L’equilibrio, lo stato stazionario di un popolo dipende da numerosi fattori che possono essere riassunti (uno schema vale più o meno l’altro: i buoni cervelli si misurano coi fatti, non con le biblioteche soltanto!) dalla cosiddetta scala di Maslow.
di Sergio Bevilacqua
Per esporla a tutti, senza obbligare a Wikipedia, sopravvivenza, sicurezza, appartenenze sociali e societarie, stima e riconoscimento da parte degli altri sono indicatori generali di salute di tutti i popoli, come anche delle persone.
Quando le perturbazioni economiche e oggettive segnalano rischi per questa stabilità identitaria, allora occorre che la politica si muova e cerchi, con lucidità e professionalità, di identificare strategie e conseguenti azioni per limitare i problemi o valorizzare le opportunità. Insomma, gestire il cambiamento.
Dire che l’Italia è un Paese baciato dalla fortuna è un concetto che credo sia chiaro a tutti nel Mondo, e forse quelli che lo capiscono meno sono proprio gli italiani. Ciò non toglie che, al di là di uno Stato poco “repubblicano”, del vittimismo e del lamento viziato, il Paese Italia è certamente attraversato anch’esso da gravissime turbolenze, nell’era della Quadrivoluzione (quattro rivoluzioni in una: Globalizzazione. Antropocene, mediatizzazione estrema, Ginecoforia), un’era diluviana a tutti gli effetti e per tutti sulla Terra.
Mi preme qui concentrarmi su uno dei tanti gravi problemi che interessano il nostro Paese: il ruolo della tutela e messa a valore ulteriore del nostro immane patrimonio artistico. E non mi riferisco soltanto a quell’80% mondiale di beni storici, architettonici, artistici e culturali che il nostro Paese sembra detenere (e se fosse anche la metà sarebbe sempre un patrimonio immenso), ma anche al conseguente potenziale creativo che questa principale porzione di varietà semiologica, di segni differenti, induce sulla sua popolazione autoctona, gli italiani. E anche su tutti coloro che lo visitano per fini di svago turistico oppure per il classico, goethiano Viaggio in Italia per motivi artistici e culturali che tanti hanno fatto e continuano a fare, comme-il faut nel Terzo Millennio. Infatti, come girando intorno a una immensa Pietra Nera, per capire chi sono nel Terzo Millennio, tutti gli umani devono venire a vedere dove è nato davvero l’Occidente, quella civiltà straordinaria che ha conformato di sé l’intera umanità.
Ecco allora enormi flussi di persone che visitano l’Italia, che ne utilizzano le infrastrutture, che ne assorbono la assoluta grandezza, che alterano lo stile di vita degli autoctoni. Anche il patrimonio artistico italiano, che vive della sua fruizione, però si “consuma”: benché abbastanza correttamente conservato e museificato, come evitare che esso cessi di essere cifra identitaria del popolo dello Stivale, di fronte a questi flussi turistici corrosivi come la vecchia pubblicità del “tornado bianco”? Occorre rafforzare il rapporto del Paese con gli attori dell’Arte e della Cultura: artisti di tutti i tipi (scrittori, pittori, artisti digitali, scultori, musicisti, attori, danzatori, cantanti, performers di vario tipo, ceramisti, ecc. ecc.), intellettuali, saggisti, sono loro i fattori della riproduzione del patrimonio artistico e culturale del Belpaese, e vanno curati come si cura la semenza o il concime in agricoltura per avere raccolti abbondanti ed evitare la desertificazione e, conseguentemente, le carestie. O come si cura la Ricerca e Sviluppo, l’R&D, nell’industria.
Come fare? I privati hanno già capito qua e là il problema e l’opportunità: sempre più frequenti le “residenze d’artista” offerte in cambio di produzioni estetiche, previa accurate selezioni (ai privati non piace “regalare”, come a Pantalone – lo Stato – che poi non regala ma attua voto di scambio, tanto per intendersi in velocità).
Non c’è migliore residenza d’artista di quella costituita dai nostri 5000 centri urbani, di tipo storico o comunque eccezionalmente stimolanti, senza voler arrivare a tutti gli 8000 comuni italiani, dei quali sfido a trovarne uno che non abbia interesse eccezionale storico, culturale o artistico rispetto al mondo intero.
