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Cristoforo Colombo. Il falso testamento e pretese di Cogoleto. I documenti inediti


Per le pretese di Cogoleto di avere Cristoforo Colombo come loro cittadino rimando a pag. 13-17 del mio 11° libro: al falso testamento di Domenico Colombo di Cogoleto (padre di Cristoforo e di Bartolomeo) del 23 agosto 1449 (notaio Agostino Chiodo di Varazze) e copia autenticata del 24 ottobre 1586 (notaio Antonio Chiodo di Varazze) perché questi due notai risultano sconosciuti (mai esistiti) all’Archivio di Stato di Savona e di Genova.

di Franco Mauro Icardi*
Inoltre l’indizione del 1449 non è l’VIII (ottava), ma la XII (dodicesima). Anche la copia autenticata del 1586 reca un numero di indizione sbagliato: non doveva essere la XVIII (diciottesima), ma la XIV (quattordicesima) indizione. Si tratta di due errori molto gravi per i due notai. Sicché è logica la supposizione che si tratti di un testamento del tutto inventato. Inoltre a pag. 7-8 la discendenza di Bernardo Colombo di Cogoleto da Bartolomeo Colombo è impossibile perché Bartolomeo, il fratello dell’Ammiraglio Cristoforo, non si sposò mai, né ebbe tre figli maschi. Bernardo Colombo di Cogoleto ignorava che
Bartolomeo, fatto adelantado dell’isola di Española (ora Haiti e Santo Domingo) da Cristoforo, nel codicillo al suo testamento del 13 agosto 1511, scritto nel palazzo del Viceré di Santo Domingo, aveva affermato che la sua unica figlia Maria era deceduta e che non aveva avuto altri figli.
Passiamo ora alla pretesa dell’avv. Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro che ritiene Marietta di Ceva, madre di Cristoforo Colombo. Negli Atti del III Congresso Internazionale Colombiano: a Torino 12 e 13 ottobre 2017, pag. IX, nella prefazione, l’avv. Giorgio Casartelli scrive che “i documenti dell’Archivio dei marchesi di Ceva di Lesegno … dimostrano le illustri parentele europee di Marietta di Ceva, madre di Cristoforo Colombo“. Ed a pag, 15 e seg., in particolare a pag. 49, mostra la tavola XXII redatta alla fine del secolo XVIII dal sacerdote Gaspare Sclavo parroco di Lesegno, dove risulta che Marietta è l’ultima figlia di “Cristofaro marchese di Ceva e signore di Lesegno dopo la transazione del 6 agosto 1392″. Inoltre “Marietta,
il 2 marzo 1422,
[risulta] sposa di Domenico Del Carretto signore di Zuccarello
“. Qui l’avv. Casartelli parla di un errore commesso dal compilatore [sic ? senza dare una giustificazione] perché – scrive l’avv. Casartellik – come sposo di Marietta non si tratterebbe di Domenico dei signori di Zuccarello, bensì di Domenico dei signori di Cuccaro: pretesa non giustificata da documenti. Infine nel testamento di Marietta dell’8 nov. 1457 questa lasciò come soli suoi eredi universali le figlie Battistina e Bartolomeo nonché Luchino Colombo, adottato come figlio dal marito (fu)
Domenico. Se Marietta fosse stata la madre dei fratelli Cristoforo, Bartolomeo e Giacomo perché a loro nulla lasciò?
Ancora nulla lasciò a questi tre fratelli il presunto padre Domenico consignore di Cuccaro; mentre secondo il diritto feudale i figli legittimi di un nobile avrebbero dovuto ereditare la loro parte di feudo. Secondo Gianfranco Ribaldone (III Congresso… op. .cit. a pag. 189): “nel giugno 1450 muore Domenico Colombo di Cuccare, che poco prima ha dato in sposa la figlia Bartolomea al figlio adottivo Luchino, mentre l’altra figlia Battistina ha come sposo Tommaso dei conti di Mede”. E Gianfranco Ribaldone continua: “Nel gennaio 1454 Renato d’Angiò ritorna in Provenza ed è probabile che, in questa occasione portò con sé i tre figli maschi di Domenico, reliquie inconsapevoli di un progetto… e per i tre <putti> il destino svolge altrove, nella Marsiglia di re Renato [sic ?
ma non esistono documenti autentici e coevi al riguardo, ed il probabile vale poco].
Per le pretese di Genova rimando a pag. 38-40 dove per 16 anni dal 1586 al 1602 la Repubblica di Genova sostenne che l’ammiraglio Cristoforo Colombo fosse nato a Cogoleto, non a Genova. Il governo di Genova incaricò i suoi ambasciatori presso i re di Spagna di sostenere il Colombo di Cogoleto ed i suoi eredi di Cogoleto a Madrid La professoressa Anna Maria Salone e Calcagno Antonio riportano nel loro libro Svelati…, op. cit. a pag. 122 che “mentre l’acquisizione di testimonianze con tutte le garanzie di legalità, da parte di Bernardo (Colombo di Cogoleto), al fine di parentela con Cristoforo Colombo, avviene nel 1583 ed impegna anche pubblici funzionari, che, oltre ad esercitare le funzioni loro richieste in sede, cioè a Palazzo Ducale in Genova, si recano persino <in missione> a Cogoleto e dintorni per raccogliere le dichiarazioni di testi anziani ed invalidi, le prime richieste ufficiali della Repubblica ai propri diplomatici onde acquisire documentazioni in Spagna, in merito alla causa ereditaria, risalgono invece al
novembre 1586.

