Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La mia lode al Pandolce alla Genovese. Le due versioni tradizionali risalgono ai tempi degli Egizi e dei Greci. Gli antichi rituali e la filastrocca


U pandöçe ci riporta al passato, nella solenne atmosfera delle grandi occasioni e nel ricordo delle tradizioni familiari. Proprio il giorno di Natale e la sua presentazione ai commensali seguiva in passato un vero e proprio rito, codificato fin dai tempi più remoti.

di Tiziano Franzi

Il pandolce genovese è un profumatissima preparazione ligure, tipica del periodo natalizio e simile nell’aspetto al panettone, anche se la consistenza è differente. Ne esistono, come vedremo in seguito due versioni altrettanto tradizionali: quella più alta e quella più bassa: il pandolce basso, realizzato con il lievito chimico, più semplice da preparare e caratterizzato da una certa friabilità, e il pandolce alto, morbido e soffice come un panettone grazie all’utilizzo del lievito madre.

Tra storia e leggenda- Andando indietro nel tempo possiamo far risalire le sue origini ai tempi degli Egizi e dei Greci. Già allora, infatti, si preparavano dei dolci con cereali, miele e spezie per offrirli agli dei (e non solo per quello)

Secondo lo storico genovese Luigi Augusto Cervetto (1854-1923), il pandolce genovese deriverebbe da un dolce persiano a base di frutta secca, pinoli e canditi. Che Genova avesse importato davvero questa ricetta dall’Oriente non è certo: sicuramente però già nell’undicesimo secolo, in occasione della Prima Crociata, Genova aveva stabilito le sue basi nel Mediterraneo orientale.

E i Genovesi potrebbero aver tratto ispirazione dalla Persia (basti pensare alla maggiorana, persa in genovese) dove il suddito più giovane all’alba di Capodanno porgeva al Sovrano un grande pane dolce a base di canditi, miele e mele da dividere fra i commensali.

Non è certo che Genova abbia davvero importato dall’Oriente questa ricetta, ma è fuori di dubbio che già nell’undicesimo secolo, in occasione della Prima Crociata, aveva stabilito le sue basi nel Mediterraneo orientale. Create per dare appoggio a una spedizione militare queste basi sarebbero quindi diventati porti commerciali che avrebbero fatto conoscere agli abitanti della Repubblica nuovi cibi, come l’uvetta sultanina, e nuovi modi per conservarli, come il processo di canditura. Probabilmente i bottini di guerra, conquistati durante le discese in Terra Santa, non furono solo di natura materiale ma anche gastronomica.

All’apice della sua potenza, Genova espanse il proprio raggio d’azione navigando attraverso il mediterraneo e stabilendo snodi commerciali un po’ ovunque.

Ecco allora che non risulta difficile credere che i commercianti genovesi dopo aver gustato qualche prelibatezza mediorientale, abbiano provato a ricreare tali sapori una volta tornati a casa.

Dunque prima che il Duca di Milano assaggiasse la prima fetta di panettone (il pan de Toni, si dice creato a seguito di un errore di impasto del cuoco di corte) , nelle case dei genovesi le pagnotte erano arricchite con uvetta, canditi e pinoli. Il risultato era un pandöçe, una ricetta che nel tempo sarebbe diventato il re indiscusso del rito natalizio ligure.

Così venne codificato il pandolce genovese nella versione alta, affiancato poi, qualche secolo più tardi, dalla moderna versione bassa.

Il rito della tradizione- In passato il pandolce era un dolce natalizio piuttosto povero, fatto usando solo farina, olio, miele, uva passa, acqua di fiori d’arancio, semi di anice e lievito naturale. Attualmente sono state aggiunte le scorze di arancia e cedro candite. Inoltre il burro ha preso il posto dell’olio e lo zucchero quello del miele.

Il pandolce è quindi il risultato di una tradizione antica e anche irrinunciabile presenza sulle tavole dei genovesi (e oggi non solo di essi) proprio il giorno di Natale e la sua presentazione ai commensali seguiva in passato un vero e proprio rito, codificato fin dai tempi più remoti.

