Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La scomparsa abbazia fruttuariense di San Benigno di Capo di Faro, a Genova. I reperti visibili nel restaurato chiostro di San Giuliano d’Albaro


L’abbazia benedettina di San Benigno, di Capo di Faro a Genova, sorgeva sullo scomparso colle che divideva gli attuali quartieri di Sampierdarena e di San Teodoro. Il suo nome era Capo di Faro, un lungo altopiano terminante repentinamente sul mare.

di Ezio Marinoni

L’abbazia avrà anche possedimenti in Corsica, isola che i monaci fruttuariensi contribuiscono a rievangelizzare, «… in capo di Promontorio l’antica abbazia di S. Benigno, in la quale giace il corpo del venerabil Beda. … E sotto l’abbazia, verso mezzogiorno, è la torre ossia mezza torre della Lanterna, edificata su uno scoglio, nominato Capo di Faro.» (Agostino Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, 1537)

Il complesso ha origine da una chiesetta dedicata a S. Paolo, sorta all’inizio del XII secolo sul colle di Promontorio, che in seguito sarebbe stato detto “di S. Benigno”, affidata a monaci benedettini di Fruttuaria, oggi nel comune di S. Benigno Canavese, fra Torino e Ivrea (1).

Nel 1132 i monaci ottengono in dono, da famiglie nobili, terreni per ampliare la chiesa e costruire un monastero. La chiesa romanica, in pietre squadrate, ha tre navate e cappelle laterali; per la sua posizione lungo la via di accesso alla città da ponente, al convento viene annesso un “ospitale” per pellegrini e viandanti.

Nel 1155 il convento è elevato al rango di abbazia, intitolata ai santi Benigno e Paolo; pochi anni dopo rimane soltanto l’intitolazione al santo e martire Benigno. Intorno al 1217 nell’abbazia si segnala Sinibaldo Fieschi, futuro Papa Innocenzo IV (2). Il complesso monastico vive momenti di splendore, grazie a donazioni e lasciti, a cui si alternano periodi di difficoltà, come nel 1411, quando i monaci sono decimati da un’epidemia di peste; pochi anni dopo, insorgono gravi difficoltà economiche e necessità di restauri, per cui San Benigno passa alle dipendenze del monastero di S. Gerolamo della Cervara, vicino a Portofino (3).

Più volte coinvolto in episodi bellici, subisce gravi danni nel 1319, nel corso delle lotte tra guelfi e ghibellini; di nuovo nel 1514, per le vicende belliche che coinvolgono l’adiacente fortezza “Briglia”, quando viene semidistrutta la primitiva Lanterna, ricostruita nelle forme attuali nel 1543.

Nel XVI secolo vi è una ripresa; accanto all’hospitale sorge una scuola umanistica e il complesso si arricchisce di opere di molti artisti: Lazzaro Tavarone, Giovanni Andrea De Ferrari, G.B. Carlone, G.B. Paggi, Domenico Fiasella, Domenico Piola e Giovanni Montorfano.

Abbazia San Giuliano 1914 (foto Archivio Chierici)

In un dipinto di fine Cinquecento, la vediamo come appariva nel secolo precedente, grazie alla copia di un dipinto, effettuata da Cristoforo Grassi (4) nel 1597. Si tratta di una delle più antiche rappresentazioni di Genova: il dipinto raffigura la partecipazione di Genova alla “riconquista di Otranto“, con una dovizia di particolari che descrivere perfettamente il porto di quell’epoca.

Nel 1633, con la costruzione delle “Mura Nuove“, inizia il declino: il pianoro su cui sorge il monastero è inglobato nelle mura, a diretto contatto con eventuali assedianti, sul piazzale antistante è collocata una batteria di cannoni. L’abbandono definitivo avviene nel 1798, quando i monaci si trasferiscono a S. Nicolò del Boschetto (5), a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi emanate dalla Repubblica Ligure napoleonica. In seguito, fra spregio e indifferenza, non sarà risparmiato neppure quello che si era salvato dai rivoluzionari francesi e i resti degli abati finiranno in mare insieme alle tombe medievali. L’edificio, spogliato delle opere d’arte e degli arredi, dal 1818 è inglobato nelle strutture militari, poi adibito a deposito di munizioni, con il campanile utilizzato come torre per segnalazioni a distanza. Intorno al 1850 quanto resta dell’antica abbazia è demolito per costruire due grandi caserme, anch’esse scomparse nel Novecento, con lo sbancamento del colle per l’apertura di corso Italia. Prima di questa modifica all’assetto urbano e viario, l’abbazia era un luogo isolato, che si arrivava soltanto dal mare o attraverso “creuze” collinari. Fino al 1935 vi rimangono i monaci benedettini, poi l’abbazia viene dichiarata non più fruibile, ed arriva l’ultimo abbandono. Nell’ultima guerra mondiale diventa quartier generale tedesco, con la costruzione di un bunker, poi ospita la Croce Rossa e sfollati di guerra. Nel 1965 quel che rimane dell’abbazia è venduto a una società immobiliare, seguono vent’anni di contenziosi e un ulteriore abbandono, infine il complesso perviene al Demanio che inizia un complesso restauro, in parte compiuto. In una parte dell’edificio ora si trova il Nucleo Tutela Carabinieri, un’altra parte diventerà un museo, la casa dei cantautori, a poca distanza da Boccadasse e dalle stanze abitate da Gino Paoli e altri della scuola genovese.