E’ in quell’anno che Gio. Battista Doria q. [fu] Domenico, ambasciatore ordinario per un triennio, oltre all’affidamento di alcuni incarichi di molta importanza per Genova (in merito alla questione del marchesato di Finale, per la quale si fa riferimento all’ambasciatore spagnolo a Genova don Pedro de Mendoza), riceve anche quello di assistere alcuni sudditi della Repubblica, nativi di Cogoleto, che in Madrid contendono con certi Spagnoli l’eredità di Cristoforo Colombo, nonché di procurare copia del testamento di Colombo e del legato che vi è connesso, come segue: <Il Colombo di Cogoleto è tanto grande in Spagna come sapete, ha tra l’altre cose ordinato nel suo testamento [sic ? Quale? Quello del 1 aprile 1502 a pag. 32 oppure quello del 22 febbraio 1498 a pag. 46], secondo intendiamo, che a Genova debba stare di continuo aperta una casa del suo cognome in memoria sua et che per il mantenimento di essa casa le resti de’ suoi beni assignata una buona entrata. Et di più pare che chiami nell’eredità di lui i suoi parenti et quelli del suo cognome più propinqui. Et si intende che in Madrid si litighi sopra essa eredità tra certi Spagnoli del medesimo cognome et alcuni nostri sudditi che si pretendono veri parenti del testatore. E poiché questo negozio è di molta importanza et è anche giusto, per proteggere i nostri sudditi vogliam che voi procuriate di haver copia del detto testamento, la quale puotrete havere facilmente dal dottor Scipione Canova, che è in quella Corte. E essendo vero quanto sopra, procurerete non solo di “haver esecuzione del legato detto, ma anco di aiutare per quanto puotrete, li detti nostri Genovesi, come sappiamo farete meglio di quanto vi si saprà ricordare. Et del seguito ci darete avviso”..
Nella nota n° 320: “Il documento è firmato: <Per il Doge, Governatori e Procuratori della Ser.ma Repubblica di Genova, da Gian Giacomo Merello Segretario di Stato>“. E nella nota n° 319: “Tali documenti, [sono] conservati presso l’Archivio di Stato di Genova (A.S.G., Archivio Segreto. Litterarum, reg. n. 86/1862 e Sezione Manoscritti, ms. cart. 653)”.
Poi Anna Maria Salone e Calcagno Antonio continuano a pag. 123: “Si imbarca per la Spagna anche Gio. Battista Spinola [vedi documento 9 a pag. 20-21), incaricato particolarmente per trattare la questione di Ovada, mentre al Doria compete la pratica relativa all’affare Colombo. Circa la discrezione da utilizzare nei propri rapporti al governo genovese, le istruzioni concludono: <Et per puoter scrivere liberamente quelle cose di importanza che giudicarete doversi passare con segretezza, vi abbiamo fatto fare un’alfabeto in ziffra [cifrato], il quale conserverete presso di voi, di esso servendovi in dette occorrenze, che così faremo noi>. Sopponiamo che il Doria ottemperi, per quanto possibile, a ciò che gli è richiesto, ma senza molto successo e con ancor meno efficacia per il povero Bernardo, che, nel frattempo, dopo alterne fortune in terra di Spagna, rientra nel paese natio e, negli anni 1587-1588, mette in essere diversi documenti, in alcuni dei quali compare anche il figlio primogenito Agostino.
Bernardo muore nel corso del 1588, dopo il mese di maggio, in cui fa ancora testamento (ricalcando più o meno quello già fatto nel 1583, apportandovi solo qualche piccola variante), lasciando i propri diritti ereditari al figlio Agostino. E prima dell’11 novembre, data in cui la moglie Maria Ferro risulta ormai vedova. Agostino Colombo q. Bernardo, nel 1590, nomina procuratore, per tutti i diritti e redditi derivanti dal maggiorasco e per il ducato di Veragua, il fratello Cristoforo, di lui più giovane, che gli subentra a breve nella successione, in quanto anche Agostino viene a mancare prima della conclusione della vertenza. A gennaio 1589, con atto notarile, si richiama la cessione di eredità avvenuta nel 1587, a G. B. Spinola e Gregorio della Torre e, contemporaneamente, avviene la nomina a procuratore del figlio di quest’ultimo Cesare della Torre e la cessione allo stesso delle competenze di G. B. Spinola. [Vedi pag. 24].
Sempre nel 1590 la Repubblica di Genova rinnova al proprio ambasciatore in Spagna, Pier Luigi Cattaneo, le stesse istruzioni per quanto riguarda le questioni politiche, le precedenze, i commerci, e relativamente alla vicenda dell’affare Colombo, come segue: <Il Colombo di Cogoleto, tanto grande come sapete in Spagna
ha tral’altre cose ordinato per suo testamento, secondo intendiamo
[sic ?], che a Genova debba star di continuo aperta una casa del suo cognome in memoria sua e che per il mantenimento di essa casa le assegnò de’ suoi beni una buona entrata, e di più pare che chiami nell’eredità di lui i suoi parenti e quelli del suo cognome più propinqui. E s’è inteso prima d’hora che in Madrid si litighi sopra essa eredità tra certi Spagnoli del medesimo cognome, ed alcuni nostri sudditi che si pretendono veri parenti del testatore. E perché “questo negocio è di molta importanza ed è anche giusto proteggere li nostri sudditi, vogliamo che
voi procuriate di haver copia di lo detto testamento
, la quale puotrete havere facilmente dal dottor Scipione Canova che è in quella città. Et essendo vero quanto sopra, procurerete di ottener non solo la essecutione del legato, ma anche d’aiutare per quanto potrete li detti nostri Genovesi, come sappiamo che farete meglio di quanto vi si puotria ricordare. E del seguito ci darete avviso>.