Il pandolce era portato in tavola dalla donna di casa, con sulla cima un ramoscello d’ulivo che lo “incoronava“. Toccava a quel punto al più giovane della famiglia l’onore di togliere il ramoscello e di lasciare poi il posto al più anziano. Secondo il rito, “il più anziano” (il capofamiglia) tra i commensali affettava “o pandöçe” e assegnava le porzioni, intonando questa filastrocca:

“Vitta lunga con sto’ pan! Prego a tutti tanta salute, comme ancheu, anche duman,
affettalu chi assettae, da mangialu in santa paxe, co- i figgeu grandi e piccin, co- i parenti e co- i vexin, tutti i anni che vegnia’, cumme spero Dio vurria’.”

Alla moglie spettava il primo assaggio, poi veniva distribuita una porzione per ciascun commensale, quindi i pargoli. Visionate le loro letterine, si alzavano in piedi sulla sedia, recitando la loro poesia. Poi aveva inizio la festa in famiglia.

Questa pagnotta rappresentava quindi la speranza di una vita lunga e felice sotto la protezione di Dio. Una speranza che doveva essere condivisa anche con i poveri, ai quali era sempre destinata una fetta. Due fette erano invece conservate: una per essere offerta al primo viandante che bussasse alla porta, la seconda per essere consumata il 3 febbraio, per onorare San Biagio (protettore della gola).

Alcune di queste usanze sono un po’ anacronistiche, ma non gli abbinamenti con i vini, in primis quelli di Coronata o lo Sciacchetrà.

Il Pandolce genovese, a seconda del Paese in cui è consumato, ha assunto altri nomi:
dal nostrano “Pan do bambin” sanremese, al “Londra cake” britannico o al “Genoa cake” statunitense, fino al “Selkirk bannock“, una versione scozzese molto apprezzata dalla Regina Vittoria.

La ricetta/

Ingredienti

  • burro: 100 gr
  • zucchero: 100 gr
  • farina “00”: 400 gr
  • sale ½ cucchiaino
  • uvetta: 100 gr
  • arance candite: 100 gr
  • pinoli: 80 gr
  • lievito chimico in polvere per dolci: 20 gr
  • semi di finocchio: q.b.

    Preparazione

    1- Riducete a cubetti l’arancia e il cedro candito e nel frattempo tagliate a piccoli pezzi il burro a temperatura ambiente.

    2- In una planetaria riunite il burro, lo zucchero, la farina setacciata, il lievito in polvere, un pizzico di sale. Impastate ad una velocità media.

    3- Dopo pochi minuti aggiungete la frutta candita, l’uvetta, i pinoli e i semi di finocchio.

    4- Continuate ad amalgamare bene gli ingredienti nella planetaria fino a quando il composto sarà morbido e omogeneo.

    5- Terminata la lievitazione di circa 2 ore, su un piano da lavoro iniziate a compattare l’impasto lavorandolo con le mani e cercando di dargli una forma tondeggiante.

    6- Appiattite leggermente la parte superiore del dolce fino a conferirgli l’aspetto di un panettone basso e disponetelo su una teglia foderata con carta forno. Decorate la superficie del pandolce incidendo delle linee diagonali che evochino la forma di un rombo.

    7- Cuocete il pandolce in forno statico preriscaldato a 1400°C per circa 40/45 minuti.

    Ogni famiglia genovese, un tempo, custodiva la sua ricetta “segreta” del pandolce. Tutte le versioni avevano comunque in comune la lunga lievitazione (pare che alcune signore lo mettessero sotto le coperte vicino allo scaldino). Per farlo cuocere veniva portato al panettiere di fiducia. Fino ai primi del ‘900 le pasticcerie preparavano il pandolce su ordinazione per coloro che venivano da fuori e volevano portarlo a casa. Oggi il pandolce è conosciuto ben oltre i confini della Liguria: negli Usa e a Londra viene chiamato Genoa cake; altrove Genoise.

