La Sanità ligure è una malata cronica. Il dr. Renato Giusto denuncia: “Ed i sintomi sono sempre più gravi”
di Gianfranco Barcella
Spaventa l’idea che due milioni di pazienti in Italia siano a rischio di attendere ore ed ore in un Pronto Soccorso prima di essere presi in carico perché mancano cinquemila medici di Medicina d’Urgenza. Gli anziani con malattie croniche e immunodepressi, magari per una alimentazione carente di proteine, dovuta a scarse risorse economiche, sono ancora più a rischio di fare una brutta fine proprio in un presidio dove dovrebbero trovare assistenza e cure in tempi utili.
Siamo arrivati al punto che i turni del personale sanitario non sono quasi mai rispettati, richiedendo continui rientri al lavoro, senza rispettare i riposi. Gli operatori sanitari sono stanchi per non dire stremati! Le barelle con i degenti sostano nei corridoi degli ospedali per giornate intere, non in qualche fatiscente nosocomio del Sud, ma anche negli ospedali del Friuli, a detta dell’indagine di un sindacato. E’ una situazione che viene definita pietosa.
Anche la Liguria, continua ad essere vittima di una politica sanitaria che non garantisce più il fondamentale diritto alla salute ai meno abbienti. L’Assessore alla Sanità ligure, Angelo Gratarola ha comunicato di recente ai sindaci della Liguria, riuniti nel salone della città metropolitana di Genova: “Nel 2025-26 dovremmo essere in grado di riequilibrare i numeri dei medici, ma nel frattempo dobbiamo individuare soluzioni tampone”. La carenza dei camici bianchi aggraverà lo stato di salute dei Liguri. Le zone carenti dei medici di base, non coperte dall’ultimo bando di Alisa sono oltre un centinaio. Si parla anche di ambulanze adibite a centri mobili di rianimazione senza medici a bordo e dell’utilizzo degli infermieri per sostituire i medici di base, ma si pensa anche a mettere in campo gli studenti in Medicina al primo anno di specializzazione. Si valuta che gli infermieri di oggi non sono più quelli di vent’anni fa. Un infermiere di comunità è in grado di fare assistenza sul territorio. Ma anche queste nuove figure non sono sufficienti.
Si prospettano inoltre anche nuove modalità di pagamento per premiare i sanitari che vorranno coprire territori più ampi ma con meno pazienti. Resta il fatto che il problema della mancanza di medici di base resta anche nei centri urbani. Ci sono quartieri di Genova che per collocazione e demografia sono come le aree dell’entroterra. Negli ospedali si è ormai costretti a ricorrere alle cooperative per evitare l’interruzione del pubblico servizio.
Sulla razionalizzazione dei punti nascita le polemiche non si placano. “L’obiettivo è quello di garantire la sicurezza e l’operatività del punto nascita”, afferma l’assessore Gratarola ma resta la previsione della chiusura di due reparti in Regione, visto il calo delle nascite. Il sindaco Marco Russo di Savona si è opposto fermamente all’ipotesi paventata in merito al Punto Nascite di Savona, considerato di vitale importanza.
Anche dalla Valbormida il sindaco di Cairo Paolo Lambertini ha fatto sentire il suo dissenso, unitamente al disaccordo espresso dal presidente del Comitato Sanitario Locale, Giuliano Fasolato: “La Regione Liguria continua a ragionare soltanto con i numeri, senza tener conto delle reali esigenze della popolazione: una futura mamma che abita nella Valbormida o a Giusvalla o magari a San Massimo non potrà più vivere il lieto evento con gioia e serenità, con la certezza che avrà la dovuta assistenza in tempi ragionevoli. Piuttosto dovrà tener conto che suo malgrado, è colpevole di abitare in una zona dove la natalità è inferiore a quanto richiesto per avere il punto nascite al San Paolo, quindi dovrà recarsi a Pietra Ligure o a Genova, o ancora a Mondovì (cioè in Piemonte aggravando i costi del sistema sanitario ligure). Questo dicono i freddi numeri che vengono applicati in modo irragionevole, senza la minima considerazione di ciò che è meglio per il bimbo che si affaccia a questa vita e per la sua mamma che con tanto amore lo ha dato alla luce. La nostra Valle non merita un tale trattamento dalla Regione che ci ha tolto e ci toglie moltissimo in ambito sanitario e non solo”.
Il dott. Renato Giusto, presidente emerito Sindacato Medici Italiani non si stanca di denunciare il degrado della nostra assistenza sanitaria: “Se i risultati della carenza di medici sono quelli di chiudere strutture assistenziali sul territorio e reparti ospedalieri come il punto nascita del San Paolo, stiamo freschi! Ancora peggio però se si seguono le linee guida della Regione: <Se mancano i medici, utilizzeremo di più gli infermieri>. Ognuno deve operare secondo la propria professionalità: gli infermieri devono praticare le terapie prescritte dai medici, assistere i pazienti che avendo problemi gravi non possono essere autosufficienti, aiutare i medici a fare le manovre dovute per diagnosticare le patologie di cui è afflitto il paziente. Non possono fare diagnosi ecc. ecc. Penso e spero che gli Ordini dei Medici intervengano se si creeranno situazioni pericolose per i pazienti. Infatti in realtà gli Ordini sono stati creati per la salvaguardia professionale a favore cittadini e non per difendere i medici. Stiamo in guardia! SUUM CUIQUE TRIBUERE (a ciascuno il suo). Gli infermieri devono poter fare il proprio dovere senza essere sfruttati esageratamente, dando loro responsabilità non dovute”.