Alcuni anni dopo, nel 1595, le stesse istruzioni sono affidate a Cesare Giustiniani, sempre evidenziando la necessità di acquisire la documentazione e di porgere aiuto ai sudditi genovesi nel far valere le proprie ragioni.
La questione si trascina ulteriormente e si giunge fino al 1602, anno in cui avviene la nomina ad ambasciatore di Gio. Antonio de Marini, destinato a rimpiazzare Cesare Giustiniani, sollecitato dal governo di Genova affinché parta al più presto per raggiungere la Corte di Spagna. Riceve istruzioni circa le modalità da osservare per la propria presentazione ai Sovrani, si tratta ancora del Finale e di altre questioni politiche, delle precedenze in mare, in particolare nei confronti delle galere dell’ordine d Malta, e, sulla vicenda dell’eredità colombiana, il governo raccomanda ancora quanto riportiamo di seguito:
<Il Colombo di Cogoleto ordinò tra l’altre cose nel suo testamento, secondo intendiamo
[sic ?], che a Genova dovesse star di continuo aperta una casa di suo cognome per memoria sua, e per mantenimento di essa casa assegnò “de’ suoi beni una buona entrata e di più pare che chiamasse nell’eredità sua i parenti suoi e quelli del suo cognome più propinqui [sic! di Cogoleto, non di Genova], et s’è inteso prima d’hora che in Madrid si sia litigato sopra essa eredità tra certi Spagnoli del medesimo cognome, et alcuni nostri sudditi che si pretendono veri parenti del testatore. E poiché questo negocio è di molta importanza et è anche giusto che proteggiamo li nostri sudditi, vogliamo che procuriate di haver copia del detto testamento, la quale potrete havere facilmente dal dottor Scipione Canova che è in quella Corte; et essendo vero quanto sopra, procurarete di ottenere l’esecuzione di detto legato, ma anco di aiutare, per quanto potete, li detti nostri Genovesi, come sappiamo che farete meglio di quanto vi si potrà ricordare. E del seguito ci darete avviso procedendo però sempre col dovuto riguardo e riservatamente”.
Riassumendo:
Nel 1586 Gio. Battista Doria q.[fu] Domenico, ambasciatore ordinario per un triennio della Repubblica di Genova in Spagna deve assistere alcuni sudditi della Repubblica, nativi di Cogoleto, che in Madrid contendono con certi Spagnoli l’eredità di Cristoforo Colombo perché il Colombo di Cogoleto è tanto grande in Spagna come sapete [sic ? Quindi di Cogoleto, non di Genova]. Vogliamo che voi procuriate di haver copia del detto testamento, la quale puotrete havere facilmente dal dottor Scipione Canova, che è in quella Corte…

