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Liguria e Basso Piemonte

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Vessi non è Vezzi. Storia del Marchesato di Finale Ligure. Manufatti di importanza storica


Dal manoscritto “Vessi ed il suo territorio”. Vessi non è Vezzi e pertanto va rispettata la topomastica.

di Alesben B.

La storia ha lasciato varie tracce tra cui la Porta di Spagna, posto di frontiera al confine del marchesato di Finale, che appartenne nel XVII secolo alla corona di Spagna. Lasciando il rosso palazzo della Ferriera a Pian Soprano, dove si lavorava il ferro proveniente dall’isola d’Elba, si raggiungono le trincee napoleoniche sul monte Ronco di Maglio e la strada della regina, così detta in ricordo del passaggio di Margherita Teresa, figlia del Re di Spagna Filippo IV, in occasione del matrimonio con l’imperatore d’Austria Leopoldo I nel 1666.

Il Lamboglia, nel ricostruire il percorso, della via Iulia Augusta, ricordava che presso il rio Gambino, il toponimo “piaggia del ponte” rispecchierebbe la possibilità dell’esistenza di un ponte simile a quelli della Val Ponci. (vedi ciaza du punte). Potrebbe trattarsi di una – viae vicinales – d’interesse locale o di raccordo di viae publicaes, se non addirittura di viae privatae – di accesso a fondi privati dette anche viae agrariae o viae rusticae

Il toponimo corretto è ciazza du punte, col significato per ciazza di bosco da taglio, e non “piaggia del ponte”. La costruzione del ponte Gambino avvenne tra il 1869 e il 1879 e rientrava nei lavori necessari a rendere carreggiabile la via, in conclusione si può affermare che il toponimo ciazza du punte sia nato nel momento in cui è stato costruito il ponte Gambino[].

Nell’intervistare nuovamente i “villici” dei dintorni, nessuna tra le persone più anziane del paese, con una veneranda età compresa tra gli ottanta e i novant’anni ricorda che le generazioni precedenti chiamassero questa strada romana, anche perché fino alla seconda metà del ‘900, la provinciale non veniva abitualmente usata. Gli spostamenti avvenivano lungo un percorso parallelo all’attuale provinciale che è stato completamente individuato con la gentile collaborazione delle fonti orali e poi verificato sulle piante del catasto napoleonico [] e sui fogli del moderno catasto

Da “Pian delle Strie” attraverso una mulattiera con andamento a mezzacosta, chiamata localmente “stradda de mesu”(strada di mezzo) si raggiunge località “Bagnato”. Nella zona, che fino alla fine degli anni 1970-80 era in parte coltivata e in parte area boschiva da taglio oggi sorge il villaggio “Vilmar”. Lo sviluppo insediativo ha modificato in parte gli antichi itinerari stradali, sostituendoli con nuovi tratti, visibilmente riconoscibili. Dal villaggio “Vilmar” per raggiungere la Val Ponci, il tracciato ricostruttivo si compone di tratti che assumono denominazioni diverse, perché fanno parte di un sistema viario più ampio, legato alla viabilità che collegava il comune di Vezzi Portio e i paesi vicini con la Val Bormida, attraverso il colle di S. Giacomo e Mallare.

Il primo tratto è denominato strada vicinale “Tosse – Mallare”, è caratterizzato da una buona pendenza e permette di avere sia una visuale della costa sia delle vallate circostanti: di Spotorno, Vado e Segno, nonché di quelle finalesi. Toccata località “Cuneo”, la strada si biforca; proseguendo verso Nord – Ovest si raggiunge il Colle di S. Giacomo mentre portandosi a sud si scende in località “Porte di Spagna”, dove alcuni ruderi di edifici rappresentavano l’antico confine del Marchesato del Carretto di Finale.

In un discorso di viabilità antica è decisamente significativa la dislocazione di questa porta del XVII secolo che segna l’incrocio di percorsi primari come quelli dell’oltregiogo per Mallare e il Colle di S. Giacomo e quelli verso la costa per il Finalese. In questo punto si allaccia anche l’antico sentiero che porta a S. Giorgio, una delle quattro frazioni, che insieme a S. Filippo forma Vezzi e con Magnone e Portio costituiscono il comune di Vezzi Portio.

