Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Lode alla farinata


La farinata di ceci, conosciuta anche come fainà (in ligure) è una torta salata molto bassa, preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine di oliva.

di Tiziano Franzi

Si tratta di un piatto italiano tipico della tradizione ligure, dove fu importato nel Medioevo dalla Repubblica Marinara di Genova, grazie ai contatti commerciali col mondo arabo e successivamente si è diffusa anche in altre parti dell’Italia, ossia in Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Sardegna:

  • in Liguria prende il nome di fainâ;
  • a Pisa è conosciuta con l’appellativo di cecìna;
  • a Livorno come torta di ceci (o, più semplicemente, torta);
  • a Massa e a Carrara come “calda calda“;
  • nel Basso Piemonte (in particolare nella provincia di Alessandria) e in Francia (soprattutto a Tolone) come cade;
  • nel Tortonese è chiamata anche belecauda, mentre a Nizza è conosciuta anche come socca;
  • in Sardegna (soprattutto a Sassari, a Carloforte e a Calasetta) il suo nome è fainè (tuttavia in questi luoghi viene spesso cotta con altri ingredienti, per esempio cipolle, acciughe, salsiccia e con l’aggiunta di una spolverata di pepe nero: da qui si è diffusa in parte della Sardegna settentrionale, specialmente ad Alghero e a Porto Torres);
  • è anche famosissima e presente in tutte le pizzerie dell’intera provincia di Ferrara e nel vicino Polesine, dove viene chiamata padellata di ceci e servita con sale e pepe oppure con salsiccia spezzettata e cipolla.

Da ricordare inoltre che la farina di ceci è protagonista altre ricette affini alla farinata diffuse nel Mediterraneo:

  • In Liguria la panissa, tipiche frittelle, sono fatte con gli stessi ingredienti della farinata che vengono fatti bollire rimestando per almeno un’ora, quindi rovesciate e fatte indurire dentro uno stampo (solitamente un piatto fondo) quindi fritte in abbondante olio e salate.
  • In Sicilia le panelle, tipiche frittelle del palermitano, sono fatte con gli stessi ingredienti della farinata ma vengono fritte nell’olio invece di essere infornate.
  • Nel Marocco settentrionale, di origine sefardita, esiste una variante della farinata chiamata caliente o calentita (il nome varia a seconda della zona) i cui ingredienti base sono: farina di ceci, acqua, olio, sale e uova.
  • In Francia è chiamata soccà.

Questa ampia diffusione è dovuta alla sua caratteristica di cibo povero, usato come alternativa al pane, in grado di dare sostentamento grazie alle vitamine B e C e al fosforo contenuti nei ceci e nella farina che da questi si ricava e che ne costituisce l’ingrediente primario.

Solitamente vengono utilizzati per la preparazione un forno a legna e speciali teglie (in ligure testi) preferibilmente in rame nelle quali viene cotta a temperatura elevata.
L’impasto di acqua e farina da cui nasce deve infatti riposare per almeno 4 ore prima di andare in forno

I produttori di farinata sono chiamati fainòtti in lingua ligure o farinotti in italiano.

Un po’ di storia- La farinata ha radici assai antiche: diverse ricette latine e greche riportano sformati di purea di legumi, cotti in forno. Le origini della farinata, come spesso accade, si confondono tra storia e leggenda. Si narra che Ulisse, nell’assedio di Troia, finite le scorte di cibo, fece mettere l’olio e la farina di ceci dentro i grandi scudi dei suoi guerrieri per cuocere il tutto sulla fiamma viva.

Altri raccontano che anche gli antichi Romani, durante l’occupazione di Genova, cuocessero acqua e farina di ceci, meno costosa di quella di grano, sugli scudi al sole.

Il testo è il tegame di rame stagnato per cuocere la farinata.

Dagli scudi saraceni deriverebbe il termine “testo”; nella lingua araba colta e nobile, infatti, “testooh” significa scudo. Il testo è il tegame basso in rame stagnato che viene utilizzato, soprattutto in forno: il suo diametro può variare dai 30 ai 150 cm.

Lo scrittore latino Marco Gavio Apicio, nella sua opera De Re Coquinaria, dedica ai legumi un intero libro, l’Ospreon.

Questo si sviluppa in otto paragrafi e raccoglie tutte le possibili combinazioni e cotture adatte alle leguminose. Di seguito ne riportiamo la struttura:

  1. Le farinate, con rifermento alla farina e alla semola di farro;
  2. Le lenticchie, proposte in tre varianti;
  3. I piselli, sempre consumati previa schiumatura;
  4. Le zuppe di piselli, fra cui una arricchita da pezzetti di pollo;
  5. Le creme d’orzo e di farro, con l’aggiunta di ortaggi e spezie;
  6. I baccelli verdi di fave e le fave baiane, in abbinamento a vari condimenti;
  7. L’erba medica, semplicemente cotta e servita accompagnata da salsa, olio e vino;
  8. I fagioli e i ceci, proposti sia cotti che crudi.
Apicio, De re coquinaria

I ceci erano ben noti anche nel mondo arabo: è opinione diffusa che siano stati i commerci delle Repubbliche Marinare di Pisa e Genova a importare in Italia, nel Medioevo, l’abitudine all’impiego di questo legume nello stile alimentare, tramutandolo poi in quella che oggi è la farinata.

