A Varazze, dove sono nato in via Malocello, eravamo soprannominati “Cavai” perché eravamo tutti alti di statura, ma anche “Crevai” perché mio padre era originario di Crevari. L’infanzia giocando nelle strade del Centro storico, le scuole elementari dai Salesiani, le serali a Genova, la cattedra al Barabino.
La passione per i colori, le prime prove con l’argilla. Di nascosto disegnavo velieri negli androni. Con i libri ho imparato a viaggiare con la fantasia. Il mio primo piattino con decorazione in stile levantino nella bottega-fornace del ceramista Dario Ravano. La casa è la mia conchiglia, il mare entra ed esce dalla finestra, ne ascolto il respiro. Il giorno in cui Saccorotti volle firmare una porta di casa perché “aveva un bel grigio”, un rito che proseguirono molti altri amici artisti.
di Tiziano Franzi
Guglielmo Bozzano è stato uno degli artisti liguri più significativi della seconda metà del Novecento. Disegnatore, pittore, acquarellista, ceramista talentuoso e raffinato, dotato di una squisita sensibilità artistica, è stato anche insegnante presso il Liceo Artistico “Nicolò Barabino” di Genova. Ha esposto in molte occasioni in Italia e all’estero. Ha ricevuto numerosi premi e attestazioni ed è stato accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova.
Aligi Sassu lo definì “poeta dello sguardo,” Lucio Fontana “pittore sensibile e talvolta commosso”.
“Guglielmo Bozzano è uno di quei pochi artisti capaci di estendere la sua espressione oltre la pittura, regalando una forte equivalente espressiva tra una corposa pennellata, densa di materia e sostanza, e il tratto di un segno grafico, ricco di corpo e carattere, che prende forma dalla grafite di una matita guidata da sapienza e velocità. Un segno che riesce a farsi colore, un colore che riesce a farsi segno (Raimondo Sirotti). E a delineare un vero artista.”
La “Fondazione Bozzano-Giorgis” ha trasformato l’abitazione dell’artista in via don Bosco, 8 a Varazze in “casa museo” in cui sono conservate tutte le opere non appartenenti a collezioni private o a musei: schizzi, appunti, diari, annotazioni, oltre alla sua ricca biblioteca personale. Per volontà della moglie Vanna Giorgis la “casa museo” è conservata dagli encomiabili volontari della Fondazione esattamente così com’era, come l’hanno amorevolmente arredata i coniugi Bozzano.
Ho conosciuto Guglielmo e Vanna Bozzano negli anni ’70 dello scorso secolo, frequentando le loro abitazioni in via Piero Gobetti a Genova e in via don Bosco a Varazze. Della loro amicizia li ringrazio ancor oggi, perché entrambi, con la loro semplicità e affabilità – che celavano una sensibilità artistica e una cultura profonde – mi hanno consigliato in quegli anni della mia prima adultità, insegnandomi moltissimo.
Gugliemo, che cosa ricordi della tua infanzia e adolescenza a Varazze?
Della mia infanzia, poco. Sono nato il 23 giugno 1913 al n. 42 di via Malocello da genitori di modesta estrazione sociale ( mio padre ha fatto prima il fruttivendolo, poi il segantino e infine il piccolo trasportatore; mia madre era tessitrice al Cotonificio Ligure a Varazze e poi si è dedicata alla numerosa famiglia ) ma di grande dolcezza verso la famiglia ( io sono stato il sesto di otto figli ) e verso gli altri. Poiché mio padre era originario di Crevari, sopra Genova Voltri, eravamo soprannominati “Crevai“, ma anche “Cavali“, perché eravamo tutti di alta statura.
In quelle vie del centro storico, tra via Malocello, Calabraghe, via Campana, via sant’Ambrogio e in piazza della Chiesa mi sono divertito in modo gioioso e spensierato con tanti coetanei, di molti dei quali ricordo il viso, ma non il nome. Erano giochi semplici, ma che sapevano affratellare: nascondino, la “gavardua“, le biglie, guardia e ladri, “i quatru canti” e altri ancora. Noi maschi portavamo tutti i calzoni corti anche d’inverno e le scarpe con la punta e i tacchi ferrati, per non consumare la suola. Non si contavano le sbucciature sulle ginocchia o sui gomiti, che venivano curate alla bell’e meglio alla sera, quando ritornavamo a casa dopo intere giornate trascorse a giocare. Qualche volta mia madre strappava la crosta , per prevenire il “venin“, e ricordo ancora le mie urla di dolore.
Intanto cominciavo ad armeggiare con fogli e colori e a fare le prime prove con l’argilla. Ricordo che, di nascosto, disegnavo velieri negli androni. Il mio primo “prodotto artistico” è stato un piattino con decorazione in stile levantino, cotto nella bottega-fornace “M.A.S:”del ceramista Dario Ravano, che frequentavo assiduamente in quegli anni.