In Vezzi S. Giorgio va ricercato uno dei nuclei più antichi dell’intero paese, citato a partire dal XII secolo in alcuni documenti testamentari. Il nome è stato analizzato da un punto di vista toponomastico e si è potuto confermarne la derivazione da un gentilizio romano, che già Lamboglia aveva ipotizzato. Nella documentazione medievale lo si trova nelle forma ” hominum de Vecio” []; potrebbe ricondursi ad un prediale senza suffisso, dal gentilizio *Vettius o * Veccius. La derivazione da un nome latino potrebbe indicare l’esistenza di un vicus, nato grazie al non lontano passaggio della
via Iulia Augusta e il consistente nucleo medievale, con il castello, potrebbe affondare le proprie origini nella romanità.

Vessi fece parte della Castellania di Quiliano fino al 1191 quando venne ceduto al Comune di Savona dai marchesi Del Carretto. Nel XIV secolo il paese e il suo distretto vennero staccati da Quiliano e infeudati alla nobile famiglia genovese dei Cicala.

Nella frazione di Magnone i nomi Cassigliano e Fusasche rivestono una notevole importanza, in relazione con il passaggio della via romana. La forma dialettale di Cassigliano, cascèn attesterebbe un possibile prediale di origine romana fissatosi nella forma plurale di Cassianis. Mentre il nome Fusasche, caratterizzato dal suffisso in asc- rientra nella categoria di quei nomi usati dai Liguri – romani per indicare le proprietà in unione al nome delle singole gentes 136. In base allo studio toponomastico e alla loro posizione topografica, adiacente al percorso ricostruttivo della via Iulia Augusta, si può credere che Cassigliano e Fusasche indichino i nomi di due fondi agricoli, da ricondursi all’ipotetico vicus di *Vettius..

Il tratto della strada provinciale tra Castelletto e S.Libera e il tratto tra questa e la chiesetta di S.Giacomo potrebbero ricalcare l’esatto percorso della via. La presenza di ben tre edifici ecclesiastici: la cappella di S. Libera, la chiesa parrocchiale di S.S. Salvatore e la chiesetta di S. Giacomo non si può di certo considerare casuale. Le cappelle di S. Libera e di S. Giacomo, non sono molto antiche, potrebbero esser state costruite tra il XVIII e il XIX secolo, ma S. Libera e S. Giacomo sono da considerarsi due santi di antica tradizione.

La loro intitolazione è per entrambi legata alla viabilità, per la prima, trovandosi all’incrocio di più strade si ipotizza una funzione di protezione del viandante [] e il secondo è generalmente riconducibile agli ospitalia, strutture dislocate lungo i percorsi verso i luoghi di pellegrinaggio, che ospitavano i fedeli.

Negli Statuta Decreta et Ordines Marchionatus Finarj, documento del XIV secolo, nel quale viene indicata la viabilità controllata dal dominio dei Marchesi del Carretto di Finale, vengono elencate, insieme alle vie principali che da Finale conducono alla Lombardia, anche le vie interne verso il mare. Nel testo, dalla zona intorno alla chiesa ,che viene definita “colla sancti salvatoris” si individua l’inizio di tre itinerari: verso Pia, verso Voze e verso la valle del Piasco.

Tra la chiesa di S.S. Salvatore e la vicina canonica, ad una quota di 2 – 2,5 m sotto l’attuale piano di calpestio si conserva ancora un camminamento sotterraneo che permetteva ai monaci di recarsi nella loro abitazione senza uscire fuori dalla chiesa. La pavimentazione di questo corridoio voltato è costituita da un selciato largo circa 1,25 m e lungo 13 m, formato da pietre lisce e molto rovinate. Rimane un grosso punto interrogativo la strada che correva attraverso quello che era il cimitero verso la torre del “grano”, visibile ancora oggi, inglobata nell’attuale casa parrocchiale.