Qualche opera d’arte ci racconta che cos’era questo luogo. In una litografia di inizio Ottocento si nota la fortificazione francese sui resti dell’antico monastero fruttuariense: la base della torre, usata come vedetta militare, nel XIX secolo mantiene i resti del campanile romanico. A metà Ottocento, l’abbazia è disegnata in una litografia di Alfred Guesdon (Nantes, 1808-1876): ormai in rovina, a destra si nota ancora la cappella di S. Paolo.

Il suo immenso patrimonio librario è andato in gran parte disperso. Quel che si è salvato, prima dell’abbattimento, è stato trasportato nell’abbazia di Casalbordino, in Abruzzo, dove D’Annunzio colloca la corsa degli storpi verso una proiezione immaginifica del miracoloso.

E sono ancora le opere d’arte ad unire passato e presente, l’abbazia scomparsa e quella restaurata: San Benigno di Capo di Faro si lega, quindi, strettamente a San Giuliano di Albaro.

Nella chiesa, ancora in corso di restauro, la cappella di sinistra era della famiglia Adorno; la sua cancellata proviene da Capo di Faro, dopo essere stata ritrovata presso un antiquario, dopo inimmaginabili peripezie successive alla distruzione e spogliazione. All’interno della cappella, l’altare in marmo ha la stessa provenienza e il suo paliotto era fronte e retro, poi viene segato a metà, una delle due parti è ancora deposta a terra nella navata, datata 1470.

Un breve video, su Facebook, ci permette di vedere questa meraviglia riscoperta; è stato realizzato da Tiziana Graziano, per la pagina “Genova la Superba”:

https://www.facebook.com/reel/239603952379670

Ed è bello pensare, al tramonto di una giornata d’autunno, che qui siano state scritte alcune lettere dell’irrisolta storia d’amore fra Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, il poeta crepuscolare e la sua Musa inquieta. E il poeta di Aglié ha dedicato a questo luogo la poesia Nell’Abazia di San Giuliano, del 1907, in cerca di un Dio che non trova e ama.

«Buon Dio nel quale non credo, buon Dio che non esisti,

(non sono gli oggetti mai visti più cari di quelli che vedo?).

Io t’amo! Ché non c’è bisogno di creder in te per amarti

(e forse che credo nell’arti? E forse che credo nel sogno?)

Io t’amo, Purissima Fonte che non esisti, e t’anelo!

(Esiste l’azzurro del cielo? Esiste il profilo del monte?)

M’accolga l’antica Abazia; è ricca di luci e di suoni.

Mi piacciono i frati; son buoni pel cuore in malinconia.

Son buoni. “Non credi? Che importa? Riposati un poco sui banchi.

Su, entra, su, varca la porta. Si accettano tutti gli stanchi.”

Vi seggo – la mente suasa – ma come potrebbe sedervi

un tale invitato dai servi e non dal padrone di casa.

—”Riposati, o anima sazia! Riposati, piega i ginocchi!

Chissà che il Signore ti tocchi, chissà che ti faccia la grazia.”

—”Mi piace il Signore, mi garba il volto che gli avete fatto.

Oh, il Nonno! Lo stesso ritratto! Portava pur egli la barba!”

“O Preti, ma è assurdo che dòmini sul tutto inumano ed amorfo

quell’essere antropomorfo che hanno creato gli uomini!”

—”E non ragionare! L’indagine è quella che offùscati il lume.

Inchìnati sopra il volume, ma senza voltarne le pagine,

o anima senza conforti, e pensa che solo una fede

rivede la vita, rivede il volto dei poveri morti.”

—”O Prete, l’amore è un istinto umano. Si spegne alle porte

del Tutto. L’amore e la morte son vani al tomista convinto.”»

Si ringrazia Valter Fascio per il contributo e la collaborazione al testo.

Ezio Marinoni

Note

  • Fondatore di Fruttuaria è Guglielmo da Volpiano (Isola di San Giulio, 962 – Fécamp, 1º gennaio 1031), figura di primo piano all’interno della Riforma Cluniacense del monachesimo. L’abbazia venne eretta nei possedimenti del feudo di famiglia di Guglielmo, in una località denominata “fructuariensis locus”.
  • Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna (Manarola, 1195 circa – Napoli, 7 dicembre 1254), è stato il 180º Papa della Chiesa cattolica, dal 1243 alla morte.
  • L’abbazia della Cervara, o di San Girolamo al Monte di Portofino, è un ex complesso monastico, situato lungo la Strada Provinciale 227 che da Santa Margherita Ligure conduce al borgo di Portofino. Il complesso comprende la chiesa, ancora consacrata, il chiostro cinquecentesco, la torre, il corpo principale dell’edificio e il “Giardino dei Semplici”, l’orto medievale dei monaci.
  • Pittore nativo della Val Polcevera, attivo a Genova sul finire del Cinquecento.
  • L’abbazia di San Nicolò del Boschetto, conosciuta anche come Badia del Boschetto, si trova nel quartiere genovese di Cornigliano; il complesso, costituito dal monastero e dalla chiesa, è oggi affidata ai sacerdoti della Piccola Opera della Divina Provvidenza fondata da don Luigi Orione.

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