    Anticamente il pandolce veniva prodotto in una versione più alta rispetto a quella moderna, più simile al panettone, più morbido, lievitato naturalmente e meno ricco d’ingredienti. La versione “bassa”, più recente, è più elaborata ed ha un’alta percentuale di zucchero e burro. Vengono anche aggiunte le nocciole. Naturalmente ognuno ha la sua versione, con qualche variante, ma qui non siamo in un forum di cucina ;)…

    Interessante un aneddoto legato alla frutta candita. Il processo di canditura, di cui le popolazioni arabe furono precursori, permette di conservare la frutta immergendola in uno sciroppo di zucchero. Questo procedimento si rivelò fondamentale per prevenire lo scorbuto, una malattia che affliggeva chi intraprendeva lunghi viaggi per mare, causata dall’assenza di vitamina C. Prima dell’utilizzo di questo metodo era impossibile conservare frutta sulle navi, in quanto bene alimentare di facile deperibilità. La frutta candita, invece, poteva durare a lungo e consentiva ai marinai di mantenere una dieta equilibrata.

    In ogni caso, come già detto, non esiste la ricetta perfetta per il Pandolce alla Genovese , ma è importante la scelta delle materie prime e alcune scelte nella preparazione come, ad esempio, l’uso del burro fresco o ammorbidito a temperatura ambiente, dell’uvetta idratata oppure no e la successione degli ingredienti nell’impasto, per il giusto equilibrio fra materia grassa, zuccheri e materie inerti: questi determinano la qualità del il risultato finale , che dev’essere un pandolce croccante e morbido al momento stesso.

    Una curiosità: l’uva sultanina-

    L’uva passa (chiamata anche uvetta o, uva sultanina[) è una varietà di uva sottoposta a un procedimento di essiccazione. In Medio Oriente viene narrata la leggenda che questa uva fu inventata casualmente quando il sultano dovette abbandonare l’uva che stava mangiando al sole per sfuggire da una tigre e quando tornò a riprenderla notò che era imbrunita e migliorata nel sapore, da allora l’uva essiccata venne detta “sultana”.

    L’uva sultanina ha origine greca, turca o iraniana. È un’uva bianca caratterizzata dal possedere acini piccoli, senza semi ed alto contenuto di glucidi. Gli acini si presentano di colore verde chiaro sebbene, giunti ad un elevato grado di maturazione, possano assumere una colorazione ambrata ed un elevato grado di contenuti zuccherini.

    Questa uva è molto dolce per l’elevata concentrazione di zuccheri. Se viene conservata per lunghi periodi gli zuccheri si cristallizzano all’interno degli acini. Ciò rende i frutti sabbiosi, ma non incide sull’utilizzabilità del prodotto: per decristallizzarla è sufficiente immergerla per qualche minuto in un liquido (alcol, succo di frutta o acqua bollente) al fine di sciogliere lo zucchero. Nel caso si desideri farle acquisire morbidezza, ossia ottenere una parziale reidratazione degli acini, per l’uso in cucina e pasticceria, va immersa solo in acqua, in quanto l’uso di liquori a forte gradazione alcolica impedisce la reidratazione.

    Verosimilmente prende il nome dalla città Sultania, o Soldania, oggi Sudak), nella penisola della Crimea, antico porto commerciale veneziano e genovese sulla via della seta.[3] Il termine “uva sultanina” sembra comparire in italiano per la prima volta intorno al 1860 in testi commerciali, e si riferisce ad una qualità delle uve passe importate da Smirne.[4] Attualmente la Turchia e l’Australia sono i maggiori produttori di questa uva.

    Esistono diverse varietà di questa uva, tra cui:[5]

  • Uvetta di Corinto: di colore bluastro-nero e solitamente proveniente dal Medio Oriente
  • Uva sultanina: quella più comune, coltivata anche in Italia e di colore giallo-dorata
  • Uva di Smirne: proviene dalla città omonima e presenta un colore scuro con dimensioni maggiori rispetto alla classica uva sultanina
  • Uva di Malaga: di colore più chiaro ed è riscontrabile anche in Italia
  • Uva passa con la varietà Moscato o Zibibbo: si tratta di un’uva dolce, prodotta in Sicilia

    Il campionato- Il 12 novembre 2023 si è tenuto a Genova il primo “Campionato del pandolce genovese basso” che ha visto la partecipazione di 87 concorrenti, dai 18 ai 92 anni, esperti o neofiti, che si sono confrontati in una gara in contemporanea, alla presenza del pubblico.

    Dopo una non facile decisione la giuria ha scelto la giovane Elisa Vittoria Cevasco di Genova Bargagli, che ha ricevuto premio e attestato dal sindaco di Genova metropolitana, Marco Bucci.

    Tiziano Franzi


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