Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Lode alla focaccia, vanto della Liguria


Per favore, non chiamatela “pizza bianca”, “schiacciata” o “spianata”; è FOCACCIA , uno dei vanti della cucina ligure!

di Tiziano Franzi

Un po’ di storia- Le origini della focaccia sono molto antiche; già fenici, cartaginesi e greci utilizzando farine di orzo, di segale e di miglio ne cuocevano al fuoco. La parola deriva dal tardo latino “focus” che richiama la cottura nel focolare. In latino veniva chiamata “focacia”, femminile di “focacius”. Spesso con la parola focaccia ci si riferisce a tutte le sue varianti, ma oggi con questo nome si indica soprattutto la focaccia genovese. Fugassa è il termine in ligure. Secondo Fiorenzo Toso, moderno linguista e autore del “Piccolo dizionario ligure”, la parola appare per la prima volta in un documento scritto nel 1300.

Nell’antica Roma era chiamata panis focacius, una tipologia di pane, probabilmente piatto, cotta sul focolare. Le focacce erano considerate un cibo molto prelibato e per questo motivo venivano offerte agli dei, soprattutto durante le festività legate all’agricoltura e alla prosperità, come le Ambarvalia, festa per propiziare la fertilità dei campi, celebrati in onore della dea Cerere.
Nel medioevo essa era presente sulle mense sia dei nobili sia dei meno abbienti, con l’abitudine di intingerla nel vino e in epoca rinascimentale era consumata insieme al vino nei banchetti di nozze. È Luigi Tommaso Belgrano, nella sua opera “Della vita privata dei genovesi” del 1866, a dirci che già nel 1392 nell’inventario dei beni di un fornaio, si trovasse l’indicazione “pala una magna pro fugacis“, riferendosi cioè a una grande pala necessaria per introdurre nel forno un prodotto forse non contenuto in una teglia, ma cotto direttamente sul piano del forno stesso.

Nell’800 la focaccia divenne il cibo dei portuali genovesi, che la consumavano
alle 11 in punto assieme a un buon bicchiere di vino bianco di Coronata. La sensazione di sazietà che ne derivava permetteva ai camalli, all’occorrenza, di saltare la pausa pranzo. Come il pane, ma più ricca per via dei grassi, olio o strutto, utilizzati per l’impasto o per il condimento, in Italia è stata da sempre particolarmente diffusa.

Cibo di viaggiatori e pescatori, la focaccia pare debba la sua nascita anche ai lunghi tempi d’attesa che i fornai dovevano affrontare durante le notti di lavoro, ore ingannate infornando direttamente sulla base del forno pezzi di pasta non lievitata, che una volta cotti venivano mangiati in compagnia, magari farcite di ortaggi, salumi o formaggi. Così la zona portuale di Genova si riempì di sciamadde” (fiammata, in dialetto genovese) e di forni, di donne e di uomini che trovano nella focaccia un modo semplice e poco costoso per vincere la fame.
Oggi parlare di focaccia significa correre con il pensiero e la gola verso la regione italiana creatrice di vere leggende: la Liguria che con le sue innumerevoli tipologie di focacce si è affermata nel panorama gastronomico mondiale.
A Genova già nel ‘500 il consumo della semplice focaccia all’olio era familiare e diffuso anche in chiesa, soprattutto nel corso dei matrimoni: gli sposi erano soliti offrirne qualche pezzo agli invitati, come segno di fortuna e prosperità, bevendo insieme del vino nel momento della benedizione. Pare che l’uso fosse talmente diffuso che nel 1500 il vescovo Matteo Gambaro si vide costretto a minacciare di scomunica alcuni frati se non si fosse cessato l’uso di cibarsi di quella “frugalia” o “pitanza” che, evidentemente, doveva risultare molto appetitosa visto che i fedeli se la dividevano perfino nel corso delle funzioni funebri.

La vera focaccia genovese- La focaccia classica è una specie di pane schiacciato con un impasto morbido simile a quello della pizza alta, spesso due o tre centimetri. In genere presenta un interno piuttosto alveolato e una crosta dorata molto sottile, piena di rientranze che trattengono l’olio, il sale, o qualunque ingrediente si aggiunga sulla superficie.

