Quella che si avvia alla conclusione è stata una stagione difficile per i trasporti ferroviari italiani. I cambiamenti climatici si fanno sentire e numerosi sono stati gli episodi di interruzioni del servizio a seguito di trombe d’aria, fulmini, inondazioni.
di Massimo Ferrari
Soprattutto lungo la linea Adriatica, a dire il vero, ma anche l’AV e la Tirrenica non sono state risparmiate, dalle sdraio finite sulla catenaria lungo la costa ligure ai fatti recenti di Capalbio. E a ciò si aggiungono tristissimi casi di investimenti, a cominciare da quello, particolarmente doloroso, delle due giovanissime sorelle finite sotto un Frecciarossa a Riccione, per poi snocciolare la lunga serie di suicidi un po’ ovunque lungo le nostre linee.
Se questi fatti riguardano soprattutto le direttrici principali, non meno inquietante è la serie di disservizi che hanno martoriato il trasporto regionale, già afflitto da lunghe interruzioni estive, motivate da – reali o supposte – necessità di procedere a manutenzioni straordinarie (quelle che, una volta, si effettuavano in pendenza di esercizio). A cominciare dalla surreale vicenda del Passante di Milano – una “grande opera” inaugurata una ventina di anni fa a costi di gran lunga superiori al traforo sotto la Manica – rimasto interrotto per settimane, a causa di un difetto al binario che consuma i bordini delle ruote dei convogli e di cui nessuno se ne era accorto finora. Criticità che sembra, però, aver fatto scuola, se si è poi ripresentata lungo la linea della Valsugana, rimasta chiusa a lungo lo scorso anno proprio per lavori di ammodernamento. Per non parlare della Pescara – Roma, interrotta da oltre 40 giorni tra Sulmona ed Avezzano per il guasto ad un trasformatore.
E stendiamo un velo pietoso sugli episodi di microcriminalità che proliferano sui treni locali e nelle stazioni. Ultima in ordine di tempo la mini gang, sgominata a Seregno, e composta da minorenni che terrorizzavano i coetanei con atti di bullismo e rapine di portafogli e cellulari, sfociate spesso in episodi di violenza. Lungo una linea – la Saronno-Albairate – già teatro negli anni passati di episodi analoghi. Fenomeni tutti che naturalmente colpiscono anche gli altri sistemi di trasporto, a cominciare dalle strade. Ma che sulle ferrovie impongono quasi sempre tempi più lunghi nel ripristino della normalità (vedi il caso dell’interruzione della linea verde della metropolitana di Milano, a causa della caduta di una gru). Per gli interventi delle forze dell’ordine, per i collaudi, per le procedure di sicurezza che ben conosciamo. E senza aggiungere il corollario di scioperi su scala nazionale e regionale che hanno ripreso a proliferare come negli anni Ottanta del secolo scorso.
Allora se, nonostante tutto ciò, i volumi di traffico sui nostri treni (bersagliati anche dal perdurante obbligo di indossare le mascherine, obbligo revocato in tutti gli altri gli ambiti extra ospedalieri) sono tornati ai livelli precedenti la pandemia, come ha affermato l’AD di FS, Luigi Ferraris, allora vuol proprio dire che in Italia c’è una domanda crescente di collegamenti ferroviari, che potrebbe conoscere sviluppi ben più consistenti, se non venisse in vario modo ostacolata.
Prendiamo il caso della linea ferroviaria Mortara – Casale Monferrato, “sospesa” nel lontano 2012 da un’ordinanza della allora giunta presieduta da Roberto Cota, assieme ad una dozzina di altre tratte secondarie piemontesi, per ragioni di (presunto) risparmio. Ebbene, dopo proteste di comitati pendolari e sindaci, le amministrazioni regionali di Milano e di Torino (la linea corre, infatti, a cavallo tra le due regioni), di concerto con RFI, avevano deciso di ripristinare il tracciato, nel frattempo sommerso da rigogliosi arbusti. Se vi capitasse di passare oggi da quelle parti, potreste osservare il sedime ferroviario perfettamente ripristinato, i binari luccicanti, i passaggi a livello in ordine. Peccato che i treni continuino a non passare, in attesa che la vegetazione riprenda i suoi spazi naturali. Perché? Questo non è dato sapere.