Di sicuro è medioevale, ma ci sono buone probabilità che la sua pavimentazione sia di origine romana, se non di un tratto di attraversamento almeno una parte di essa, di percorso, dato che siamo in prossimità della valle dei Ponci, ove si può osservare il sedime stradale originario della via consolare. Attorno ad essa venne eretto prima un passaggio “alla ligure”, poi successivamente coperto che portava al primo nucleo originario della casa parrocchiale, ove dal lato sud-ovest, scrostato, si possono vedere ulteriori ampliamenti (di sicuro cinque).

Nel “Codice della Liguria” edito in Genova nel 1850, lo storico Garoni scrive nel suo Codice della Liguria che “nelle falde del Montalto, a duemila metri dalla foce della Sciusa sta la Villa di Verzi, a cinquemila trecento quella di Portio, e a seimila quella di Magnone”. L’Imperatore Antonino, nel suo “Itinerarium Maritimum” ci dice che dal romano Municipium di Vado Sabatia, al Municipinm di Albingaunum, non esistono porti di attracco, nessuna stazione e nessun luogo abitato.

Strabone narra di gente dedite alla pastorizia da cui traevano il loro sostentamento, bevevano orzo e latte e vivevano sparse sui monti dove avevano i loro pascoli. E’ probabile che alle falde del monte Montalto sorgessero le abitazioni di queste gente, antiche tribù Liguri che male accettavano il processo di romanizzazione che lentamente avanzava, processo che era iniziato verso il 230 a.C.

Nel 181 a.C. il Console romano Emilio Paolo, dopo l’assedio di Albenga ed una battaglia nei pressi di Finale, riuscì ad assoggettarli, ma, questa vittoria, portò solo all’occupazione del territorio, perché in effetti le popolazioni furono domate solamente dopo il I sec. a.C. dall’Imperatore Augusto. Vicino a Portio passano le antiche vie di comunicazione romane su due direttrici: la via Julia che passa in prossimità della costa, scende dall’altopiano delle Manie, raggiunge Pia passando per il Monte, quindi salendo al Gottardo ed alla Caprazoppa raggiunge Gorra.

L’altra via romana, la via Julia Augusta (Aurelia), partendo da Roma, attraverso Rimini, Piacenza, Tortona, il Passo di Cadibona, raggiungeva il Mar Ligure nei pressi di Vado Sabatia, poi per superare le asperità del Capo di Noli, passava sui monti, raggiungeva Magnone, passava nei pressi di Portio e per la Valle dei Cornei proseguiva per Orco e la Valle dell’Aquila, risalendo la montagna di Perti, raggiungeva Gorra e da qui per la Valle del Bottasano si inoltrava verso ponente per raggiungere la Gallia. 

La descrizione di questo tronco stradale e la volontà dell’Imperatore Aureliano di volere importare degli schiavi per far coltivare a vigneto questi luoghi ci è tramandata da Flavio Volpisco. A garantirci la veracità di quanto ci hanno tramandato gli antichi cronisti rimangono a testimonianza i ponti romani a cavallo del Rio Ponci e dei suoi affluenti: il ponte detto “delle Fate“, ancora in buon stato di conservazione: il ponte detto “Ponte Sordo“, distrutto, nelle cui vicinanze si vedono ancora i resti dell’antico argine stradale; il ponte detto “delle Voze” o più comunemente “Ponte Muto” ben conservato; il ponte detto “dell’Acqua” o “Ponte Vecchio” o ancora più comunemente “ponte di Portio” in parte interrato, scavalca il rio Ponci in prossimità della strada che conduce alla Madonnina, una cappella votiva sul giogo dove, passando per Portio si accede in Val Pia; infine il quinto ponte tra i boschi quasi in testa alla vallata detto “ponte di Ponci“.