Le istruzioni concludono: <Et per puoter scrivere liberamente quelle cose di importanza che giudicarete doversi passare con segretezza, vi abbiamo fatto fare un’alfabeto in ziffra [cifrato], il quale conserverete presso di voi, di esso servendovi in dette occorrenze, che così faremo noi>.

Il documento è firmato: <Per il Doge, Governatori e Procuratori della Ser.ma Repubblica di Genova, da Gian Giacomo Merello Segretario di Stato>“.

Nel 1590 la Repubblica di Genova rinnova al proprio ambasciatore in Spagna, Pier Luigi Cattaneo, le stesse istruzioni: <Il Colombo di Cogoleto, tanto grande come sapete in Spagna [sic ?] ha tra l’altre cose ordinato per suo testamento, secondo intendiamo [sic ?], che a Genova debba star di continuo aperta una casa del suo cognome in memoria sua e che per il mantenimento di essa casa le assegnò de’ suoi beni una buona entrata, e di più pare che chiami nell’eredità di lui i suoi parenti e quelli del suo cognome più propinqui. E s’è inteso prima d’hora che in Madrid si litighi sopra essa eredità tra certi Spagnoli del medesimo cognome, ed alcuni nostri sudditi che si pretendono veri parenti del testatore. E perché questo negocio è di molta importanza ed è anche giusto proteggere li nostri sudditi, vogliamo che voi procuriate di haver copia di lo detto testamento, la quale puotrete havere facilmente dal dottor Scipione Canova che è in quella città.
Alcuni anni dopo, nel 1595, le stesse istruzioni sono affidate a Cesare Giustiniani, sempre evidenziando la necessità di acquisire la documentazione e di porgere aiuto ai sudditi genovesi nel far valere le proprie ragioni.
La questione si trascina ulteriormente e si giunge fino al 1602, anno in cui avviene la nomina ad ambasciatore di Gio. Antonio de Marini, destinato a rimpiazzare Cesare Giustiniani, sollecitato dal governo di Genova affinché parta al più presto per raggiungere la Corte di Spagna… sulla vicenda dell’eredità colombiana, il governo raccomanda ancora… E poiché questo negocio è di molta importanza et è anche giusto che proteggiamo li nostri sudditi [di Cogoleto], vogliamo che procuriate di haver copia del detto testamento, la quale potrete havere facilmente dal dottor Scipione Canova che è in quella Corte”. [Vedi a pag. 46]

Per 16 anni dal 1586 al 1602 la Repubblica di Genova sostiene che l’ammiraglio Cristoforo Colombo è nato a Cogoleto, non a Genova. E che gli ambasciatori di Genova in Spagna devonoproteggere li nostri sudditi Genovesi di Cogoleto procedendo però sempre col dovuto riguardo e riservatamente. Chi controlla il passato controlla il futuro”: è ciò che fecero i Genovesi.

Ed a pag. 45 il quarto foglio del Mayorazgo falsificato nel 1587 da Baldassarre Colombo di Cuccaro fu una “manipulación del XVI e XVII sec.” contenente il falso della nascita in Genova.
Franco Icardi già nel 10° suo libro intitolato Cristoforo Colombo “natural de Saona”. Le origini savonesi secondo i testi manoscritti coevi e le testimonianze di chi lo conobbe di persona (Roma, Europa edizioni, 2017, ISBN 978-88-9384-331-7) riportava nuovi documenti su Cristoforo Colombo corsaro.
Lettera di Giovanni Marchese Palavicino e degli Anziani del Comune di Genova, inviata da Genova, il 4 ottobre 1471, a Galeazzo Maria Sforza duca di Milano. Genova si trovava sotto Milano e chiedeva al Duca di far intervenire Alessandro Spinola consiliarius et tunc orator (ambasciatore) presso il re di Francia al fine di farsi restituire una nave genovese, carica di profumi (aromata) e di panni di seta, catturata nel mare d’Inghilterra da Columbus normandus (Colombo il Normanno). Questi era l’ammiraglio di Francia Guillaume de Cazenove suddito del re de Francia Luigi XI.

