie per il costo complessivo di un milione di lire. I nuovi altoforni entreranno in funzione, il 15 aprile del 1887 e con la loro prima colata di acciaio verranno realizzate le rotaie per le ferrovie Sarde. La produzione è aumentata di quattro volte rispetto a quella prodotta nel vecchio stabilimento al molo, e le materie prime necessarie per la produzione superano le 100.000 tonnellate, pari al 25% del movimento portuale.
Il dinamismo dell’azienda è inesauribile: negli Anni Ottanta, oltre alla produzione caratteristica, nel 1883 prendono parte alla costituzione della fabbrica di glicerina e dinamite in Cengio, da cui si svilupperà il grande complesso chimico dello stabilimento ACNA. Nel 1889, insieme ad Augusto Galopin, costituiranno la Società Anonima per l’Acquedotto di Savona.
In questo periodo la Tardy e Benech dà lavoro a 1.500 persone.
Nell’ottobre del 1887 la ditta tedesca Bochumer Verein invia una delegazione in Italia, alla ricerca di un accordo commerciale e di partnership: la Tardy e Benech verrà preferita alla Società degli Alti forni, Fonderie ed Acciaierie di Terni.
La produzione si sviluppa nella fabbricazione di rotaie su vasta scala. Nel 1889 si raggiunge una produzione annua di acciaio di 60.000 tonnellate, di cui 50.000 di rotaie. Dopo lo stabilimento degli Altiforni e Acciaierie di Terni risulta il più importante e nella produzione di lamiere, verghe angolate e tonde è al pari dello stabilimento umbro.
La concorrenza sul mercato metallurgico è, comunque, assai forte, sia rispetto all’isola d’Elba che al colosso francese Creusot. L’amministrazione della Tardy e Benech, nel tentativo di abbassare i prezzi dei propri prodotti, interviene sui salari dei propri occupati e nella riduzione del personale addetto ai forni e ai cilindri.
Queste scelte portano i lavoratori dello stabilimento, il 20 di agosto del 1888, a proclamare quello che diventerà il primo, grande sciopero della fabbrica e di Savona.
Ci descrive quella giornata Marcello Penner, nella sua monografia Dall’usina Tardy al grande stabilimento Tardy e Benech (1860-1892), edito dalla Società Savonese di Storia Patria, nei suoi Atti e Memorie, nuova serie, vol. XLIII:
«Quella mattina 600 operai dello stabilimento Tardy e Benech attraversarono, in corteo, le vie del centro recandosi dal sottoprefetto Maccaferri per esporre le loro ragioni. Il sottoprefetto promise agli operai di intercedere presso i proprietari. Il giorno dopo aderirono allo sciopero altri operai e nel pomeriggio si radunarono oltre un migliaio di scioperanti sulla spianata dell’antico cimitero dei Cappuccini.
Poco dopo le quattro ebbe inizio l’assemblea presieduta dall’operaio Antonio Ferro, dopo aver discusso la situazione l’assemblea nominò una commissione delegata a trattare composta da L. Massarola, A.Taddei, G. Martini, I. Boero, A. Sguerso, A. Ferro, Rosini, Donda, Erloc. Le richieste formulate furono le seguenti: 1) ristabilire la vecchia tariffa e il personale addetto ai forni; 2) l’aumento della paga ai manovali, portandola a 3 lire giornaliere; 3) che i capi e i sorveglianti delle squadre vengano occupati al lavoro con gli operai.
Il sottoprefetto Maccaferri, mantenne l’impegno preso e consultò i due industriali Tardy e Benech. Questi incontrarono il giorno dopo una delegazione degli operai. Evaristo Benech propose tariffe di lavoro a favore degli operai, ma restò fermo sulla riduzione del personale. La delegazione portò le proposte al vaglio dell’assemblea nel pomeriggio del 23 agosto riunitasi al Politeama Garibaldi, erano presenti 1200 lavoratori, l’assemblea respinse la proposta aziendale e venne accolta all’unanimità quella dell’operaio Massarola di continuare lo sciopero generale.