Ancora un ponte era gettato a congiungere le due sponde della Fiumara di Pia, era il Ponte dell’Acquaviva o di Cornei, sostituito nel quattrocento dall’attuale, esso immetteva nella stretta gola che porta il fantastico nome di Colpo di Orlando. La leggenda vuole che il paladino Orlando, all’inseguimento dei Mori, creasse una spaccatura nella montagna con dei poderosi colpi della sua durlindana.

Il territorio appartenne alla grande Marca Aleramica come risulta dai diplomi regi del 25 luglio 935 e del 6 febbraio 940, dati a Pavia dai Re Ugo e Lotario, godette della gloria, dei benefici e dei privilegi del grande Bonifacio di Vasto e fu possesso per diritto di discendenza della famiglia marchionale savonese dei Del Carretto di stirpe Alemarica.

Secondo il testamento redatto nel Castello di Loreto il 12 dicembre 1142, alla presenza dei Vescovi di Savona e di Asti, quali autorevoli testimoni, il Marchese ereditava tutta la parte del Marchesato di Savona, comprendente pure le terre del Finale, di Perti, di Orco, di Vezzi e i diritti sul Castello di Noli, ma nel 1192, cedeva i suoi diritti sui castelli di Noli e di Segno alla Città di Noli erettasi a Libero Comune.

Queste vendite non furono molto gradite, anzi preoccuparono il Comune, giovane, di Savona che vedeva un’intromissione genovese, rappresentata dalla presenza di Noli nel Castello di Segno e di conseguenza nella rada di Vado e sui territori verso i quali aveva mire espansionistiche. Per queste ragioni il Consiglio Savonese deliberò l’acquisto della Castellania di Quiliano, delle Terre di Vezzi e dei Boschi di Consevola, obbligandosi a darli in feudo ai vecchi signori aleramici.

Nell’archivio di Savona esiste la pergamena originale del Diploma di Federico II, dato da Brindisi nell’aprile del 1222 che conferma la proprietà sul territorio di Vessi, con tutte le sue pertinenze, a Ottone Del Carretto, figlio di Enrico I Del Carretto, soprannominato il Guercio: …”emptionem quam cives eius fecerunt de pedagio porte et ripe Saone et de Legino et Lavagnola et Quiliano et Vezio et Cossegola et eorum Pertinentiis ab Ottone Marchione de Carreto”.

Gli storici savonesi lamentano la mancanza di documenti ed il Verzellino afferma che le terre di Vezzi furono acquistate dal Comune di Savona nel 1132, ma l’atto di questo acquisto non è depositato nell’archivio.

Nascono dei contrasti tra il Gastaldo di Vezzi, Raimondo, che fino all’ora si era dimostrato fedele alla politica savonese ed al Comune, tanto che per sua sicurezza, questi, nel 1256, lo costrinse a giurare fedeltà. Mai dal tempo che seguì vi furono contrasti tra l’Università degli uomini di Vezzi ed i Comune di Savona, tanto che il l’ 11 novembre 1254 gli uomini di Vezzi giurarono fedeltà al giudice Bertolino Bonifacio, rappresentante del Comune, retto da Simone d’Oria.

I nomi di questi uomini si riscontrano nel secondo volume dei Registri a catena ed alcuni di questi si tramandano ancora oggigiorno, o per patronimico di famiglia o per indicazione di località. Essi sono: “Io de Telesio, Ioh.iudex Riccardus de Campedo, Guillelmus de Campedo, Iacobus Bertaldus, Cbertus Gallerus, Obertus de Lore, Anselmus de Campedo, Enricus de Monte, Iacobus Rauscius, Iacobus de Lombarda, Raymondus de Telayo, Iaccibinus Rauscius, Toh de Calvis, Rufinus Buchinus, Nicholosus de Quercu, Enricus de Vassallo, Bonavia Collegius, Gullelmus de Costa, Ugo de Fascia, Iacobus Calumbus, Enricus de Fascia, ….”

Nel 1260 Raimondo di Quiliano giura al Podestà di Savona di tenere come feudo del Comune tutto ciò che possiede nei territori di Quiliano e di Vessi, mai suoi discendenti vengono considerati decaduti dalla successione.