Se un ammiraglio e nobile di Francia era conosciuto a Genova ed a Milano come Colombo normanno ciò voleva dire che prima del 1471 esisteva un famosissimo corsaro italiano di nome Colombo che terrorizzava il mare Mediterraneo e l’Atlantico. Di solito i Francesi apprezzavano raramente un italiano perché si ritenevano a lui superiori. Ora se un ammiraglio e nobile di Francia si fece soprannominare con il nome di un italiano significava che quell’Italiano era talmente famoso che il suo nome era degno di fare da soprannome ad un ammiraglio di Francia.

  1. Gli storici portoghesi dell’epoca conoscevano e citavano Cristovam Colombo italiano come residente in Portogallo. Tali documenti certificano
  • che Cristoforo Colombo italiano era residente in Portogallo almeno a partire dall’anno 1470.
  • Che questi combatteva come corsaro nella flotta dell’ammiraglio francese Guglielmo de Cazenove conosciuto con il soprannome di Colombo normanno.


Fig. 12 ASG, Archivio Segreto, n° 1799 Litterarum , nella prima riga di questo documento genovese

leggiamo il soprannomecognomine columbus normandus” dell’ammiraglio di Francia

La Francia era allora alleata con i Portoghesi contro Isabella di Castiglia e suo marito Ferdinando II d’Aragona durante la guerra di successione per il regno di Castiglia-León. La guerra era iniziata nel dicembre 1473 e finì il 4 settembre
1479 con il Trattato di Alcáçovas (cittadina presso Évora in Portogallo), tra Afonso V di Portogallo ed Isabella di Castiglia con il marito Ferdinando.

Siccome Cristoforo Colombo aveva combattuto come corsaro al soldo dell’ammiraglio di Francia (soprannominato Columbus) in aiuto dei Portoghesi il re del Portogallo aveva conosciuto ed apprezzato Cristoforo Colombo gli permise di navigare sulle rotte dell’Africa occidentale. A partire dal 28 agosto 1481
era re del Portogallo João II. Appena salito al trono prese misure severe contro chi osava interferire nel commercio portoghese diretto in Africa: decretò che lo straniero che veniva trovato sulla rotta di Guinea doveva esser messo a morte immediatamente. Alla fine del 1481 il re fece partire da Lisbona, alla volta del golfo di Guinea, 11 vascelli al comando di Diogo d’Azambuja, incaricato di costruire la fortaleza de São Jorge (il forte di S. Giorgio) da Mina (de Ouro) che si trova nel Ghana attuale in quella che veniva allora chiamata “Costa d’Oro“.



In basso il forte di El Mina. Foto del forte portoghese di S. Giorgio della Mina in Ghana nel 1972

La fortaleza de São Jorge fu ultimata e resa operativa solamente nel 1482, e solo dopo questa data Cristoforo Colombo che “desiderava navigare” l’Atlantico, in compagnia del fratello Bartolomeo poté visitarla. Ci rimane la sua testimonianza: “vedemmo (vidimus) il castello della Mina dove il dì è sempre di dodici ore“.