Il modo “professionale” per gustarla è prendendo il tassello con due dita, rivolgendo la superficie unta e dorata verso il basso, in modo che incontri per prima le papille gustative.
Sfatiamo il mito sull’utilizzo dello strutto: mai utilizzarlo! Solo ed esclusivamente olio extravergine d’oliva; non devono mancare gli”occh”i ben pronunciati che si riempiono di olio e sale. Deve sciogliersi in bocca ed il giorno dopo diventare secca e spezzarsi. Non deve avere mollica (la focaccia non deve essere alta) , non deve quindi in alcun modo assomigliare al pane: sono e devono restare soltanto lontanissimi parenti.

Per una focaccia perfetta è importante acquistare prodotti di ottima qualità, meglio se locali, permettendo all’impasto di lievitare correttamente. Un risultato spesso influenzato dal clima e dalla temperatura esterna, come ben sanno i fornai di Genova.

Procurate:

  • 1 chilogrammo di farina 00 rinforzata
  • 20 grammi di estratto di malto
  • 550 grammi di acqua
  • circa 200 grammi di olio extravergine di oliva (meglio se ligure)
  • 35 grammi di lievito di birra
  • un pizzico di sale

Versate in una ciotola capiente malto, farina, un pizzico di sale e l’acqua mescolando e impastando con cura. Aggiungete il lievito, continuando a impastare, seguito da circa 50 grammi di olio, lavorando il tutto per un composto omogeno. Create un panetto, disponetelo in un contenitore coperto con pellicola trasparente lasciandolo lievitare per 30 minuti, meglio se in uno spazio chiuso e umido. Lavorate l’impasto allargandolo con il mattarello per poi posizionarlo sopra la leccarda da forno precedentemente oliata. Allungatelo verso i bordi per distribuirlo, coprite con la pellicola per la seconda lievitazione di 30 minuti. A questo punto create la salamoioa mescolando circa 100 grammi di olio con acqua e spennellatelo sull’impasto. Versate una manciata di grani sale grosso e, con i polpastrelli, create le particolari fossette che definiscono la fisionomia della focaccia. Si procede con un’ultima lievitazione di circa 2 ore, senza copertura e in un luogo umido e chiuso. Infornate per 20 minuti a 220 gradi, per poi gustarla calda appena sfornata.

Nella descrizione delle fossette che caratterizzano la superficie della fügassa, infatti, si invitano massaie e fornai a pizzicare appena la superficie della pasta, mentre nella versione attuale il consiglio è di affondare le dita quasi con tutta la prima falange nell’impasto. Questo lascerebbe presupporre per il passato un qualcosa di diverso dai classici alveoli rispetto a come oggi li osserviamo oggi.

Comunque stiano le cose, quel che è certo è che per i tempi più antichi, nessuno sa dire come si facesse la focaccia anche se sicuramente non si utilizzava il lievito di birra ma la pasta madre, o “crescente”.

Non ci è dato nemmeno sapere quanto olio ci fosse sopra o nell’impasto. Lo stesso termine focaccia, inoltre, nel passato, non indicava sempre il prodotto che oggi è addirittura tutelato da un marchio. Nelle case, per esempio, si preparavano pani piuttosto bassi, dolci o salati, che la gente chiamava focacce, le stesse che si continuano a produrre oggi nelle famiglie contadine di alcune valli dell’entroterra. ma che nulla avevano o hanno a che vedere con la fügassa.

Nonostante la ricetta abbia ceduto alle richieste attuali. alcuni artigiani liguri prediligono la preparazione di un tempo, con ingredienti sani e salutari. La focaccia sfornata deve risultare bassa, alta non più di un dito, soffice, con degli occhielli creati con le dita in grado di accogliere l’olio, apparendo così dorata e gustosa. Secondo la tradizione si taglia a tasselli, si recupera il primo con le dita con la parte unta rivolta verso il basso così che possa abbracciare subito le papille gustative scatenando i sensi.