Nel 1261 una parte del territorio di Vessi venne ceduto in feudo alla famiglia genovese dei Cigala nella persona di Nicola Cigala, che nello stesso anno lo restituisce, in presenza di Jacopo Fornari e dei cittadini di Vezzi, al Comune, tuttavia il podestà di Savona, Jacopo Boccanegra, lo reinveste del feudo e ne riceve giuramento, assicurando al Comune il mantenimento dei suoi diritti e la restituzione delle terre qualora ne fosse fatta richiesta e l’obbligo di reclutare armati, quanti più ne possa raccogliere. In quest’occasione anche gli uomini di Vessi, riuniti nella Chiesa di S. Giorgio giurano fedeltà al Comune savonese. Queste cessioni e questi acquisti celavano senz’altro manovre politiche. Un giuramento simile era stato fatto da Enrico II Del Carretto allorché Marchese di Savona governava la città.

Trascorrendo il tempo in pace, e poiché le terre di Vezzi erano care al Comune ed il governo dei Cigala era improntato sulla giustizia e sulla rettitudine, il giudice di Savona, Simone Cancellieri, ritenne utile per il bene del Comune dare investitura al casato di tutto il territorio di Vezzi in feudo nobile ed onorificato. Per ben due secoli la famiglia Cigala fu feudataria delle terre di Vessi.

1261 Nicola Cigala è investito dei 3/4 del territorio.

1270 Nicola Cigala è investito del restante 1/4 del territorio.

1293 Corrado Cigala e i suoi due nipoti, figli di Guglielmo Cigala, sono investiti dei 2/5 del territorio.

1302 Corrado Cigala e Anselmo, figlio di Lanfranco Cigala, sono investiti di 1/5 del territorio, Corrado giura fedeltà al Comune di Savona rappresentato dal Podestà Giorgio De Mari.

1309 Corradino e Melania figli di Corrado, sono investiti dei 4/5 del territorio.

Dopo questa data non si trovano altri documenti riguardanti la famiglia, fino al 1518, anno in cui Battistina Squarciafico, vedova di Bartolomeo Cigala reclama il resto della sua dote in 1400 lire genovesi. Tuttavia già dal 1456 sono operanti gli Statuti della terra di Vezzi del tutto simili agli Statuti di Quiliano del 1407. Il nome di Portio appare in alcuni documenti testamentari duecenteschi, il primo documento ufficiale di appartenenza al Marchesato di Finale è l’atto di divisione ereditaria rogato dal notaio Siccardi nell’ottobre del 1253 a Millesimo.

La spartizione della grande Marca lasciata da Giacomo Del Carretto, Universale Signore e Marchese di tutto il territorio carrettesco, Marchese di Savona e Signore del Finale, fermi restando i diritti di giurisdizione ed i proventi di acqua, di bosco, di pascolo e di pesca, toccò, per il territorio del Finale, al primogenito Antonio, che in effetti governava la Marca dal 1263.

In questo atto di spartizione si riscontra la dicitura “Castra et Villas et campagna vidolecit…item campagnam mediam de Portius et Vosis”, vale a dire la metà del territorio di Portio.

Ponte di Portio o dell’Acqua. (punte de portiu; punte dell’egua; punte vegiu)

C.1746-47: Ponte di Soucera.

GUST.1799: Ponte di Portio.

Il 2° ponte viene detto di Portio non tanto per la vicinanza a Portio, ma perché conduce a questa località. Mentre l’appellativo di ponte “dell’Acqua” è da ricondursi al fatto che sorge in prossimità di alcune sorgenti, dove è presente una costruzione dell’Acquedotto di Finale, chiamata cà du puncin. Nella carta del 1746-47 viene indicato un ponte dal nome di Soucera, per il quale è stata proposta un’identificazione con il ponte di Magnone []. Analizzando il documento, tenendo presente sia la scala di rappresentazione, usata dal disegnatore, e sia gli altri elementi che la compongono, è possibile ritenere che il ponte in questione sia quello di “Portio” e non quello di “Magnone” [].