I due fratelli Colombo fecero il punto e trovarono che il forte portoghese era situato sotto l’equatore (sub linea equinoziale) calcolata a quel tempo con il sistema tolemaico, mentre ora (con l’attuale linea equatoriale) sarebbe a 5° 10′ di latitudine nord. Bartolomé de Las Casas riferiva che Cristoforo Colombo, durante il suo soggiorno a Lisbona, visitò “le parti dell’Etiopia” intendendo con queste le coste africane del golfo di Guinea.
E lo stesso Cristoforo annotò in una Postilla autografa: “nota che, navigando
sovente da Lisbona a mezzogiorno, alla volta della Guinea, osservai con diligenza la rotta
” e “più volte (plures vices) feci il punto“.
Inoltre anche nel frammento di una lettera, scritta dall’isola di Haiti-Española ai Re Cattolici nel gennaio 1495, Cristoforo fece un riferimento ad un viaggio in Guinea: “io mi sono trovato a comandare due navi, e a lasciare una a Puerto Sancto, a far sentina, per la qual cosa vi indugiò un giorno, e io approdai a Lisbona ben otto giorni avanti ad essa, ché ebbi tormenta di vento di sud-ovest, e quella non ebbe che scarso vento da nord-nord-est che è vento contrario“.
Questi viaggi in Guinea sono un fatto eccezionale perché la rotta seguita da Colombo era, come abbiamo visto, vietata agli stranieri, e tali erano Cristoforo ed il fratello Bartolomeo. Cristoforo godeva della piena fiducia del sovrano. Il re gli aveva concesso tale privilegio e la possibilità di conoscere le correnti, i venti atlantici e di comandare (fatto straordinario) navi portoghesi sulle rotte africane Ciò era stato possibile perché il corsaro Colombo aveva combattuto, al soldo dell’ammiraglio di Francia (soprannominato Colombo normanno), con l’alleato portoghese contro Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona.Come situare nella vita di Cristoforo Colombo tutti i suoi viaggi in mare?
Cristoforo scrisse il 26 febbraio 1495 nella sua 4a lettera del Libro Copiador: “ho sofferto per più di 27 anni consecutivi, trascorsi continuamente in mare“.

Inserendo nella vita di Cristoforo questi 27 anni risulta che dal 1456 al 1476 Cristoforo poteva esser stato corsaro al soldo dei Francesi per oltre 19 anni; e per gli altri 8 anni avrebbe navigato con i Portoghesi e su navi portoghesi in Atlantico. I “27 anni consecutivi, trascorsi continuamente in mare” si conclusero verso l’anno 1483 quando Cristoforo tornò dalla Guinea. Allora chiese al re portoghese delle navi per attraversare l’Atlantico, ma i tre esperti (scelti dal re João II) diedero un parere sfavorevole al progetto colombiano. Poi successe un fatto increscioso quando il re inviò, all’insaputa di Colombo, una caravella sulla rotta indicata dal navigatore italiano. Quando Colombo seppe che la caravella era tornata con le vele spezzate e senza aver trovato nuove terre si arrabbio e decise di abbandonare il Portogallo per recarsi in Spagna. Era la fine dell’anno 1484. Questa data la deduciamo da un altro documento:

Dice… l’Ammiraglio di rammentare che, trovandosi egli in Portogallo l’anno 1484, venne al re [João II] uno [chiamato Fernán Domingues do Arco] dall’isola di Madeira a chiedergli una caravella per veleggiare a questa terra che vedeva [si alludeva qui alla leggenda della terra di San Brandano in pieno Atlantico], il quale giurava di vederla ogni anno e sempre nella stessa guisa“.
Ora un altro documento della Cancelleria reale portoghese riporta che la carica di
capitanato dell’isola immaginaria venne concessa il 30 giugno del 1484” al Fernán Domingues do Arco.

Ecco come inserisco nella vita di Colombo savonese i suoi viaggi continui in mare:1436 nacque il marinaio Cristoforo Colombo a Saona. 1440 a 4 anni Cristoforo, la sua famiglia e gli abitanti di Savona furonocacciati dalla città occupata militarmente dai Genovesi dall’8 agosto 1440 al 23 gennaio 1442.1450 a
14 anni iniziò a navigare quando c’era la peste in Liguria.
1456 a 20 anni comincerebbe a navigare più di 27 anni consecutivi. 1483 a 47 anni terminerebbe
i più di 27 anni continuamente in mare.
1484 a 48 anni lasciava il Portogallo per andare in Spagna. 1492 a 56 anni riprese a viaggiare in mare iniziando il 1° viaggio alle Indie. 1495 a 59 anni nel 2° viaggio scrisse la 4a lettera del Libro Copiador.