Il nuovo governo che uscirà dalle elezioni del prossimo 25 settembre sarà più attento alla questione delle infrastrutture e, soprattutto, dei collegamenti su rotaia, almeno quelli di competenza statale, rientranti nel perimetro del cosiddetto “servizio universale”? Staremo a vedere. Intanto manca una seria riflessione sui modi e sui tempi di impiego dei fondi del PNRR. Anche quando contemplano interventi discutibili, ma costosissimi, come il tracciato della linea AV Salerno – Reggio Calabria a sud di Praia. O come l’intenzione, in sé lodevole, di raccordare altri 11 aeroporti alla rete ferroviaria. Inclusi, però, scali dal traffico pressoché nullo, come quello di Bolzano (100 passeggeri al giorno!).
Ma la campagna elettorale ignora completamente questi temi. E, quando lo fa, è per strappare al governo uscente l’impegno di spostare a monte – cioè lontano dai centri abitati – la ferrovia adriatica tra Pesaro e Fano. Scontentando gli altri centri, come Senigallia, per ora esclusi dalla scelta. E senza preoccuparsi dell’utilizzo del sedime esistente. Ponendo così le premesse per la disaffezione all’uso del treno, come già avvenuto nel Ponente Ligure tra Imperia e Diano Marina.
Ai nostri confini, altre nazioni più piccole e decisamente dotate di meno risorse, affrontano con più serietà le questioni della mobilità e dei trasporti. La rete ferroviaria croata, ad esempio, è uscita malconcia dalla frammentazione della ex Jugoslavia. Alcune linee, come quella istriana che scende fino a Pola, sono tagliate dai confini con la Slovenia. Già prima i tempi di percorrenza non erano molto incoraggianti, figuriamoci adesso. Ciò ha indotto il Governo di Zagabria ad investire soprattutto nella rete autostradale. Ora, però, anche nei Balcani si rivaluta il treno e ci si appresta a costruire una nuova linea veloce tra la capitale ed il porto di Fiume, tagliando le lunghe anse della vecchia ferrovia austroungarica, che il governo italiano, tra le due guerre mondiali, si era ben guardato dal raddrizzare. Lo stesso fa la Slovenia tra Lubiana e il porto di Capodistria.
Ho trascorso qualche giorno in Istria. A Porec – la Parenzo dell’epoca italiana – lungo le spiagge ed i principali alberghi circolano trenini su gomma, che raggiungono il centro storico. Apparentemente sono simili ai mezzi che circolano anche da noi in numerose località. Ma non hanno soltanto una vocazione turistica. Sono corse ad orario, abbastanza rapide, visto che corrono su una pista bandita al traffico privato, e costituiscono una valida soluzione per la mobilità locale. I vacanzieri, nella stragrande maggioranza, raggiungono le coste istriane in auto, ma poi la lasciano al parcheggio per tutta la durata del soggiorno.
Io, invece, sono incautamente salito in auto per raggiungere la vicina Rovigno, una amena località un tempo servita da una linea ferroviaria locale, chiusa malauguratamente ai tempi di Tito. Naturalmente il traffico veicolare era intenso, ma ordinatissimo. Ho cercato di entrare in un parcheggio sotterraneo, ma era completo. Ho trovato un posto libero in strada su strisce blu a pagamento. Poiché ero sprovvisto di kune (la valuta locale), ed intendevo fermarmi tuttalpiù un’oretta, ho tentato la sorte, tanto più che il cartello indicava come sanzione la somma di 110 kune, ossia meno di 20 euro, pari all’abbonamento giornaliero ai parcheggi.
Al ritorno ho trovato non solo la multa, ma anche la ganascia blocca ruote. Un po’ preoccupato per le prevedibili lungaggini, ho telefonato al numero di cellulare indicato sul foglietto appeso al parabrezza. In meno di cinque minuti è arrivato in moto (elettrica) l’addetto della ditta che ha in appalto i parcheggi. Ha subito liberato l’auto, previa oblazione della sanzione con carta di credito (non si accettano contanti). Ho chiesto cosa sarebbe successo se lo avessi chiamato alle tre di notte. Nessun problema, mi ha risposto in italiano fluente: io e i miei colleghi siamo sempre reperibili, 24 ore su 24.
Sistema semplice, ma efficacissimo: una sanzione ragionevole (in fondo stavo solo violando l’obbligo di pagamento, senza alcun intralcio alla circolazione), ma ineludibile e regolabile in pochi minuti, senza intoppi burocratici, ricorsi speciosi e altro che affliggono sistematicamente la sosta in Italia, facendo imbufalire i cittadini e vanificando contemporaneamente il giusto gettito alle casse comunali (che dovrebbe però essere investito nella mobilità sostenibile). Ci sarebbe molto da imparare. Anche dalla Croazia.
Massimo Ferrari