Non vi è alcun dubbio che la opinione pubblica occidentale, grazie alla maggiore libertà informativa di cui dispone rispetto ad altri ambienti, come Russia, Lega araba e viciniori, Cina, sia quella potenzialmente più riflessiva sui possibili modelli di sviluppo economico e di civiltà che la riguardano.
di Sergio Bevilacqua
È anche tra tutte la più acculturata, dove il tasso di persone dotate di cultura almeno media (cioè pre-universitaria) è più elevato e le condizioni di valutazione critica ben più presenti.
Dunque, è assai legittimo riflettere su quali siano le proposte di coloro che, nel mondo, criticano l’Occidente sul piano economico, organizzativo, morale o addirittura bellico, analizzare le loro ragioni e proposte e valutarle in modo comparato alle caratteristiche di questo nostro Occidente europeo ed angloamericano, figlio della Rivoluzione industriale, delle conseguenze coloniali e della generazione di un ceppo di sistemi democratici di gestione delle comunità, piuttosto diversi tra loro ma ancora in grado di dialogare e di proporre un’antropologia comune.
Le mie riflessioni sono quelle di un sociologo clinico incallito, un sociatra, che ha impostato la sua professione e la sua ricerca semisecolare su base empirico-sperimentale, cioè clinica e metodologica, e non su posizioni inquinate da una visione filosofica e dell’altra, da una ideologia e dall’altra, da una religione e dall’altra, da un interesse solo materiale e dall’altro: nulla escluso, la valutazione di opportunità deriva quindi da ciò che si presenta come più benefico per l’umanità, considerando elementi in primis oggettivi, e poi la loro probabilità e ipotesi di evoluzione, insieme agli elementi di variazione che si manifestano.
Infatti la Società Umana (una), e Le società umane che possiamo calcolare nel numero di almeno 40 miliardi, cioè 5 volte la popolazione di esseri umani soggetti della variegata specie Homo Sapiens (o sapiens-sapiens), ha enorme bisogno oggi di orientamenti avveduti, poiché è evidente che l’iperbole, avvenuta negli ultimi 20 anni nella proliferazione di società umane con caratteristiche discrezionali proprie, rappresenta un enorme fattore di aleatorietà e di potenziale entropia (la forma più grave di entropia di un sistema sociale è la guerra, che è sempre anche violenza…), così come di valore nel senso di soddisfazione di esigenze funzionali e di elaborazione umanistica al variare dell’ambiente (che non è solo esterno, ad esempio l’ecosistema, ma anche interno, le implicazioni antropologiche dovute all’antropocene).
Allora ecco che si presentano oggi alcuni modelli apparentemente alternativi. Direi però che sono tutti spurii, cioè non netti, in quanto alcuni elementi di tipo olistico (dell’intero costituito da questo mondo fortemente integrato) sono comuni a un modello e all’altro e ben di più di come fu sempre nella storia. La globalizzazione, prima di tutto fatto tecnico della nuova società industriale mondiale, elemento antropologico, ha creato interessi che superano il livello degli Stati e delle loro federazioni. E così è avvenuto il diffondersi del logico diritto alla libera strategia di imprese globali, che sono sorte soprattutto dove la rivoluzione industriale ha più attecchito, Europa, Nord America, Giappone, e più tardi, a costi civili altissimi (la Rivoluzione culturale, con molti milioni di vittime) anche nel placido ventre dell’Asia, la Repubblica Cinese, cosiddetta comunista, parola da utilizzare a ragion veduta, non come nel superficiale politichese nostrano: infatti, il caso della Cina è certamente quello di un profondo revisionismo nel ceppo del comunismo marxista e anche maoista.
Salvo casi particolari, di poche aziende mondiali nate altrove, il grande potere dell’economia globale viene dalle aree suddette. Esso sposta all’interno di organismi prevalentemente privati (anche se regolati da sistemi di controllo interni nel modello storico occidentale o anche esterno, statale, nel modello ibrido privato/collettivo cinese) moltissime forme di potere, prima interpretate dagli Stati, con un processo in corso molto forte e ben poco compreso da vecchi intellettuali astratti, statisti e politici. Il culto della geopolitica appare oggi, di fronte alla nuova sostanza sociologica, un gioco per bambini, ancora pericoloso certo, ma non definitivo e assolutamente almeno un poco sempre eteronomo.
