Maurizio Maggiani, nato 71 anni fa a Castelnuovo Magra, scrittore e giornalista, ha vinto numerosi premi letterari: primo successo con “Il coraggio del pettirosso” nel 1995 con cui ha vinto il Viareggio e il Campiello, poi lo Strega, il Viareggio e lo Stresa, affermando il suo stile inconfondibile, capace di passare dall’umile realtà quotidiana ai grandi temi della storia.
di Alberto Venturino
Spero di parlargli viva voce, ossia di conoscerlo di persona il giorno 21 novembre, quando sarà a Savona, ospite del Liceo classico “Gabriello Chiabrera”, su invito di un docente di lettere, per tenere una conversazione.
Una vita intensa partendo dall’amata Val di Magra. Maestro di scuola, fotografo, venditore di pompe idrauliche e di pubblicità. Alla scrittura è arrivato a quarant’anni: “Non una passione, bensì un lavoro emozionante”. La Liguria il suo “palcoscenico del cuore”.
Caro Maggiani ci parli della sua famiglia e della sua infanzia…
La mia infanzia… sono nato in un piccolo paese della Val di Magra da una famiglia di contadini. Una famiglia molto allargata: certe sere a cena si sedevano mio nonno e mia nonna, le mie due zie e i loro fidanzati che poi diventeranno i loro mariti, mio padre, mia madre, i miei cugini, e qualche volta qualche parente in visita. Sono stato il primo nato dopo la tragedia della guerra e sono stato amato, molto amato. La mia era una famiglia di contadini molto poveri eppure non ho mai sentito per tutto il tempo in cui ho vissuto in quella casa la povertà, era una famiglia molto fiera, molto orgogliosa, quello che mi è stato insegnato è che siamo tutti signori, perché questo è il principio dell’anarchia, che siamo tutti uguali non perché siamo tutti servi, ma perché siamo tutti signori, l’importante è saperlo e condursi nella vita vivendo in questo principio. Ovviamente la mia era una famiglia di ferventi anarchici.
Quali sono i luoghi più importanti della sua vita?
A parte il luogo, il paesaggio e la casa dove sono cresciuto per tutta l’infanzia, i luoghi importanti della mia vita sono là dove mi trovo. In questo momento il luogo più importante della mia vita e dove ora vivo, è molto lontano dalla Liguria dove sono cresciuto, è un luogo scelto molto in là con gli anni e dove vivo con la mia sposa.
Com’è nata la sua passione per la scrittura?
Sono un uomo di molte passioni, ho praticato molti lavori nella mia esistenza assai diversi tra loro e tutti molto interessanti. Sono stato maestro di scuola, fotografo, venditore di pompe idrauliche e di pubblicità e molto altro ancora. La scrittura è venuta quando contavo quarant’anni ormai e non si tratta di una passione, bensì di un lavoro emozionante. Mi piace apprendere cose nuove e così ho imparato a scrivere storie, la mia fortuna è che ho cominciato in anni nei quali anche gli editori erano sensibili a cose nuove e si sono interessati alla mia scrittura.
A quale tra i suoi romanzi è più affezionato?
A nessuno in particolare, sono tutti lavori concepiti e redatti al meglio delle mie possibilità, ognuno di loro ha egregiamente svolto il compito fondamentale di procurarmi di che vivere e si meritano tutti il mio rispetto.
Ho letto, apprezzato e ammirato le sue parole sulle conversazioni serotine, fino agli anni ‘50 comuni alle famiglie contadine. Per lei in cucina, di solito avvenivano nelle stalle. Esse hanno tenuto compatte le famiglie, non è vero?
Le hanno tenute vive, solidali in una storia comune, in comuni leggende e vicende, le hanno tenute salde nella coscienza che la vita più dura e più faticosa merita comunque una voce che la racconti.
Nei suoi romanzi mi hanno soprattutto colpito i riferimenti alla vita quotidiana, alle persone umili, nonché l’uso di uno stile vicino al parlato: perché questa scelta?
Perché cerco di continuare la tradizione di cui sopra, cerco di mettere nella bidimensionalità spoglia della scrittura la tridimensionalità piena di sfumature del racconto orale.
Ho visto da una fotografia del suo studio la “Filocalia”…
Non appartengo a nessuna Chiesa, ma ho coscienza di appartenere a una cultura cristiana, anche da anarchico, dunque leggo con attenzione e passione le scritture e mi incuriosisce molto il pensiero mistico del cristianesimo orientale.
In un suo intervento ha precisato che nella lingua di suo padre non esiste la forma ti amo bensì “at voi bein”. Anche nei dialetti liguri non esiste e, al massimo, gli innamorati sussurrano “te vegio ben”. (Stranamente ai telefoni e ai tablet si usa la sigla tvb). È curioso, non è vero?
Questa cosa del tvb me l’ha fatta pensare lei ora, sì è curioso ma non so ancora cosa possa significare.
Come entra la Liguria nei suoi romanzi?
La Liguria è il paesaggio dove sono cresciuto, è nella mia anima come un mandato che non mi è possibile tradire, è il mio palcoscenico del cuore.
Su che cosa verterà il suo prossimo romanzo?
No, non ne ho proprio idea, nemmeno se ci sarà un prossimo romanzo.
Che pensa del mondo odierno rispetto a quello della sua infanzia?
Che è una sorpresa, non avrei mai potuto immaginarlo al tempo della mia infanzia. Non so se sia una bella o una brutta sorpresa, è l’una e l’altra cosa, come la vita.
Come ha vissuto la pandemia?
Benissimo. Vivo in campagna, ho un grande giardino e campi a perdita d’occhio dove ho potuto camminare, guardare, ascoltare un mondo finalmente senza il rumore di fondo degli umani.
Caro Scrittore la ringrazio per aver accolto le mie domande e le auguro quanto desidera per lei e per i suoi.
Alberto Venturino
DAL SECOLO XIX DEL 23 OTTOBRE 2022
LA DOMENICA
Cari Italiani, non offendetevi
se ci indicano come pizza e pasta