Nordio, ministro della Giustizia, al Senato: “Le criticità della giustizia fanno perdere il 2% del Pil, insensato che il PM appartenga a stesso ordine del giudice, obbligatorietà azione penale è diventato arbitrio”.
di Sergio Bevilacqua
Alle corrette affermazioni del ministro, peraltro abbondantemente risapute ma pregevoli per chiarezza, qualcuno ha commentato: “Ma ci voleva un ministro di destra? La sinistra che ovunque nel mondo afferma nuovi diritti del cittadino, in Italia è ancora schiava dei magistrati: deve loro l’incolumità durante Tangentopoli e molti anni di guerra al berlusconismo”.
Indubbiamente fa parte della visione labour-leftside-socialcomunista il riferimento ad un solidissimo e solidale rapporto popolo-partito-Stato, di cui la Giustizia è certamente funzione e arma. E dunque non c’è assolutamente da meravigliarsi che parole così nette contro il consociativismo interfunzionale giudiziario proprio del nostro modello attuale provengano da un ministro di un governo per la prima volta dal dopoguerra di schiettissima destra.
Che prima di Nordio ministri di diverso orientamento abbiano taciuto o solo abbaiato senza vero scopo d’intervento, è un dato di fatto, ma lo è pure che i precedenti governi di centro-destra non abbiano agito con la doverosa forza per dare allo Stato una maggiore coerenza democratica ed efficacia della giustizia: ingenue le obiezioni alla magistratura sul caso Berlusconi, portatore prima che di criminalità finanziaria, di un modello di liberalismo superficiale e opportunistico, che nel lungo periodo di condizionamento del centro destra ha solo nuociuto al funzionamento della giustizia, anche per scopi smaccatamente di parte personale.
Ed è vero che un grave problema della magistratura è certamente nella carriera unica PM/Giudici, scelta in un momento storico in cui la salute civile del Paese richiedeva una maggiore solidità repressiva, dati i fenomeni schiettamente nazionali di criminalità organizzata. Oggi, anche sociologicamente, il problema della criminalità organizzata non è più prevalentemente italiano, ma è divenuto globale.
Ma veniamo al sodo. Prima che di filosofia giudiziaria e di conseguente organizzazione, il vero problema del funzionamento della Giustizia in Italia è pragmatico, e riguarda le mediazioni: se come presso i nostri vicini di cultura e istituzioni dell’Occidente, le querelle si risolvessero tra il 60 e l’80 % prima di entrare nel complesso, articolato e in fondo abbastanza sano corpo organizzativo dei Tribunali, avremmo subito più giustizia e di migliore qualità. Sappiamo come ciò è successo: a suo tempo la lobby degli avvocati, così estesamente rappresentata in Parlamento, si mise di traverso, e tocca di qui e tocca di là il testo di legge, lo rese anziché sciolto ed efficiente, come serve a quella trattativa privata che è la mediazione, complesso, macchinoso, oneroso ed eseguibile in fondo solo con la presenza di un legale, cosa che non esiste negli ordinamenti della mediazione degli altri Paesi. Questo andrebbe raddrizzato, e con estrema urgenza.
Inoltre, prima di fare e disfare, occorre decidere se s’intende portare avanti il cambiamento dell’assetto istituzionale con la scelta presidenzialista: essa coinvolge anche l’architettura giudiziaria e quindi anche per quella via ci potrebbero essere altri, cospicui miglioramenti.
Insomma, la strada per il miglioramento delle condizioni del nostro universo giudiziario, da cui dipendono il livello di civiltà e qualità della società italiana e il suo cosmopolitismo occidentale, è ancora lunga e difficile. Come detto sopra, molti attori di quella filiera si lasciano sedurre dallo status quo, ove hanno interessi materiali. Poi, le resistenze al cambiamento affliggono gli uffici, anche dal momento che il management pubblico non è mai davvero decollato in Italia. Terzo, i dirigenti e i capi ragionano soprattutto per adempimenti e solo marginalmente per obiettivi di efficacia, efficienza e produttività.
Le visioni di tipo filosofico giudiziario vanno certamente rispettate, però i fatti concreti vanno affrontati subito: il lamento della gente, la mancanza di fiducia degli operatori economici, l’incredibile pasticcio creato ad arte negli istituti della mediazione fanno passare in secondo piano fattori sociologici come il garantismo, la carriera unica giudici/PM e anche la stessa revisione dell’impianto dei poteri della democrazia italiana con l’ipotesi presidenzialista che, mettendo in gioco il vertice dello Stato con elezioni dirette, altrettanto dovrebbe fare con elezione diretta dei vertici del terzo potere, dunque Procuratori capo e Presidenti dei Tribunali.
Sergio Bevilacqua