Un fattore fondamentale di valutazione riguarda quindi il grado di integrazione tra poteri statali ed economici globali, con i secondi in evidente rotta differente rispetto ai primi. Nelle democrazie occidentali vi è una sorta di pericolosa congiunzione operativa, causa i meccanismi elettorali che agiscono soprattutto in termini comunicazionali, e sono soggetti a investimenti pubblicitari. Attraverso essi, il potere economico può condizionare le scelte di voto e così si verifica una possibile congiunzione tra poteri economici, magari già apolidi, e risorse pubbliche statali-locali (soprattutto belliche e di servizi ad ampio spettro) ancora incardinate negli Stati, repubblicani di nome e di fatto. Vi è poi una gamma di situazioni sociopolitiche (ad esempio Russia e Lega Araba) ove le oligarchie economiche autoctone, non industriali, prevalentemente primarie ed estrattive, sono tutt’uno con la funzione d’indirizzo e controllo degli Stati.
E si aggiunge il modello cinese, con un capitalismo di Stato che ha intelligentemente lasciato all’iniziativa privata la organizzazione competitiva globale, che nessuno Stato riesce a produrre da solo, come ha dimostrato il caso storico del Socialismo reale sovietico. Un’ibridazione assolutamente innovativa e possiamo dire ben riuscita, constatando il grado d’integrazione dell’economia industriale cinese sul mercato globale e il ruolo vieppiù importante della sua Ricerca e Sviluppo, sempre in rincorsa dell’Occidente ma ormai anche arrivata ad essere creativa, e della Finanza, pur essendo ancora monetaria fisica, vedi BRICS, mentre il vero orizzonte alternativo è quello della moneta digitale, su cui gli attori occidentali sono molto più avanti.
Alla luce di quanto sopra, possiamo dire che al calare delle forme democratiche, in una gradazione presente anche all’interno delle Democrazie, crescono, acquisiscono maggiore potere, oligopoli e poteri partitici; come conseguenza, se la strategia è la difesa di interessi localistici e pre-industriali, queste realtà vecchie sono destinate a lasciare il passo, in un modo o nell’altro, al nuovo mondo integrato e guidato nel suo benessere e nelle sue esigenza di sopravvivenza e sviluppo dagli attori delle economie globali e da Stati coordinati o anche solo comprensivi.
A questa ultima categoria di Stati e di civiltà ascriverei le democrazie occidentali, che rappresentano ancora la più forte onda dell’innovazione antropologica.
Potrei avere dei dubbi favorevoli, riguardo al lungo termine sulla proposta civile della Cina, ma certo non sulla Russia o sui Paesi Arabi. I BRICS hanno una politica di concorrenza rispetto allo sviluppo economico e stanno organizzando per la prima volta una force-de-frappe economico-finanziaria, al momento basata su fatti di politica monetaria fisica e non su quella digitale, che è invece la vera star finanziaria e patrimonio evolutivo di tutti, i gruppi economici apolidi inclusi.
Il mio commento a favore dell’Occidente riguarda soprattutto il fatto che la civiltà occidentale è la principale portatrice delle 4 rivoluzioni sistemiche sincrone in corso nell’umanità:
- La globalizzazione, che non va confusa come detto sopra come una forma di vetusta geopolitica, che fa affiorare un potere economico globale basati du organizzazioni private e non pubbliche come gli Stati (ad esempio quelli uniti nell’FMI o nei BRICS).
- L’antropocene e le sue migrazioni e fusioni culturali, anche se le masse moltiplicate sono soprattutto asiatiche, africane e sudamericane
- La mediatizzazione estrema, che è effetto incontrastabile della grande fusione tecnologica tra il web e la telefonia cellulare
- La ginecoforia, cioè l’emersione della donna in tutte le società umane, su cui le tecnologie riproduttive e i relativi diritti civili trovano ben più solidi supporti in Occidente che non altrove.
I capitali e le economie apolidi, con relative aziende, non vedono di buon occhio Stati autarchici, ideologici e politicoidi, e tanto meno guerre, mentre gradiscono Stati leggeri, enti di supporto e non di azione autonoma come sono quasi le democrazie liberali.
In sintesi, se vogliamo proprio parlare di alternativa (che trovo però oggi un discorso teorico da barbuti e barbosi filosofucci), fuori Occidente troviamo in prevalenza il vecchio-che-resiste e l’opportunismo, condito di frusta geopolitica e di un invece giusto ruolo, oggi che è proprio un momento storico limitato, di proposta alternativa su alcuni punti come moneta e finanza mondiale, in attesa però della finanza digitale, che taglierà un’altra volta la testa al toro.
Sergio Bevilacqua