Con un colore tra il dorato e l’ambrato e uno spessore che non deve superare i 2 centimetri, la focaccia genovese si presenta morbida all’interno e croccante sui bordi e all’esterno. Salata, umida, ben oliata senza risultare unta e incredibilmente leggera, questa prelibatezza è ricca di tanti alveoli ben marcati in cui si accumulano l’olio e i granelli di sale grosso: è questo il canone per i palati dei genovesi che considerano la fügassa una vera e propria istituzione, simbolo dell’essere e del sentirsi dei veri genovesi. «In bellu toccu de fügassa», un bel pezzo di focaccia genovese, si dice sia il modo migliore per iniziare la giornata. Sotto la lanterna, infatti, è da qualche tempo considerato un must irrinunciabile tuffare una striscia di fügassa nel cappuccino. Ma da sempre il suo accompagnamento classico è un buon bicchiere di vino (in gottu de vin) bianco secco, fresco di cantina, “u gianchettu“, magari un Vermentino, o una Bianchetta, o rosato, di quello vero, dei vigneti di Ponente, non importa se all’ora dell’aperitivo o in pausa pranzo o per cena, sotto forma di “slerfa” o “striscia”.

Apprezzata in tutta Italia come anche dai turisti stranieri, il suo segreto sta tutto nella scelta di ottimi ingredienti e nelle lunghe lievitazioni. A tal proposito si dice che a contribuire alla buona riuscita della fügassa sia anche la sensibilità del fornaio nel riuscire a decifrare il clima e la temperatura di una città che, in alcuni periodi dell’anno, mal si conciliano e non sembrano voler favorire affatto i processi di lievitazione.

La focaccia di Recco, quella di Voltri e di Carloforte.

Diverse le versioni delle focacce in Liguria, queste le più tradizionali:
– Classica di Genova che deve avere lo spessore fra uno e due centimetri, lucida d’olio con crosta mai pallida e chiara, e la superficie caratterizzata dalla presenza di buchi;
– Focaccia di Recco, la cui nascita sembrerebbe attestarsi nel XII sec. secondo un documento che cita una preparazione offerta ai crociati in partenza verso la Terrasanta, fatta con una sfoglia sottilissima ripiena di formaggio fresco;
– Focaccia di Voltri, pur derivando dagli stessi ingredienti dalla focaccia classica ne differisce per la consistenza dell’impasto e per la tecnica di cottura.

. Fugassa, o focaccia dei Tabarchini, variante della focaccia genovese, presente a Carloforteisola di San Pietro (Sardegna). I tabarchini sono gli abitanti dell’isola di San Pietro, comprendente il comune di Carloforte (unico centro abitato dell’isola) e quelli del comune di Calasetta, sulla vicina isola di Sant’Antioco, nella provincia della Sardegna meridionale. Discendenti di coloni liguri stanziati nel XVI secolo nell’isola di Tabarca (Tunisia), da cui il nome, si trasferirono nelle isole del Sulcis alla metà del XVIII secolo, costituendo nel corso dei secoli una propria parlata, il tabarchino, affine al ligure, nonché i loro peculiari usi, tradizioni e gastronomia.

Oltre alla classica genovese, la variante di focaccia più famosa è quella di Recco.

Già lo scrittore latino Catone la cita nel “De re rustica” come “scripilita cum caseo sine mille”; In seguito gli studiosi ne collocano la produzione in Liguria all’epoca della terza crociata.

“Era la Pentecoste di rose dell’anno 1189… la cappella dell’Abbazia di San Fruttuoso accoglieva i crociati liguri per un solenne Te Deum prima della partenza della flotta per la Terra Santa… Sulle bianche tovaglie di lino ricamate facevano bella vista i piatti di peltro e di rame, zuppiere di ceramica e di coccio colme di ogni bendiio: pagnotte di farro ed orzo impastate con miele, fichi secchi e zibibbo, carpione di pesce, agliata, olive e una focaccia di semola ripiena di giuncata appena rappresa (la focaccia col formaggio)…”.

In seguito la leggenda narra che la popolazione recchese si rifugiava nell’immediato entroterra per sfuggire alle incursioni dei saraceni e grazie alla possibilità di disporre di olio, formaggetta e farina, cuocendo la pasta ripiena di formaggio su una pietra d’ardesia coperta, venne “inventato” quel prodotto gastronomico che oggi conosciamo come “Focaccia di Recco col formaggio”.