Durante il 2° viaggio Cristoforo Colombo fu chiamato “savonese, armiraglio del óceano” in una lettera che Giambattista Strozzi (agente del Duca di Toscana) scrisse nel porto castigliano di Cadice e che spedì il 19 marzo 1494 alla corte di Francesco II Gonzaga di Mantova forse da Antonio Salimbeni, ambasciatore di Francesco II Gonzaga in Spagna. Ecco il testo: “Adì VII de questo [Oggi 7 marzo 1494] arivorono qui a salvamento XII caravelle venute dalle isole trovate per Colombo savonese, armiraglio del óceano por lo re de Castiglia, venute in di XXV dalle ditte isole d’Antelia… arivorono qui sopra a Calis a XXIII ore“. Le 12 caravelle arrivarono dalle Antille, isole scoperte da Colombo savonese, ammiraglio del mare oceano per il re di Castiglia, dopo un viaggio di 25 giorni, a Cadice alle ore 23 di sera.
Durante il 2° viaggio l’ammiraglio Colombo chiamò Saona l’isola di Adamaney.. Dopo la scoperta della parte situata ad ovest nell’isola di Cuba il 14 settembre 1494 don Christóval Colón giunse all’isola di Adamaney all’estremo sud-est dell’Española (ora Santo Domingo). A quest’isola lo stesso Ammiraglio diede il nome nuovo di Saona. In un suo autografo leggiamo: “Nell’anno 1494 trovandomi io (Cristoforo) nell’isola di Saona, che si trova all’estremità orientale dell’isola di Española, vi fu il 14 settembre un’eclisse di luna e si trovò che tra lì e il capo di S. Viçente in Portogallo c’era la differenza di cinque ore e più di mezza“.
Qui Cristoforo usò il computo del giorno dei marinai: da mezzogiorno a mezzogiorno. Infatti nella 4a lettera del Libro Copiador specificava che “il 14 settembre di questo presente anno 1494 vidi l’eclisse di luna per 42 minuti di un’ora dopo mezzanotte“. Ma se era “un’ora dopo mezzanotte” si trovava già nel giorno 15 settembre 1494. Bartolomé de Las Casas ci ha tramandato l’avvenimento: “Vi arrivammo da ponente [dall’attuale Haiti]… Piacque a Dio che (l’Ammiraglio) riuscisse a raggiungere un’isoletta che gli indiani chiamavano Adamaney, che ora chiamiamo la Saona, il cui nome credo che lo mise l’Ammiraglio o suo fratello l’Adelantado“. L‘Adelantado era il fratello Bartolomeo Colombo che non poté dare il nome di Saona all’isola di Adamaney perché giunse solo il 24 giugno 1494 a La Isabela (porto a nord-est di Santo Domingo). Da questa prima città fondata dagli Spagnoli (a nord-est della Espaňola) Bartolomeo non si era ancora mosso perché aspettava il ritorno del fratello Cristoforo dal suo viaggio a Cuba. Il nome Saona fu dato all’isola dall’ammiraglio stesso ed è l’unica volta che questi diede il nome di una città italiana ad un’isola da lui scoperta. Dopo sette-otto giorni passati nell’isola di Saona, calmatasi la tempesta, Cristoforo giunse all’estremità est dell’Espaňola il 24 settembre. Da qui passò all’isoletta di Mona e poi all’isola di San Giovanni Battista di Portorico.
L’isola di Saona a sud-est di Santo Domingo