Ancora il dott. Giusto si sofferma su altri problemi di attualità: “I punti nascita stanno per subire una sorta di destino molto negativo. Dopo un andirivieni di dichiarazioni da parte di chi gestisce la Sanità Pubblica, si sta profilando la chiusura del Punto Nascita dell’ospedale savonese San Paolo (La decisione pare revocata, dopo le ultime dichiarazioni dell’Assessore alla Sanità ed una sollevazione popolare. n.d.r.). Si sta andando verso un ulteriore razionamento di strutture sanitarie che ci potrebbe portare ad una perdita della sicurezza di essere assistiti correttamente e quindi una perdita di fiducia nel Sistema Sanitario Nazionale. Si stanno poi verificando situazioni pericolose ed incongrue anche in campi assistenziali; quel giovane ragazzo che risponde al nome di Federico Rossi e che come riferiscono gli organi di stampa è scomparso dalla casa di cura dove era stato ospitato per essere curato con farmaci adeguati alla sua patologia psichiatrica (per fortuna è stato rintracciato di recente a Parigi n.d.r.), ora rischia di non poter più essere ricoverato nella stessa struttura. Quando un soggetto è in uno stato psichico chiaramente patologico non può restare a casa propria con i familiari costretti a fare i miracoli per assisterlo. Il pericolo che Federico non venga più ricoverato perché si è allontanato più volte è una eventuale assurdità inaccettabile. Questi pazienti vanno aiutati con i dovuti modi e non lasciati soli ad affrontare i perigli sempre più presenti in questa società”.
Ma i problemi non mancano anche dal punto sotto il profilo burocratico-amministrativo. “Sono stanca e molto arrabbiata, con queste attese mi fanno morire!” Inizia così il recente sfogo di una savonese malata di tumore, che doveva sottoporsi a degli esami per accertarsi di non avere metastasi. Tre mesi fa è riuscita a prendere l’appuntamento nel reparto di Medicina Nucleare dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure e finalmente arriva il giorno nel quale avrebbe dovuto sottoporsi alla Pet, ma la mattina viene raggiunta da una chiamata telefonica:”Non ci è arrivato il liquido da Pisa, quindi non possiamo farlo!” Una situazione assurda, ma vera, come confermato direttamente anche dalla Asl2 che, va specificato in questo caso non ha responsabilità diretta: “Si comunica in data odierna la S.C. di Medicina Nucleare non ha potuto eseguire indagini PET/CT per mancata fornitura del prodotto necessario per lo svolgimento delle stesse (!8F-FDG) da parte della ditta incaricata”– hanno spiegato. Il male per cui si sta curando la paziente savonese, attraverso una terapia ormonale, è partito dal seno. Nel 2021 è stata operata e le sono stati impiantati due espansori, a causa dei quali non possono sottoporsi alla Tac, esame che solitamente viene fatto in questi casi. La donna ha bisogno di fare degli accertamenti in merito alle dimensioni della massa tumorale e non le è stato possibile sottoporsi alle indagini PET”.
“La sera precedente la data dell’esame– denuncia la paziente- sono stata contattata per essere informata sulla preparazione all’esame. La mattina successiva, intorno alle ore 8, ricevo una nuova chiamata, questa volta per informarmi che mancava il medicinale necessario per l’esame. Come è possibile che solo da un giorno all’altro abbiano verificato che mancasse il liquido necessario? Ho chiesto all’addetto:<L’esame sarà riprogrammato entro pochi giorni?>
La risposta è stata: <No, deve prendere un nuovo appuntamento; non sappiamo quando arriverà il liquido!>. “Una vera vergogna! Ed è iniziata una vera e propria peripezia per contattare i sanitari. Ho chiamato per settimane il reparto. In questo caso non bisogna rivolgersi al CUP; la linea era sempre occupata occupata oppure le rare volte che riuscivo a restare in attesa, cadeva all’improvviso. Per vari giorni ho provato invano anche con l’aiuto del mio compagno ma i risultati erano scoraggianti per entrambi. Quando finalmente sono riuscita a mettermi in contatto con gli addetti, mi è stato fissato un appuntamento dopo tre mesi. Ho 49 anni e se disgraziatamente l’esame rivelerà la presenza di altri tumori, le mie cellule avranno camminato come treni… Ed io sono davvero preoccupata e arrabbiata! Non è possibile aspettare tanto tempo! C’è in gioco la vita delle persone! Questo esame costa 800 euro, se fatto privatamente, ed io non posso permettermelo!”
Dopo l’accaduto la donna ha telefonato a Sara Foscolo, deputata nella scorsa legislatura, che si è messa in contatto con il reparto per avere delucidazioni, in merito. “La ringrazio sentitamente-afferma la Savonese- perché ha chiesto al reparto che tutti i pazienti nelle mie condizioni vengano contattati direttamente appena sarà disponibile il medicinale necessario, senza che siano costretti a prendere un nuovo appuntamento”
Intanto il Covid 19 resta una presenza reale in mezzo a noi con i ricoveri che ultimamente sono saliti in modo preoccupante. E la Liguria viene considerata dall’Istituto Superiore di Sanità una regione a rischio alto di proliferazione pandemica. Questa classificazione da Alisa con una nota: “Gli indicatori su cui si basa l’I.S.S. sono del 2020, ma da allora la malattia è cambiata. La pressione ospedaliera è l’unico indicatore appropriato per definire il quadro epidemiologico e mostra un trend in leggera crescita: più 10% dei nuovi positivi in ospedale, in una settimana con il 70% dei positivi, ricoverati che si trovano in ospedale per patologie no-Covid. E soltanto il 3% dei posti letto, disponibili in terapia intensiva è occupato dai pazienti con crisi respiratorie acute”.
Gianfranco Barcella