Sul finire del 1800, quando Recco contava circa 3.000 abitanti, ritroviamo la “Focaccia di Recco col formaggio” nei cinque forni cittadini che campavano alla meglio vendendo esclusivamente le focacce liguri, uno di essi esiste ancor oggi (forno Moltedo). Alla fine dell’800 aprono a Recco le prime trattorie con cucina, ed a quei tempi la “Focaccia col formaggio” veniva proposta unicamente nel periodo di celebrazione dei morti.

Grazie all’intraprendenza di “rechelini doc” di allora, professionisti panificatori e ristoratori di oggi, “Manuelina, Vittorio, Vitturin, le famiglie Moltedo e Tossini fra i più conosciuti, la focaccia col formaggio vide il suo sviluppo commerciale e d’immagine. Con le loro abilità attirarono nelle osterie e nei forni recchesi il bel mondo d’inizio secolo diffondendo questo prodotto “principe” della gastronomia cittadina, (di quei tempi si ricorda che persino Guglielmo Marconi e l’Infanta di Spagna degustarono la focaccia col formaggio venendo appositamente a Recco).
Le compagnie teatrali divennero clienti fissi perchè dopo lo spettacolo in teatro, da Genova si trasferivano a Recco richiamati dal profumo … e dall’ospitalità infinita di quegli “osti” recchesi che fin da allora fecero della loro arte naturale “del far da mangiare” una professione cresciuta poi nel tempo. precorrendo i tempi e tenendo aperto fino a tarda notte i loro locali, tutto grazie a lei, la focaccia col formaggio che solo qui si trovava.

Durante l’ultimo conflitto mondiale Recco venne più volte rasa al suolo dai bombardamenti. vedendo così annullate tutte le sue capacità di attrattiva turistica conservate nel tempo da altre vicine località balneari della riviera. Ciò nonostante gli abitanti recchesi hanno dato estro alle proprie fantasie del “saper fare” creando da una tradizione quasi “leggendaria” un vero e proprio filone d’imprenditoria che ancora oggi risulta trainante.

Negli anni ’50 arrivano i primi turisti e si inizia a comprendere che il futuro di Recco sarebbe stato basato su di loro, con particolare attenzione a quello che oggi viene ormai chiamato “Turismo di gola” o turismo enogastronomico.

Nel 2005 viene costituito il “Consorzio Focaccia di Recco col formaggio“, costituito nel 2005, che aveva come primo obiettivo il conseguimento della tutela europea “Indicazione Geografica Protetta” (IGP) per la famosa specialità gastronomica. Il 15 gennaio 2015 con pubblicazione sulla Gazzetta dell’Unione Europea, la Focaccia di Recco col formaggio IGP è diventata il 278.mo prodotto d’eccellenza che rappresenta l’Italia nel mondo. Fanno parte del Consorzio 14 aziende con 20 punti vendita attivi nella zona di produzione che comprende le cittadine di Recco, Camogli, Sori e Avegno.

La sua autentica ricetta rimane a tutt’oggi un segreto tramandato di padre in figlio. Le denominazioni “Focaccia di Recco” “Focaccia al formaggio di Recco” sono marchi depositati e possono essere utilizzati soltanto dagli aderenti al Consorzio. Tutti gli altri devono usare la dicitura “Focaccia TIPO Recco”.

La difficoltà della sua realizzazione consiste soprattutto nella leggerezza del sottilissimo strato di pasta che racchiude un condimento fatto con stracchino, o meglio, con la tradizionale prescinsêua. Si chiama così la «quagliata» ligure che si ottiene dal processo di acidificazione del latte, normalmente proveniente dagli Appennini: la cagliata acida che ne deriva viene poi fatta riposare in contenitori di vetro o plastica e  – come tutti i formaggi freschi  – deve essere consumata in pochi giorni. Le prime tracce storiche sulla prescinsêua risalgono al periodo tra il Trecento e il Quattrocento. Nel 1413 una legge della Repubblica di Genova la indicò come unico omaggio che i genovesi potevano fare al Doge, probabilmente per la sua salubrità. Sempre in quel periodo il medico Oderico raccomandava di mangiarla perché già allora sosteneva che è «leggera» e «facilmente digeribile», ma nonostante le premesse la quagliata ligure non è andata molto oltre i confini regionali.