Ma l’altra mia grande passione sono sempre stati i libri. Con i libri ho imparato a viaggiare con la fantasia, a conoscere luoghi e persone , pagina dopo pagina, che diventavano familiari e quasi amici.
Ho frequentato le scuole elementari dai Salesiani di Varazze, poi le scuole serali a Genova dove mi sono diplomato quale disegnatore tecnico. A Genova ho anche cominciato a lavorare , sempre come disegnatore tecnico, per il Comune di Genova. Ho ancora le pagelle e il diploma di quegli anni da studente.
E più tardi?
Ho conosciuto Giovanna ( Vanna ) Giorgis che è stata la mia compagna, la mia discreta ispiratrice, per tutta la vita. Un amore di vera complicità, in cui è sempre bastato uno sguardo o un tocco della mano , senza bisogno di parole o altro. Pensa che, quando ci scambiavamo qualche biglietto in diverse occasioni, i miei li firmavo con la mia auto caricatura nelle sembianze di un cavallo, dal soprannome “Cavai” della mia famiglia di origine.
Poi vi siete trasferiti a Genova, dove tu hai insegnati per molti anni al Liceo Artistico.
Sì, è stata una necessità dovuta al mio lavoro, ma appena potevamo, tornavamo nella nostra casa di Varazze. Ci siamo trasferiti nel 1957, quando sono stato chiamato alla cattedra di pittura per “chiara fama” presso il Liceo Artistico Nicolò Barabino. Dapprima abbiamo abitato nel pensionato tenuto dalla famiglia Bonfante in via Zara 19 : per noi un’esperienza interessantissima e molto formativa, perché in quella casa-pensione abbiamo potuto conoscere persone delle più svariate nazionalità, professioni e spiccate personalità, scrittori, artisti, rifugiati politici. Dopo quegli anni, sempre ad Albaro, ci siamo trasferiti nell’appartamento di via Gobetti 3/7 , che è stata la nostra abitazione – mia e di Vanna – fino al 1987, quando la casa di Varazze in via don Bosco è diventata residenza definitiva.
Tu vivi in questa casa piena di cose raccolte negli anni, di oggetti popolari, di documenti e, come abbiamo già detto, di libri . Qui il mare entra ed esce dalla finestra. Qual è il rapporto con la tua casa?
La casa per me è la mia conchiglia, il mio bozzolo. Non saprei vivere in un ambiente squallido, privo di gusto. Posso passare tante volte davanti a un oggetto senza vederlo, poi improvvisamente mi si rivela, con mia gioia e sorpresa, risvegliando ricordi ormai lontani. L’arte popolare ha l’incanto dell’ingenuità e spesso si avvicina all’arte vera. Direi a quell’arte comune, universale ove tutti i popoli si incontrano e si riconoscono. Si è insistito più volte sulla sua incompiutezza talvolta persino ridicola, ma così com’è è completa e compiuta in modo perfetto, assoluto. Sì, qui il mare entra ed esce dalla finestra. Nel largo, vuoto pomeriggio di sole, il mare è fitto di un tremolio d’oro. A volte il sole riappare a rari intervalli e poi le grosse nuvole rinserrano la terra. Il mare spoglio e deserto, da frivolo, diventa serio, antico ai primi improvvisi freddi autunnali. La mia casa è insostituibile, il mio lavoro è raccolto qui, qui è riunito tutto quello che mi ha accompagnato nella vita, libri, oggetti, ricordi. Qui ascolto il respiro del mare.
Sia a Genova sia a Varazze casa vostra è sempre stato luogo di incontri, di conversazioni , di cene con gli amici più cari, quasi tutti artisti.
Vero. E’ sempre piaciuto, a Vanna e a me, ospitare amici in casa. Era l’occasione per scambiare punti di vista, opinioni, suggerimenti artistici, critiche sempre costruttive, per discutere di arte e di tanti altri argomenti che ci accomunavano e appassionavano.
Nella facciata interna della porta d’ingresso della vostra casa a Varazze ci sono le firme di quei vostri amici, alcuni dei quali artisti importanti .
Molti animavano la vita artistica di Albisola, gravitando soprattutto intorno alla fabbrica Mazzotti. Un giorno il pittore Oscar Saccorotti, che frequentava abitualmente casa nostra, ha esclamato: “Che bel grigio questa porta, ve la firmo“era l’anno 1953. Da allora tantissimi amici artisti hanno voluto lasciare la loro firma su quella porta, che è per noi la testimonianza concreta della loro amicizia.
Che cosa ha significato la lettura nella tua vita?
