Il 26 giugno 1967 moriva di leucemia a 44 anni don Lorenzo Milani. Sulla sua figura si dividono ancora oggi detrattori e sostenitori. Per la verità, accanto ai detrattori che per pregiudizio ideologico non possono che parlare male di don Milani, ci sono anche alcuni sostenitori che lo hanno frainteso finendo col rafforzare le ragioni dei detrattori.
di Luigi Vassallo
In questo mio contributo cercherò di mettere a fuoco i punti forti delle provocazioni di don Milani.
Muore di leucemia. Un anno dopo, il 28 ottobre 1968, viene condannato per apologia di reato, avendo difeso contro i cappellani militari la coerenza di chi, scegliendo l’obiezione di coscienza (che allora non era ammessa in Italia), accettava la galera
pur di non prestare servizio militare.
Di don Milani ha detto papa Francesco: Apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza per difendere i propri diritti erano verbi che don Lorenzo coniugava quotidianmente a partire dalla lettura della Parola di Dio e dalla celebrazione dei sacramenti, tanto che un sacerdote che lo conosceva molto bene diceva di lui che aveva fatto indigestione di Cristo.
L’idea di scuola di don Milani– Viene accusato da alcuni di aver contribuito alla distruzione del sistema scolastico italiano diffondendo un’ideologia dell’egualitarismo che avrebbe favorito il disimpegno degli allievi e la riduzione degli obiettivi didattici a un grado minimo di sapere. È vero che don Milani è stato “sequestrato” da alcune tendenze del Sessantotto (non di tutto il Sessantotto) che hanno frainteso il
suo invito a “non bocciare” fino a travisarlo in una promozione per tutti sulla carta, senza nessuna corrispondenza con la promozione reale. Invece la metafora della scuola che boccia come un ospedale che si tiene i sani e caccia via i malati non è un invito a tenersi i malati senza curarli, ma a fare della cura dei malati la missione dell’ospedale. Quindi, non bocciare non significa chiudere gli occhi sulle ignoranze, i ritardi, le insufficienze; significa al contrario farsene carico riorganizzando la scuola nei tempi e nei metodi per cancellare le disuguaglianze culturali che, nascendo da disuguaglianze economiche e sociali, le legittimano e le rinforzano.
Il padrone sa 1000 parole. Tu ne sai 100. Ecco perché lui è il padrone. Basterebbe questa frase per capire che don Milani non ha niente a che spartire con una scuola che si impietosisce perché molti dei suoi alunni sanno solo 100 parole e si accontenta di queste poche parole per mandarli avanti; come pure non ha niente a che spartire con una scuola che attribuisce a colpa degli allievi il fatto che sappino solo 100 parole e li inchioda a quella colpa bocciandoli.
La provocazione di don Milani è su un altro piano. La disuguaglianza che attraversa la nostra società, formalmente democratica, disuguaglianza ben rappresentata dal contrasto tra chi sa 1000 parole e chi ne sa solo 100, grida vendetta di fronte a Dio e di fronte agli uomini: di fronte al Vangelo e di fronte alla Costituzione.
Di fronte al Vangelo, perché non si può predicare il Vangelo a chi non ha gli strumenti per intenderlo; di fronte alla Costituzione, perché il secondo comma dell’art. 3 impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico-sociale che impediscono l’effettiva libertà e
l’uguaglianza di tutti i lavoratori.
La scuola che don Milani realizza, a San Donato prima, a Barbiana poi, ha queste caratteristiche provocatorie, che mettono in crisi quelli che solo superficialmente si sono infatuati per Lettera a una professoressa e smentiscono quelli che attribuiscono a don Milani il progressivo degrado del nostro sistema scolastico:
Si fa scuola tutto l’anno, tutti i giorni, anche la domenica.
Non c’è vacanza, non c’è ricreazione.
Al professorone universitario, che obietta che una scuola del genere è eccessiva ed è contraria all’equilibrio psico-fisico degli allievi, un allievo di don Milani (uno di quelli che veniva da famiglia di contadini e che oltre la scuola conosceva solo il lavoro nei campi e
nelle stalle) risponde: La scuola è sempre meglio della merda.
Quello che si studia deve favorire la crescita delle persone, fino a far partecipare i figli degli operai e dei contadini alla stessa cultura alta alla quale i figli delle “buon famiglie” accedono naturalmente per diritto di nascita.: la scuola di don Milani mira a far conseguire a
Gianni la cultura di Pierino.
L’acquisizione della cultura di Pierino da parte di Gianni non deve accompagnarsi, però, all’acquisizione dell’individualismo e dell’egosmo. Il motto della scuola di don Milani è I CARE (= mi prendo cura), che è il contrario del motto fascista “Me ne frego”.
Chiunque sa qualcosa deve metterlo a disposizione degli altri. I CARE: i ragazzi più grandi della scuola di don Milani si prendono cura dei più piccoli. Il maestro (I CARE) si prende cua di tutti gli allievi.
