L’edizione 2022 del Festival di Sanremo era stata al centro di un duro richiamo del vescovo diocesano mons. Antonio Suetta: ‘Lauro ha deriso e profanato i segni sacri… sarà pur vero che un raglio d’asino non sale al cielo’. Trucioli.it ha chiesto al presule di commentare l’edizione 2023 appena conclusa.
Festival di Sanremo, un giudizio sulla manifestazione che si è conclusa sabato scorso.
Quest’anno la provvidenziale coincidenza del pellegrinaggio diocesano a Lourdes in occasione del 165 anniversario della prima apparizione della Madonna alla Grotta di Massabielle mi ha risparmiato la fatica di rimanere “in città” durante la 73 edizione del Festival di Sanremo, che, come da ormai triste e consunto copione, non si è smentito quanto a insulsaggine, provocazione (ormai vecchia) e propaganda del pensiero unico dominante.
Indubbiamente è stato per la Città di Sanremo una formidabile occasione di promozione turistica e di attività economica, cosa che di questi tempi non guasta e di cui sono contento. Ho trovato eccessivamente invasiva la macchina festivaliera sui media e sui social, macchina che offusca ogni altro tipo di attenzione, naturalmente a supporto del grande business pubblicitario e commerciale, cui l’evento è ridotto. La proposta artistica è stata variegata, per tutti i gusti – ovviamente nel contesto della musica leggera e pop – e con diversi livelli di talento e valore.
In una kermesse così strutturata non si rischia di mettere da parte la musica?
La musica italiana, che, nelle intenzioni originali di Amilcare Rambaldi, Angelo Nicola Amato e Angelo Nizza nel 1951, aveva il ruolo centrale per un’occasione di festa, di costume e di promozione turistica della Città dei Fiori, è andata via via assumendo una funzione di cornice pur rimanendo il Festival uno dei principali appuntamenti per il lancio di nuovi artisti e un efficace propulsore di molte carriere nel mondo dello spettacolo.
Sempre di più il festival si propone come una vetrina non soltanto pubblicitaria – motore economico irrinunciabile dell’evento stesso – ma ancor più di costume, di moda e di tendenza; a mio parere questo non sarebbe negativo se provenisse davvero “dal basso” e riflettesse le molteplici anime culturali e sociali del nostro popolo, mentre una tale potente cassa di risonanza viene monopolizzata da scelte ideologiche imposte da una regia, minoritaria e salottiera, che sovrasta per potenza mediatica e vorrebbe condizionare il pensiero della collettività mortificandola e livellandola.
Purtroppo anche la composizione dei brani e la scelta degli stessi si trovano a soggiacere a questo tipo di dittatura ideologica.
Dispiace e sorprende vedere come intellettuali, istituzioni, componenti socio-politiche siamo molto spesso accodati o timidamente silenti per una sorta di complesso di inferiorità o per timore di perdere consenso; soltanto alcuni, come ad esempio il lucidissimo Marcello Veneziani, sanno levare la voce e suggerire letture e prospettive stimolanti, diverse e libere.
La ricerca dello ‘scandalo’ a tutti i costi è giustificabile nell’ottica dell’audience?
Lo scandalo non è mai giustificabile perché produce del male soprattutto in relazione all’educazione delle nuove generazioni e alla vita della collettività civile, chiamata a riconoscersi in valori alti e autentici. L’idea di tollerare il male per un risultato di tipo economico o per il successo facile rende ancor più manifesti l’irresponsabilità e il degrado morale.
Tuttavia credo che sia evidente come il ricorso allo scandalo non venga utilizzato soltanto per incrementare i numeri dell’ascolto, ma ancor più corrisponda ad un disegno di “destrutturazione” di presidi culturali e morali, che affondano le radici nella nostra storia italiana e occidentale e che dovrebbero custodirne le tradizioni più genuine. È un vento pericoloso, che spira da tempo e che viene da lontano, a cui purtroppo e tristemente si piegano in tanti e che ha già prodotto troppi frutti di dissoluzione morale e sociale.
Confido che la diffusa e pervasiva sensazione di smarrimento e i molteplici segnali di insoddisfazione che il popolo, quello vero – feriale e concreto – non perde occasione di manifestare suscitino domande, riflessioni e impegno di cambiamento di rotta.
Cosa di positivo può essere sottolineato nei tanti messaggi ai telespettatori?
C’è stato uno sforzo di dare consistenza e contenuto all’evento mediante messaggi importanti, come l’apertura della manifestazione sulla Costituzione italiana e altri significativi richiami al dramma delle popolazioni terremotate e in guerra, alla violazione dei diritti umani e ad altri valori: ciò rappresenta indubbiamente un punto di forza della manifestazione nazional-popolare.
È anche vero che la prevalente dimensione di spettacolo non consente approfondimenti, che, nella maggior parte dei temi trattati, sono indispensabili per non ridurre tutto a luoghi comuni riduttivi e spesso unilaterali.
Ritengo tuttavia che il generale contesto, non tanto in quanto “leggero” – elemento caratteristico -, ma in quanto ideologicamente condizionato e pilotato abbia depotenziato i contenuti buoni anche nei testi delle canzoni presentate e talvolta abbia anche se non proprio “infangato”, quantomeno banalizzato coloro che, con buona intenzione e buona volontà, hanno cercato di regalare un’anima un po’ migliore ad un evento che fa di tutto per non averne proprio.