Da un punto di vista toponimastico il nome Soucera potrebbe derivare da sawrxe parola che in dialetto ligure indica la pianta del salice. Per giustificare questa spiegazione, che potrebbe apparire piuttosto fantasiosa, occorre far riferimento ad un altra carta quella del catasto napoleonico (section B). In questa il ruscello che si trova nell’allora comune di Portio e Magnone viene chiamato Ruisseau de Salici.

A circa 800 m, percorsi sulla strada vicinale “Ciassabella”, si trova dislocato il 2° ponte; l’originario tratto di strada tra il 1° e il 2° ponte andrebbe ricercato nella zona occupata dagli ampi terrazzamenti agricoli alle pendici del Bric Carè e della Rocca di Portio. Il ponte sorge alla confluenza di vallette minori, che formano una sorta di pianoro, estremamente limitato; questa struttura non solo permetteva il proseguimento verso il fondo valle ma collegava la Val Ponci alla Valle di Cornei, tramite una serie di strade minori che dipartono dalla “colla di Punci”

Ponte di Magnone- Il ponte di Magnone essendo al di fuori della placca miocenica finalese è costituito da un rivestimento in blocchetti di quarzite, presente in affioramenti nella zona settentrionale intorno al Bric Carè. Del 1° ponte si conserva parte dell’arco, privo di ghiera e un tratto di muro di contenimento della strada che si va a innestare ortogonalmente al ponte. In base alla sua posizione, che aveva la funzione di immettere la strada proveniente dal valico di S. Giacomo sulla sponda destra del rivo e al dissesto idrogeologico della zona circostante, il tratto di via originario è da considerarsi perso.

Il ponte era costruito in pendenza, mentre l’arco su un piano orizzontale per dare alla strada un sicuro passaggio sul ruscello. Nella parte superstite dell’arco sono presenti un doppio filare di blocchetti più scuri e più sottili in altezza, che costituivano un motivo decorativo a timpano triangolare. Completando lo schema compositivo, il timpano andrebbe a occupare il prospetto del ponte, con la base tangente al concio in chiave e dall’inclinazione dei due lati, pari a quattro gradi, si delineerebbe l’andamento della carreggiata.

La presenza di questi accorgimenti ornamentali per una struttura extraurbana, che oggi si definirebbero superflui, rappresenta un unicum in ambito ligure, mentre si trovano alcuni esempi in ponti della Val d’Aosta. Oggi per poter visitare il ponte si percorre il primo tratto della strada vicinale “Ciassabella”, che non è da considerale l’originario tracciato, la strada infatti è stata ricavata tra i detriti dello smottamento alluvionale, che probabilmente determinò la perdita della via romana.

La mulattiera, oggi poco più di un sentiero, che collega la Val Ponci alla Valle di Cornei, riveste una notevole importanza viaria. La presenza di un altro ponte detto dell’Acquaviva o comunemente di Cornei, omonimo della valle, recante la scritta “XIV” riferibile alla sua datazione, che per alcuni studiosi di fine ‘800 sostituiva uno di epoca romana, rappresenta la possibilità che i percorsi moderni di questa zona rispecchino la viabilità romana.

Dal ponte di Cornei la strada portava da una parte alla colla di S. Giacomo, passando al di sotto del castello medievale di Orco, citato già a partire dal XII sec. d.C., e dall’altra costeggiando il fiume Sciusa, verso il fondovalle si giunge a Calvisio. Gli itinerari appena descritti sottolineano l’importanza che il colle di S. Giacomo doveva rivestire; qui convergevano sia la strada proveniente da Finale, passante per Orco, sia la strada che si fa iniziare dal vicus di Noli [], che corrisponde a quella indicata, con la via che dalle “Porte di Spagna” conduce al colle di S. Giacomo e a Mallare.