La nascita della farinata risale a quando le galee genovesi, cariche di vogatori prigionieri, si trovarono coinvolte in una tempesta dopo aver sconfitto Pisa nella battaglia navale della Meloria (6 agosto 1284, in cui Genova sbaragliò Pisa).

Raffigurazione antica della battaglia della Meloria.

Nel trambusto alcuni barilotti d’olio e dei sacchi di ceci si rovesciarono, inzuppandosi di acqua salata. Poiché le provviste erano quelle che erano e non c’era molto da scegliere, si recuperò il possibile e ai marinai vennero date scodelle di una purea di ceci e olio. Alcuni marinai rifiutarono la poltiglia lasciandola al sole, che asciugò il composto in una specie di frittella. Il giorno dopo, spinti dai morsi della fame, i marinai mangiarono il preparato scoprendone la prelibatezza. Rientrati a terra i genovesi pensarono di migliorare la scoperta improvvisata, cuocendo la purea in forno. Il risultato piacque e, per scherno agli sconfitti, venne chiamato “l’oro di Pisa”.  Contro ogni aspettativa, il risultato non solo fu commestibile, ma addirittura gustoso. Il piatto si impose a tal punto che un decreto del 1447 ordinò di utilizzare soltanto olio di buona qualità per prepararlo e ne disciplinava la produzione, allora chiamata scripilita.

Caratteristici erano i locali in cui la si poteva acquistare o si poteva mangiarla con un bicchiere di buon vino. Oggi non ve ne sono quasi più. Erano le vecchie Sciamadde care a letterati e artisti, come Fabrizio De André, che erano soliti frequentarle. Tradotto in italiano, il termine Sciamadda (letteralmente “fiammata”) può significare negozio nel quale si vendono torte (salate) e, appunto, farinata. Luoghi tipici e caratteristici, caratterizzati dal grande forno a legna e anche da un odore tipico che sapeva di fritto e di legna arsa.

In passato la farinata, come la chiamano a Genova fainâ de çeixi, era tradizionalmente consumata il 1° Novembre, Festa di Tutti i Santi, e nel giorno di Capodanno.

Molto presente sulle tavole, negli snack ma di recente anche negli aperitivi è molto apprezzata anche come cibo di strada.

Antica sciamadda, Genova, via S. Giorgio
Fabrizio de André con il figlio Cristiano in una sciamadda di Genova
Un fainotto al lavoro

Le ricette. La farinata genovese.

La preparazione della farinata è davvero semplice, così come lo sono gli ingredienti che la compongono:

Ingredienti per 4 persone

300 g. di farina di ceci,
1 litro d’acqua,
mezzo bicchiere d’olio
sale e pepe q.b.

Procedimento- In una terrina disporre la farina a fontana, aggiungere il sale e unire l’acqua poco per volta – per non far formare i grumi –, mescolando con un cucchiaio di legno. Lasciar riposare il tutto per qualche ora. In una teglia mettere l’olio e versare il composto di acqua e farina, trascinando l’olio in eccesso dai bordi verso il centro. Far cuocere in forno preriscaldato a 250 gradi, per una decina di minuti. Spolverare la farinata con il pepe e servire caldissima.

Nelle ricette regionali la si trova spesso guarnita in differenti modi, con rosmarino o cipollotti, oppure salsiccia, spezie fra cui il pepe, e ancora con l’aggiunta di stracchino o di gorgonzola.

La farinata bianca- La farinata bianca è una variante di quella di ceci, tipica di Savona e stretti dintorni, prodotta con farina di grano anziché con farina di ceci e spolverata di pepe nero; per questo motivo assume una caratteristica colorazione bianca invece che giallastra; generalmente ha uno spessore minore e una maggiore croccantezza rispetto a quella di ceci.

La farinata bianca

La farinata bianca si prepara solamente con farina 00 e il procedimento è lo stesso della farinata di ceci. Infatti si devono mescolare una parte di farina e 3 parti di acqua in una ciotola e poi lasciarla riposare da un minimo di 3 a un massimo di 5 ore. Una volta riposata si toglierà l’eventuale schiuma, si mescolerà nuovamente e poi si cuocerà in forno simulando il forno a legna quindi al massimo della temperatura e con il grill acceso. Ovviamente i tempi di cottura varieranno a seconda della temperatura che raggiungerà il vostro forno. Vi consiglio di provarla e di gustarla ancora calda perchè è davvero buonissima. Potete anche aromatizzarla con rosmarino o origano o mettere sopra cipolla (o cipollotti) affettata.

A fainò di Carloforte- La fainò tabarchina è del tutto identica alla farinata genovese, è una preparazione tradizionale delle comunità di Carloforte e Calasetta. In passato a Carloforte era preparata in casa e venduta dai ragazzi per le vie del paese, il cui passaggio era scandito da caratteristico richiamo Oh fena fè! Coda ch’a bè! Attualmente oltre che essere una preparazione domestica, è venduta presso le pizzerie al taglio.

La fainò inta crusta è una preparazione peculiare della cucina tabarchina (cioè di Carloforte) e rappresenta uno dei piatti più singolari della gastronomia locale. Si tratta di un impasto di semola di ceci, sapa e uvetta passa, raccolto in una semplice sfoglia e cotta al forno.

A fainò ‘nta crusta tabarchina

 

Tiziano Franzi


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T.Franzi

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