Tra gli operai c’era comunque molta incertezza e nei due giorni seguenti pochi alla volta, circa 850 operai, tornarono al lavoro e gli altri li seguirono il giorno 27. Forse, anche minacciati dal manifesto, appeso dalla Tardy e Benech ai cancelli d’ingresso della fabbrica, che comunicava che già 600 operai si erano recati al lavoro e che entro le sei di mattina di lunedì 27 agosto chi non si presentava cessava di far parte del personale dello stabilimento; e quel giorno tutti i 1.700 operai della Tardy e Benech tornarono al lavoro.»
La miccia della rivolta si era accesa e lo spirito della rivendicazione e della giustizia sociale si era insinuato nell’animo dei lavoratori, con la coscienza di essere sottopagati.
Leggiamo ancora, dalla citata ricerca di Marcello Penner: «L’anno successivo il 16 maggio, i duecento operai dell’acciaieria, a seguito del mancato aumento del salario promesso dai proprietari, entreranno in sciopero. L’azienda risponderà in modo duro dichiarando il licenziamento degli stessi scioperanti ormai in lotta da sette giorni, a cui aveva dato la propria solidarietà la Fratellanza Operaia Savonese.
Il giorno 24 lo sciopero si estese anche agli altri operai della fabbrica e numerosi, in 1.500, raggiunsero la nuova piazza d’armi, sulla sponda destra del Letimbro, dove era indetta l’adunanza per deliberare sulla condotta da tenersi. Sul luogo sopraggiunse il 29° reggimento di fanteria per le esercitazioni e gli ufficiali invitarono gli operai a sgombrare la piazza. Senza alcun incidente gli operai si ritirarono e l’assemblea ebbe luogo nel letto del torrente Letimbro. L’assemblea decise di nominare una commissione con a capo Nicolò Duce, e di avanzare delle richieste ai signori Tardy e Benech e la continuazione dello sciopero. Le richieste formulate furono le seguenti: riammissione al lavoro degli operai licenziati, l’accettazione della nuova tariffa giornaliera presentata dagli operai, che il lavoro appaltato alle imprese esterne fosse effettuato dai lavoratori dello stabilimento e la nomina di un arbitrato formato da persone esterne alla fabbrica di quattro rappresentati per parte, al fine di risolvere le divergenze tra azienda e operai. Lo sciopero scosse molto l’opinione pubblica e su quei giorni di grande tensione intervenne anche l’onorevole Adolfo Sanguinetti deputato eletto nel collegio di Cairo Montenotte. Il 31 maggio l’azienda accettò le richieste operaie e al Politeama Garibaldi gli operai riuniti in assemblea decisero di porre fine allo sciopero tra un’ondata di grande entusiasmo e di “Viva il Lavoro”.»
Rispetto allo sciopero, strumento di usuale lotta sindacale e rivendicazione dei diritti, si può dire che in Italia la lotta operaia in fabbrica nasca insieme alla agitazione alla Tardy e Benech? Forse sì… Registriamo, infatti, i primi scioperi fra gli agricoltori padani nel 1884, degli edili nel 1887 e operai del 1888; a questi seguiranno lo sciopero dei metallurgici nel 1891 e i Fasci siciliani nel 1889-1894.
In tema legislativo e giuridico, soltanto nel 1889 il Codice Zanardelli affermerà la non punibilità dello sciopero quale strumento delle lotte nel mondo del lavoro.
Savona antesignana, quindi, nel diritto allo sciopero? La risposta affermativa non vuol essere partigiana o parziale: in questo ci aiuta anche il prezioso lavoro di Rodolfo Badarello, Cronache politiche e movimento operaio nel savonese 1850-1922, nel quale l’autore inquadra il precedente e primo sciopero dei Calafati del 1871, all’interno della crisi dell’industria cantieristica savonese.
Ezio Marino