Giunto a San Giovanni Battista di Portorico in un autografo l’ammiraglio scrisse: “all’improvviso mi colpì una infermità che mi tolse ogni capacità e intelletto, come se fosse stata una pestilenza o una letargia… attribuisco la mia malattia alle eccessive fatiche e pericoli di questo viaggio, perché ho sofferto per più di 27 anni consecutivi, trascorsi continuamente in mare. Rimasi così mezzo cieco, e in certe ore del giorno, cieco del tutto”. Nelle Historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio Don Cristoforo Colombo così veniva descritta la malattia: “infermità molto grave, tra febbre pestilenziale e mal di mazzucco. La qual privollo della vista e dei sensi e della memoria in un subito… gli durasse l’infermità più di V [5] mesi“. 1495 a 59 anni nel 2° viaggio Cristoforo fu gravemente infermo (perdette ogni capacità e intelletto) per più di 5 mesi. Durante questa malattia grave l’ammiraglio perse l’intelletto perché inviò ai re di Spagna una sua confessione di aver combattuto in gioventù come corsaro al soldo francese del re Renato I d’Angiò contro navi aragonesi. Si tratta della copia-estratto del domenicano Bartolomé de Las Casas di una lettera che Colombo scrisse ai Re nel gennaio 1495 dalla “Española” [oggi Haiti- Santo Domingo]. Descriveva un’impresa del giovane comandante corsaro Cristoforo Colombo: Mi è accaduto che il re Reynel [Renato I d’Angiò] che è deceduto, mi inviasse a Tunisi (Túnez) per catturare la galeazza [aragonese] Fernandina, e stando già all’altezza dell’isola di San Pietro in Sardegna, una saltia [un marinaio a bordo di un’imbarcazione piccola detta saltia] mi disse che con la detta galeazza vi erano anche due navi (naos) e una caracca; così che coloro che stavano con me si preoccupavano e non volevano proseguire il viaggio, a meno che non si tornasse a Marsiglia, a procurarsi un’altra nave e più equipaggio. Io [Cristoforo Colombo comandante corsaro], visto che non potevo senza qualche artificio forzare le loro volontà, finsi di accogliere la loro richiesta e cambiando le direzione dell’ago [della bussola], diedi la vela sul far della notte e, il giorno dopo, all’alba eravamo dentro il capo di Cartagine [di Tunisi], essendo tutti loro convinti che stavano andando a Marsiglia”.
Il re di Napoli il francese Renato I d’Angiò (16 gennaio 1409 – 10 luglio 1480).
Notiamo che la nave corsara francese del giovane comandante Cristoforo Colombo aveva come basi logistiche il porto di Marsiglia e quello di Tunisi. Perché Cristoforo inviò questa lettera ai Re Cattolici? Nel gennaio 1495 l’Ammiraglio era gravemente ammalato. E come lui scrisse tale “infermità mi tolse ogni capacità e intelletto“: aveva perso l’intelletto. Quando il re Ferdinando II d’Aragona lesse la lettera scoprì che don Christóval Colón era il famoso corsaro Colombo che con i Francesi aveva combattuto contro le navi aragonesi. La certezza che questa lettera fu letta da Ferdinando II d’Aragona sta nel fatto che il re ruppe subito e radicalmente con l’ammiraglio Colombo.Rimando al capitolo 17° di Navigare rende curiosi (altro libro di Franco Icardi apag. 257) dove trascrivo che il 10 aprile 1495 i re di Spagna (senza consultare e all’insaputa del loro ammiraglio del mar Oceano) emanarono un decreto (Real Provisión) che permise agli Spagnoli di organizzare viaggi di scoperta nelle Indie.Poi inviarono un inquisitore regio (perquisidor) a Santo Domingo che praticamente destituì don Christóval Colón dal titolo di Vicerè e Governatore delle Indie. Infine la domenica 23 agosto 1500 (a pag. 301) i tre fratelli Colombo furono messi ai ferri, e venerdì 20 novembre 1500 l’ammiraglio
Colón ritornò incatenato in Spagna.
Il domenicano Bartolomé de Las Casas riportava che “dopo che i sovrani lo avevano fatto liberare… l’ammiraglio li supplicava sempre di rimetterlo nel suo stato iniziale… benché fosse vecchio e molto affaticato da tante immense fatiche, manteneva comunque il proposito di spendere la vita che gli restava nella scoperta, al loro servizio, di molte più terre di quelle che aveva scoperto“.Ma la regina Isabella I di Castiglia-León escluse gli stranieri dal governo delle Indie e dal viaggiare su navi spagnole.Ciò obbligò Amerigo Vespucci a lasciare la Spagna per il Portogallo. Dopo aver fatto due viaggi su navi spagnole fece due viaggi su navi portoghesi in Brasile.

N. B. L’ammiraglio Cristoforo Colombo mai chiese di essere naturalizzato in Castiglia (Spagna). Mai soggiornò per dieci anni consecutivi in quel regno quindi secondo le leggi vigenti era uno “estranjero destos rejnos (uno straniero di questi regni)“. di Castiglia e di Aragona. Sembra strano che vi siano ancora degli Spagnoli (in Castiglia ed in Aragona) che ritengono don Christóval Colón (Cristoforo Colombo) un loro compatriota. Mi fermo qui perché non voglio svelarvi tutto il contenuto dei miei libri sul savonese Cristoforo Colombo. Buona lettura. Alla fine potrete affermare: Bentornato a casa ammiraglio Colombo“.

Franco Mauro Icardi*

(Direttore della Biblioteca civica di Cengio e Presidente dell’Associazione culturale no profit O.D.V. Antichi Liguri e Colombo nato a Savona (natural de Saona)

 


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