La “elevata rassegnazione” di Mario Draghi, mostrata alla Stampa nel lasciare il suo lavoro di Presidente del consiglio dei ministri, dice quasi tutto quello che potremo attenderci: le cose serie, ma anche le meno serie.
di Sergio Bevilacqua
Ci ha avuto ben a che fare, Draghi, con cose serie e meno serie, sul palcoscenico parlamentare italiano. Credo che possa essere ben felice dei suoi 20 mesi: è riuscito a Governare con mezza squadra, lasciando in pasto ai partitastri le etichette ministeriali che servivano per le loro opportunistiche e arretrate manovre di bottega, ha tenuto un profilo elevatissimo (piaccia o non piaccia) in ambito internazionale, per sé e per il Paese, ha usato la contingenza strategica (pandemia e guerra) per accrescere la stima dei nostri partner (ovviamente non dei nostri nemici, che però lo hanno sempre rispettato). Cosa poteva volere di più? (e noi da lui?)
Oggi, Matteo Salvini ha deciso di restare in retroguardia, come le urne hanno sancito, ed è stato mediaticamente zitto zitto, accettando di non fare confusione per avere un po’ di più. Anche troppo quello che ha avuto, almeno per lui stesso. Per uno che ha avuto in mano il Paese e non è riuscito a cavarsela, provocando stupore ancor’oggi a chi ci pensa, uno che, malgrado la tanta esperienza politica, è ancora viziato da difetti di comunicazione e deficit di conoscenze è davvero un ottimo risultato. Ideologia leghista non esiste, le competenze sono sempre un grave problema, l’organismo di forza politica è da anni poco più che un ammasso organico movimentistico, il raccordo coi corpi sociali intermedi inesistente. Bene che si sia diluito in qualcos’altro. E forse i Piantedosi, Calderoli e Valditara personalità di varia provenienza, ma anche solisti incalliti. Per non parlare di un Giorgetti sostanzialmente apolide.
E Berlusconi? Ahi ahi ahi… il lupo perde il pelo ma non il vizio (o i vizi, mica pochi nel passato remoto e prossimo…). Rivendica il diritto, che ha come tutti, a sussurrare ciò che pensa, ma con tutta la forza che gli deriva dalla notevolissima capacità finanziaria e dalla posizione centrale nel mondo della comunicazione, questi sussurri sono dei terremoti. Malgrado l’età, è come un ragazzino rispetto a giovanotti e giovanotte circostanti, e dimostra in continuazione il grave problema che è stata Forza Italia dalla sua nascita fino a ora, fenomeno italianissimo di valore e disvalore. Ma soprattutto un partito storto, come il PD, e per tutt’altri motivi: non può un partito essere la creatura di un imprenditore, lo dice la costituzione, il buon senso e l’esperienza dei nostri partner democratici occidentali. Cosicché continuano ad affiorare grazie a lui politicanti assurdi.
Giorgia Meloni si trova con un una compagnia complessiva davvero difficile. Sembra avere fatto scelte di maturità per quanto riguarda i suoi ambiti e ha dato un’immagine di leader autonomo e non le solite, grottesche terne preelettorali del centro-destra che evidenziavano i difetti di ciascuno dei 3 anziché i loro pregi. Per il momento tutto va meglio del solito, l’impressione di “Palazzo” è migliore del consueto. E va detto che c’è un sottile endorsement da parte di Mario Draghi, che conferma il suo essere una spanna al di sopra di chi lo ha preceduto, ma anche un sincero possibilista verso il futuro: l’atteggiamento di uno statista e non uno dei soliti politicanti.
È come se dicesse a Giorgia qual è l’aplomb che deve tenere, ma anche qual è la differenza con lui: 1. Donna; 2. Parlamentare; 3. Capo di partito; 4. Nuova. È abbastanza per sentirsi così diversi da essere quasi complementari. E non credo proprio che Draghi si metta a prendere particolari distanze per la visione sui diritti civili che la Meloni porterà avanti. Entrambi sanno che la partita del Governo (e quella del Paese) si gioca sull’economia, ma vedremo se Giorgia riuscirà a lavorarci con metodo, come ha fatto Draghi nei suoi 20 mesi, che sembrano quasi un’era, il Ventimesio. Speriamo che non le abbia fatto credere (impossibile, è una persona seria…) che è merito di Giorgetti, che come molti altri ministri del suo governo erano solo lì a far vedere che c’erano. Non che Giorgetti non sia proponibile, tutt’altro… è una brava persona. Ma idee brillanti ce ne vogliono e lì mi pare che non ci sia stato tutto questo fuoco d’artificio, durante il Ventimesio. Per di più, il partito di Giorgia non dovrebbe essere solo le entusiastiche forze parlamentari che siedono comode dove sappiamo, ma l’organizzazione sul territorio, che deve sostenere e alimentare il lavoro parlamentare del Governo facendo da trait-d ’union col Paese reale, correntemente e su tutti i meriti della vita civile.
Ha da fare, Giorgia Meloni. E non dimentichiamo l’opposizione incattivita che, se prima lasciava solo le briciole, già oggi tira morsi e colpi bassi. Credo che sia un’altra lezione da prendere dal Ventimesio: calma e sangue freddo, e, soprattutto, il bene dell’Italia e degli italiani del futuro. Ci sono abbastanza battaglie comuni da affrontare per evitare i calci sotto il tavolo e l’uso spregiudicato del deep-state e delle occasioni di conflitto, tipo foto di Mussolini sempre state a Palazzo Chigi e altre sedi istituzionali, che sembrano fare problema solo ora…
Sergio Bevilacqua