Cosa significa? Che ogni centro italiano dovrebbe avere un quartiere per gli artisti, e che questa è una missione centrale dello Stato nazionale, nonché oggi di un’Europa consapevole. Occorre cioè affrontare questo tema strategico a livello politico centrale in primis, poi cercando supporto a livello Comunitario e poi UNESCO, per la formulazione di un Piano Nazionale per le Residenza d’Artista (P.N.R… A!) che riguardi tutti i comuni italiani dotati dei requisiti: l’identificazione cioè di aree urbane che servano da contenitore per la variegatissima comunità (mondiale, e non solo nazionale!) dell’arte e della cultura, e che tali zone urbane, una volta identificate sul piano regolatore, riportino facilitazioni di residenza e attività per tutti coloro che possono dimostrare una attività riconducibile alle Arti, quelle correnti e quelle classiche del Parnaso: facilitazioni negli affitti, sconti sui mutui, bollette meno care, iniziative artistiche, Urban merchandising mirato con l’accoglienza di attività commerciali collegate alle arti, contenitori per intrattenimenti, ecc.
Dei “Quartieri Parnaso”, consentitemi la licenza quasi poetica, in tutta Italia che servano a fare prosperare anche operativamente, a costituire la Ricerca e Sviluppo di quell’enorme patrimonio costituito dalle ricchezze artistiche e culturali dell’Italia.
Ma anche la residenza di opere d’arte coeve, del frutto di chi lavora nell’arte e non soltanto dei mostri sacri proposti dai leader globali, diciamo per mantenere la metafora “Eventi Parnaso”, hanno un senso costruttivo di questa importante difesa d’identità e di valore per l’Umanità.
E allora di seguito due casi: come “Quartieri Parnaso” il caso di Reggio Emilia; come “Eventi Parnaso” il caso di Taggia, provincia di Imperia.
IL CASO DI UN POSSIBILE “QUARTIERE PARNASO” A REGGIO EMILIA: VIA ROMA.
Non è normale né bello che la nuova metropoli reggiana continui a ragionare con mente ristretta. Mentre il mondo si muove tutt’insieme, mentre i suoi giovani grazie all’università moderna viaggiano in tanti universi del sapere, mentre la Alta Velocità la connette con tutte le metropoli italiane aprendo orizzonti, mentre bellissimi simboli di architettura del paesaggio (le Vele) la fanno riconoscere ovunque, mentre infrastrutture sportive e di intrattenimento si moltiplicano, mentre, mentre, mentre… ma è mai possibile che si pensi alla funzione di sviluppo delle vendite come unica prospettiva di miglioramento, per la Brera di Reggio?
Occorre una riflessione, sociologica, precedente: la vendita, la varietà e il successo del “mercato” dipende da fattori di bisogno e desiderio. Perché dovrei andare in Via Roma per comprare biancheria, abbigliamento e oggetti vari?
Non vado già a poche centinaia di metri, dove il mercato si svolge da decenni? Quale motivazione per farlo “qui” e poi non più “lì”?
La povertà della visione socioculturale e amministrativa di associazioni ed enti porta al solito progetto elementare: compravendita… come se ce ne fosse bisogno! Via Roma non è un altro luogo dove snaturare tutto… è un quartiere piccolo, ma con alta identità popolare e civile, ancor’oggi una enclave caratteristica.
È un quartiere da artisti.
E Reggio lo merita. Va valorizzato con l’Arte, non con l’oggettistica di comune consumo. Va facilitata con sconti e sovvenzioni la residenza di persone che dimostrino il loro impegno nell’arte, vanno organizzate iniziative di esposizione di arti visive, vanno creati spazi per chi suona e chi fa teatro, vanno esposte ceramiche d’arte, vanno incentivate le presenze di gastronomia qualificata, va data una identità urbanistica, va fatta una promozione che riguarda la creatività umana in tutti i sensi, per questo quartiere.
Questa la vocazione vera del Popol giost: la Brera di Reggio Metropoli della Rete.
E… “szò’l capell, som dinansi al popol giost!”, scriveva mio padre. E quanto, quanto vorrei vedervi atelier di artisti cinesi e neri, accanto ai nostri reggiani, anziché spaccio e degrado oppure biancheria e roba senza spirito…