Per chi si occupa di giornalismo, e per chi ha creduto di servire con passione una storica testata, sono state due giornate piene di sensazioni, purtroppo amare e amarissime.
di Guglielmo Olivero
Partiamo da Gianni Minà uno degli ultimi grandi giornalisti che hanno trascinato tanti ad innamorarsi del mestiere. Oggi tutti lo ricordano, nei vertici RAI, con una ipocrisia che rasenta il ridicolo e non lascia spazio a tanti rimorsi.
Ma quante volte il grande Gianni, anche attraverso la sua pagina Facebook, ha scritto che non voleva sentirsi isolato con la voglia di continuare a proporre qualcosa di intelligente in una TV ormai goffa, ignorante e ovviamente lottizzata. Lasciato solo e senza un’offerta l’uomo che ha inventato un modo nuovo ed unico di fare televisione, con il suo carisma che lo faceva amico di tutti i grandi di ogni campo.
Ma purtroppo la meritocrazia è un difetto più che un pregio e questo ci porta a parlare di Alessandra De Stefano costretta, perché questa è la parola da usare, a dimettersi dalla direzione di Raisport. In un anno e mezzo, e qui sta la sua gran colpa, ha tentato di svecchiare il prodotto, mettendo ai margini i lottizzati che però in questo povero Paese non muoiono mai.
E così Enrico Varriale, bloccato dalla De Stefano dopo le accuse di maltrattamenti alla moglie, ha preteso il reintegro nel silenzio totale dell’ Ordine dei Giornalisti, forse capace solo di chiedere la rata a gennaio. Poi si è messa a protestare Paola Ferrari, potente e poco esperta almeno sul lavoro, poi si sa ‘sotto sotto’ certe valutazioni aumentano. E così la De Stefano si è arresa perché finisce sempre che quello che ha un valore aggiunto soccombe.
Un mondo quello dei giornali dove i ‘servi’ sono sempre più numerosi, come chi in alcuni uffici Gedi si sente un piccolo Re. Senza il minimo senso della vergogna, si è rifiutato di fornirmi, come da legge, i documenti attestanti un mio rapporto di collaborazione con La Stampa, interrotto per una causa di lavoro nel 2013. Ora una persona con buon senso non farebbe la minima piega nell’eseguire un compito per una vicenda che sembra ormai di un’altra era. Ma per certuni il tempo non passa, come la fedeltà verso il padrone che una volta trovato un altro più compiacente magari lo sbatterà alla porta. La meschina condizione di questi personaggi non consente loro l’uso della ragione?
Guglielmo Olivero