Ponte Muto- Dal 2° ponte, percorrendo circa 650 m della strada vicinale “Ragnata” si incontra il 3° ponte, detto Muto o delle Voze. Va ribadito che l’attuale sentiero non può considerarsi l’originaria via, che andrebbe però ricercata a pochi metri, parallelamente all’odierna, visto che l’orografia non permette altre opportunità. L’ambiente è caratterizzato dalla presenza di numerosi e ampi terrazzamenti che hanno inciso sulla conservazione del tracciato; si aggiunga che in questo tratto si trovano le cosiddette “cave romane”. L’attribuzione alla romanità è del tutto erronea visto che il materiale per la realizzazione dei ponti non è stato cavato; probabilmente le cave vennero così chiamate perché si trovano lungo la via romana. Purtroppo queste cave non sono mai state oggetto di indagini.

Il territorio della valle dei Ponci, amministrativamente appartiene tutto al Comune di Finale Ligure anche se territorialmente è parte integrale di Magnone – Portio e della via Julia Augusta. Oltre alle cave si sono trovati dei resti di alcune possibili fornaci da calce che potrebbero spiegare, per esempio, se il legante impiegato nei ponti venne prodotto direttamente in loco.

Sulla presenza romana nella Val Ponci è infatti possibile credere che i Romani non la scelsero unicamente per la posizione centrale che assume rispetto alle altre valli, ma anche perché vi era già presente in loco tutto il materiale necessario alla costruzione dei ponti e della strada stessa. La via proveniente dall’altipiano delle Manie che si unisce al tronco primario della via Iulia Augusta all’altezza del ponte Muto riveste una notevole importanza, perché rappresenta il razionale collegamento al vicus di Isasco.

Nel 1952-53, durante i lavori per l’apertura della nuova strada carrozzabile di collegamento tra la frazione Manie e quella di Isasco, venne scoperta una necropoli romana, costituita da una quarantina di tombe databili a partire dal I sec. d. C.

Isasco prima di allora era collegato al resto delle Manie attraverso una stradina secondaria, in parte ancora percorribile, che conduce all’Arma delle Manie, dove ha inizio il sentiero che porta al 3° ponte. Nell’Arma delle Manie, una delle grotte più grandi del territorio finalese, si è messa in luce una frequentazione a partire dal Paleolitico Superiore, con tracce di ritrovamenti anche romani.

La rioccupazione delle caverne preistoriche è un peculiare aspetto dell’area finalese. Il fenomeno è attestato soprattutto alle Arene Candide e in alcune grotte di Perti, tra cui la nota Pollera, nella quale furono scoperti alcuni frammenti di tegoloni romani. Il riuso in epoca romana di questi ripari e grotte è da mettere in relazione alla pratica della pastorizia.

Tra l’Arma delle Manie e la vicina cappella di S. Giacomo, durante la costruzione di una casa privata, fu rinvenuto del materiale romano, riferibile al corredo di una sepoltura. E’ perciò possibile formulare l’ipotesi che il sentiero che unisce il ponte Muto ad Isasco, passando per l’Arma delle Manie, possa ricalcare la via che univa il vicus alla Iulia Augusta, essendo supportato da alcuni ritrovamenti romani. Infine si aggiunga, che circa un anno e mezzo fa, all’interno di una grotta
della Landrassa, la zona che si estende tra l’Arma delle Manie e la Val Ponci, è stata individuata su una parete una dedicatio romana, la quale fornisce un’ulteriore prova che questo sentiero possa rappresentare una via minore romana e documenta come la frequentazione romana nella Val Ponci vada ben oltre la presenza dei ponti.

La storia ha lasciato varie tracce tra cui la Porta di Spagna, posto di frontiera al confine del marchesato di Finale, che appartenne nel XVII secolo alla corona di Spagna. Lasciando il rosso palazzo della Ferriera a Pian Soprano, dove si lavorava il ferro proveniente dall’isola d’Elba, si raggiungono le trincee napoleoniche sul monte Ronco di Maglio e la strada della regina, così detta in ricordo del passaggio di Margherita Teresa, figlia del Re di Spagna Filippo IV, in occasione del matrimonio con l’imperatore d’Austria Leopoldo I nel 1666.

Alesben B.

[2 –continua]


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