La storia di questo formaggio è poco nota oltre i confini liguri; si legge infatti nelle motivazioni che ha indotto l’Onaf (Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio) a premiare il comune di Genova. «Pantaleone da Confienza, nella Summa dei latticini, riportava che Genova commerciava in caci tome e prescinsêua. L’arte dei formaggiai genovesi nel 1700 a Sottoripa  – prosegue l’Onaf – citava la prescinsêua come uno dei formaggi che più veniva commercializzato». Curioso peraltro il modo in cui veniva commercializzato: il Comune di Genova nella nota in cui annuncia la notizia ricorda che un tempo i pastori che la producevano tra le colline scendevano fino alle spiagge per vendere  la prescinsêua. Spesso, venivano circondati da bambini perché veniva guarnita con zucchero e cannella per preparare un dolce. Un dolce goloso ma sano, e anche un’idea molto semplice per provare o riprovare questa specialità.

La focaccia in versi- Alcuni poeti liguri hanno dedicato i loro versi a celebrare questo emblema della Liguria a tavola. Così Ernesto Beraldo in “Poesie de Zena” dedica alla focaccia un’intera ode:

ODE A FUGASSA

Fugassa gustosa
Te da mae goa golusa
o primmo amou du mattin.
Ou so’ ti t’ accompagni vuentea
con un gottin gianco de vin,
no importa so vegne da Cona o da sant’ Olseise,
basta co segge comme ti genuin e zeneize.
Mi te digo ancon che te a mae pasciun
che senza de ti no posso sta’ e,
che ogni boccon che mando zu,
a le na benedission; e te mangio e te collo
e no te mollo. Fragrante da’o forno con a ciola o senza, ( devo dì in coscienza ) che te mando in to mae cheu, pe no di in ta pansa a bocconcin grasci
perché de pillucate no go pazienza!

Traduzione per i foresti ( forestieri )

Focaccia gustosa sei della mia gola golosa
il primo amore del mattino.
Lo sò che tu ti accompagni volentieri con un bicchierino
di vino bianco, non importa se di Coronata o di Sant’ Olcese,
basta che sia come te genuino e genovese.
Ti voglio dire ancora che sei la mia passione,
che senza te non posso stare e
che ogni boccone che mando giù
é una benedizione; e ti mangio e ti inghiotto
e non ti lascerò mai. Fragrante dal forno con la cipolla o senza,
( devo dire in coscienza ) che ti mando nel mio cuore,
per non dire in pancia a grossi bocconi
perché di sbocconcellarti non ho pazienza!

E Costanzo Carbone, indimenticabile cantore di Genova e di tante tradizioni genovesi, della suddetta focaccia fornisce una delle descrizioni più belle che mai si siano lette e a tal proposito scrive:

«Fugassa, fugassa,
drento a-o papê de strassa
mangiâ de bon mattin!
Mangiäte in sce-a terassa
e beivine un gottin..
a l’è ancon ‘na demöa
che a-i vegi a ghe fa göa
e i zoeni a mette in trappa
ciù che un gttin de rappa!»

Traduzione per i foresti ( forestieri )

Focaccia, focaccia,

dentro alla carta fatta con gli stracci

mangiata al mattino presto!

Mangiate sulla terrazza

E berne un bicchierino….

È ancora un divertimento

Che agli anziani fa gola

E mette in tiro i giovani

Più di un bicchierino di grappa!

E, ancora in poesia, l’insostituibile Carbone aggiunge:

«Umia, tenia ch’a pà moula,
sciocca, fresca, profummâ,
o fogassa, co-a çioula,
te tornemmo ancheu a cantâ,
tutta pinn-a d’ombrisalli
ûmia d’euio de Dian,
pe-i scognori, pe-i camalli
ti diventi marsapan».

Traduzione per i foresti ( forestieri )

Umida, tenera come la mollica,

soffice, fresca, profumata

o focaccia, con la cipolla,

torneremo anche oggi a cantarti

tutta piena di alveoli

umida dolio di Diano,

per i signori, per i facchini

diventi come il marzapane.

Tiziano Franzi


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