È sereno. Sembra che dorma. Non ha ferite visibili sulle parti scoperte del corpo. Eppure questa è la foto di un cadavere, ucciso da un colpo di pistola, probabilmente alla schiena, il 17 agosto 1893, nel Midi francese.
di Massimo Macciò
Si chiamava Giuseppe Tasso (e non Carlo Tassi, come si pensava fino a pochi giorni fa), era nato nel 1835 a Castelceriolo, un piccolo Comune dell’Alessandrino. Tasso è una delle vittime ufficiali del “massacro di Aigues-Mortes”, la tuerie di dieci lavoratori italiani, intenti a spalare sale tra gli stagni dei Peccais, ad opera di zingari e degli stessi abitanti della petite ville della Camargue, per ragioni di una malintesa concorrenza al ribasso sul mercato del lavoro. Sette di queste vittime furono fotografate dai gendarmi francesi la sera stessa dell’eccidio per facilitarne l’identificazione, ma finora uno solo di tali clichè era noto al pubblico mentre nessuno, negli ultimi 130 anni, aveva più visto la foto di Bocia il Balarù (così era chiamato Tasso dai suoi compagni di lavoro), persa negli archivi del ministero degli Esteri e ora ritrovata grazie a una certosina ricerca nell’archivio storico-diplomatico della Farnesina.
Dietro allo sguardo trasognato di Giuseppe Tasso si nasconde in realtà una storia per molto tempo dimenticata,quella dei mille migranti italiani espulsi dalla ristrutturazione in senso capitalistico dell’agricoltura a fine ‘800: una crisi, quella agraria, che è stata una premessa indispensabile del demarrage industriale avvenuto nel Belpaese nel decennio successivo, ma che a loro ha portato soltanto sfortuna. Tanti braccianti di casa nostra, infatti, sono stati costretti a cercare fortuna in tutto il mondo e soprattutto in Francia: disprezzati per diverse ragioni tanto dagli abitanti del Midi quanto dai trimards locali (per cui costituivano un concorrente pericoloso) e disposti, da parte loro, a vendersi al peggior offerente e a lavorare ad un cottimo disumano pur di guadagnare qualcosa. E, come nel caso di Aigues-Mortes, destinati a finire massacrati a randellate, a pietrate e a fucilate nell’indifferenza quasi generale: dopo la fiammata nazionalista immediatamente seguita alla tuerie, infatti, per oltre un secolo la strage di Aigues-Mortes è stata “sapientemente dimenticata” da entrambi gli Stati per oltre un secolo, e solo a fine ‘900 è tornata alla luce grazie soprattutto al tenace lavoro dello storico Enzo Barnabà.
Tra le dieci vittime del massacro di Aigues-Mortes c’era anche Lorenzo Rolando, “nato accidentalmente” ad Altare e massacrato a randellate trentun anni dopo davanti alle porte della città francese, a cento metri dalla salvezza nella torre di Costanza. Un’esistenza, quella del giramondo di Pian del Merlo (il “quadrilatero pluriparrocchiale” dagli incerti confini tra Lavagnola, Altare e Cadibona), confusa e misteriosa e di cui fino a tre anni fa si era incerti perfino sul nome.
Oggi, dopo l’intervento degli studenti del “Laboratorio di storia dell’emigrazione” dell’Istituto “Patetta” di Cairo Montenotte, a ricordare Rolando c’è ad Altare una piccola targa in piazza San Rocco. Ma del giornaliere savonese, del suo eterno e irrisolto peregrinare tra agricoltura e industria, delle sue vicissitudini locali e delle sue divagazioni africane fino all’esito sorprendente – e sconvolgente – di Aigues-Mortes, finora nulla si è saputo.
Oggi a far luce non solo sulla storia di Rolando ma anche sulle cause e le dinamiche della partenza degli italiani verso la Francia provvede un libro:
Vetro carbone e sale
Vita e morte del “giornaliere” Lorenzo Rolando
da Altare al massacro di Aigues-Mortes
di Massimo Macciò, edito da Amazon e di cui è imminente l’uscita in libreria. Attraverso un lungo e minuzioso lavoro negli archivi locali e nazionali, Macciò ha ricostruito la vita e la morte dello sfortunato lavoratore savonese (per lungo tempo “viaggiatore immobile” tra paesi e diocesi diverse e in seguito misterioso visitatore di due continenti) e, insieme, ha fornito un’interpretazione razionale sulle cause e sull’evoluzione della migrazioni dal nord della penisola verso l’Exagone.
Ma oltre a questo, molti sono gli spunti d’interesse contenuti nel libro, a livello sia locale sia internazionale: dall’analisi della struttura familiare nel circondario cittadino (da cui si evince che, a dieci chilometri dalla Savona protoindustriale e protoperaia di metà Ottocento, gli abitanti delle “masserie alte” seguivano un modello sociale prettamente medievale) alle vicende dell’allora celeberrima e oggi dimenticata miniera di lignite di Cadibona; dalla storia del solidarismo operaio nazionale, ligure e savonese alla scoperta della prima società di mutuo soccorso di Cadibona (quindici anni in anticipo rispetto a quella “ufficiale” del 1911) di cui Macciò pubblica per la prima volta lo statuto; dalle peculiari vicende sociali di quella “oasi medievale dell’industria” che fu il paese di Altare a strane storie di legittimazione che coinvolgono Rolando e la sua famiglia a cavallo delle visite di leva. Per non parlare del mistero del viaggio africano del nostro, fino al cruento epilogo in terra francese mentre negli stessi giorni a Zurigo la II Internazionale lanciava un veemente appello contro il cottimo, tragicamente inascoltato tra gli stagni di Peccais. Le tappe finali del viaggio sono naturalmente Aigues-Mortes, di cui Macciò racconta la tuerie (individuando, per la prima volta con nomi e cognomi, l’autore dell’omicidio di Rolando e il luogo dove l’azione si sarebbe svolta) e la lontana città di Angouleme dove a fine 1893 si assistette allo “stupefacente verdetto” del processo, in cui tutti i 25 imputati della strage (compresi i rei confessi) furono assolti: anche di questo episodio l’insegnante savonese spiega le reali seppur inedite motivazioni.
Il libro è presentato in due versioni. La prima è dedicata a chi è interessato principalmente allo svolgersi degli eventi, e presenta quindi un ridotto numero di note e una sola appendice: la cd. “Inchiesta sui fatti di Aigues-Mortes” in cui il console generale d’Italia a Marsiglia Cesare Durando raccolse – a partire dal giorno successivo alla strage – le testimonianze degli operai italiani scampati al massacro in uno sconvolgente e pressoché inedito documento. La seconda, indirizzata a un pubblico più indirizzato verso l’aspetto demografico e storico-sociale, contiene un corredo assai più ampio e articolato di note e tredici appendici tra cui, oltre a quella già citata, la “risposta” dello stesso console Durando al prefetto francese Le Mallier: un atto anch’esso inedito e nuovamente molto significativo.