Prendersi cura significa n dagli allievi il massimo. Prendersi cura è il contrario dell’indulgenza. Ogni parola che non capisci oggi è un calcio nel culo domani. La scuola deve essere democratica nel fine, ma monarchica assolutista nella pratica. Questi ragazzi sono figli di pastori. Bisogna dimostrargli che la scuola è una cosa seria…(anche frustandoli con un ramoscello). Sono parole e azioni di don Milani.
Il sapere deve essere strumento di conoscenza della realtà. Le lingue straniere vanno studiate non tanto per le loro eccezioni grammaticali, quanto per comunicare con le altre culture: don Milani manda ragazzi di 15 anni all’estero a studiare le lingue lavorando. Libri e giornali vanno letti inseme e discussi per afferrare la realtà che sta dietro di loro. Le lezioni dei vari testi che don Milani porta dai suoi ragazzi non devono essere assorbite passivamente ma devono essere discusse e criticate per coglierne la sostanza.
Quale insegnante per una tale scuola? Un’altra provocazione di don Milani: un insegnante autentico non dovrebbe avere una famiglia che lo distragga con i suoi problemi e non dovrebbe avere remore a criticare qualsiasi impostazione confessionale (di chiesa o di
partito) del sistema scolastico. Una posizione del genere non poteva che provocare insofferenza sia nella Chiesa sia nei partiti politici, accanto alle simpatie di chi sfiorava posizioni eretiche nel dogmatismo cattolico o nel dogmatismo comunista. Prendere sul serio la Costituzione Il compito della Repubblica, sancito dal 2° comma dell’art. 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli economico-sociali all’effettiva libertà e uguaglianza dei cittadini. L’idea di patria, delineata dagli artt. 11 e 52 della Costituzione, col ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ripudio coniugato col dovere di tutti i cittadini di difendere la propria patria.
Se il 2° comma dell’art. 3 è lo sfondo naturale dell’idea di scuola teorizzata e praticata da don Milani, gli articoli 11 e 52 sono lo sfondo naturale della sua polemica contro i cappellani militari che gli costò un processo e una condanna dopo la sua morte.
Don Milani è radicalmente distante dalla condanna che i cappellani militari fanno pubblicamente dell’obiezione di coscienza come insulto alla Patria e come espressione di viltà, estranea al comandamento cristiano dell’amore. Nella sua difesa dall’accusa di apologia di reato per la sua condivisione dell’obiezione di coscienza, don Milani rilegge il concetto di patria e le scelte di guerra compiute dall’Italia dal 1860 a suoi giorni, per concludere che in cento anni di storia italiana c’è stata una sola guerra giusta (ammesso che una guerra possa essere giusta), a fronte delle altre che sono state guerre di aggressione, e questa guerra “giusta” è stata la guerra partigiana, che ha visto da
una parte soldati che obbedivano al regime e dall’altra soldati che obiettavano. Chi di loro era dalla parte della Patria?
Nella lettera ai giudici, che invia non essendo fisicamente in grado di presentarsi in tribunale a difendersi don Milani si assume le sue responsabilità di maestro, ricordando che un maestro deve essere per quanto può profeta: In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è di obbedirla. Posso solo dire loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma don Milani sottolinea che la vera leva è influire con l’esempio e la parola su chi vota e su chi sciopera. E l’esempio più grande è quello di chi paga di persona. Gli obiettori di coscienza pagano di persona (andando in carcere) come pagarono di persona Socrate, Cristo, Gandhi, il pilota di Hiroshima (che, dopo aver visto gli effetti della bomba atomica da lui sganciata, non riuscì più a dormire).
Non si può chiudere don Milani in uno schema.
Obbediente alla Chiesa e confinato nella parrocchia di Barbiana che, per le sue ridottissime dimensioni, doveva essere chiusa. Processato insieme col direttore (suo amico di infanzia) della rivista comunista Rinascita a causa della sua lettera in difesa degli obiettori di
coscienza (che la rivista aveva pubblicato), e don Milani annota che quella rivista non meritava di essere fatta bandiera di idee che non le si adducono come la libertà di coscienza e la non violenza.
La vittoria della Democrazia Cristiana del 1948 vissuta da don Milani come una disgrazia: Per un prete quale trappola più grossa di questa potrà mai venire? Essere liberi, avere in mano Sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta
questa dovizia di mezzi divini ed umani raccogliere il bel frutto di essere derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti.
Obbedire alle direttive delle autorità ecclesiastiche di far votare i candidati democristiani in funzione anticomunista e constatare che quel voto non serviva a migliorare le condizioni dei poveri. Vivere la fedeltà al Vangelo e alla Costituzione ricevendo in cambio ferite e incomprensioni per questa duplice fedeltà.
Una lettera di don Milani del 1950 al giovane comunista Pipetta: Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio signore crocifisso Don Milani sta parlando qua di povertà, che è un valore se uno la sceglie liberamente, ma è un ostacolo da rimuovere se uno la subisce non volendola. Il cristiano collabora a rimuovere gli ostacoli con chiunque voglia rimuoverli, ma poi sceglie liberamente di condividere quello stesso ostacolo che ha contribuito a rimuovere, perché proprio in esso c’è l’incarnazione del suo Dio.
Luigi Vassallo