Da giovane la mia passione di leggere era estrema. Mi auguravo persino la prigione, l’ospedale. Un ‘avidità di libri, una sete di libri, il cuore turbato da questo senso di mistero e di ansia. Ho un temperamento sensibile ma lento, lento a imparare, lento a lavorare, tutto mi costa fatica. Ho impiegato tanto tempo a leggere che non me n’è rimasto molto per imparare a parlare. Ho frequentato più libri che compagni. Ho un temperamento più lirico che analitico e introspettivo, ho una inguaribile tendenza alla chiarezza, una sensibilità, una timidezza che mi rende la vita difficile. Al mio paese quelli più anziani di me leggevano i russi, “La madre” di Gorki, “La fossa” di Kuprin. Io avrei voluto per amici Dino Garrone, Edoardo Persico, Antonio Delfini. Nel portafoglio porto una piccola foto di Federico Tozzi. Si fanno strada innumerevoli ricordi di vita letteraria e di famigliari amicizie che il pudore di un vero affetto e il riserbo della poesia rendono restii alle dichiarazioni troppo esplicite e di sincerità. Il numero di libri che penso non avrò più la possibilità di leggere aumenta ogni giorno, ma certi libri vanno riletti con la vita alle spalle. I miei libri si ammalano di solitudine senza di me. E io quando li devo lasciare soffro. Ammonisce San Tommaso: ” Guardati dall’uomo di un solo libro.”
Cosa è per te l’amicizia ?
L’amicizia per me è fondamentale. All’amico puoi aprire il tuo cuore, dall’amico puoi avere comprensione e conforto. Con l’amico puoi stare in silenzio, infatti la stima e l’amicizia più delicate appartengono più al silenzio che alle chiacchiere. Forse non ci sono amicizie senza interruzioni e riprese. Con gli uomini, come con i campi. Ogni tanto ci si deve riposare. Il terreno non seminato si rinnova e darà migliori frutti.
E la natura?
La natura è sempre stata la mia grande ispiratrice. Il mare non l’ho dipinto che molto tardi, era dentro di me e quando è esploso l’impulso creativo non l’ho più lasciato. Nelle giornate distese d’afa e di sole, quando il mare e il cielo si toccano nello stesso colore , il mare di cui senti, a notte, vicinissimo, il formidabile, incontenibile ansito. Il mare che rugge ancora a vento calmo.
La campagna l’ho sempre sentita. Ho studiato gli insetti, ho seguito gli uccelli nel bosco per capirne le movenze, vederne i colori. Li ho disegnati sulle ceramiche e su innumerevoli fogli.
Tu hai viaggiato molto, sempre con Vanna al tuo fianco, Quali ricordi hai dei tuoi viaggi?
I miei viaggi sono pellegrinaggi non solo artistici, ma anche letterari e sentimentali. Le Langhe di Pavese, di Fenoglio, di Monti, i luoghi pascoliani, quelli di Joergensen e di Magri. Ricordo l’odore di pane caldo di un paese nelle Langhe. Ricordo la Spagna. Si arriva a certi paesi attraverso un paesaggio lunare. Un mare di stoppie gialle tagliate in verticale dalla strada fino all’orizzonte. Un infinito gregge di pecore col pastore dietro, tori neri, asini neri cavalcati senza sella, mucchi di paglia gialla. Ricordo a Parigi il fischio strascinato di un rimorchiatore sulla Senna, o quel vecchio che sul Pont des Arts girava la manovella della ghironda con sguardo rassegnato. A volte mi sento quasi estraneo nel mio paese. L’estraneità è una virtù: segno di non indifferenza o di lontananza, ma di spirito critico, di libertà. Molte volte si torna al paese per nostalgia e per chiudere laddove è iniziato il nostro itinerario della vita.
Ti senti un artista compiuto, soddisfatto?
Qualche volta anch’io, qualche volta anch’io sono stato soddisfatto del mio lavoro. La fatica mi debilita ma l’ozio mi intristisce. Credo di avere sempre disegnato, da bambino disegnavo velieri negli androni. I miei disegni più belli, i più vivi, i più schietti sono forse quelli fatti a carboncino sulla tela, fatti e subito ricoperti dal colore, visti da nessuno e dimenticati da me stesso. Come ceramista, ho imparato il mestiere dai vecchi maestri albisolesi, umili e sicuri come la terra che impastavano con le mani e con i piedi; poi sparivano nelle loro piccole case; fuori dall’uscio un orto stentato, nell’orto la barca e i remi appoggiati al muro. Poi ho vissuto e lavorato a contatto con i più prestigiosi artisti italiani e stranieri. Questi, i nordici specialmente, erano vere forze della natura, ma sapevano capire e apprezzare la delicatezza e la sensibilità dei miei lavori. Del resto, solo un occhio grosso può scambiare la mia semplicità per ingenuità. Ho sempre cercato di arricchire la mia esperienza. Se spesso la ceramica è debitrice della pittura, qualche volta è la pittura che è debitrice della ceramica. Un buon maestro impara insegnando e , finché si è giovani, si insegna la bellezza, con la maturità piena si pensa soltanto alla verità. Ora mi trovo fra il pittore che aveva accettato una disposizione anteriore della propria opera ed il pittore che impara a conoscersi dipingendo. L’anagrafe vorrebbe stabilire l’età, ma per un uomo che ha tra le virtù la probità e il lavoro disinteressato, la frequentazione dei poeti lo conservano sorprendentemente giovane e nuovo. Nel mio studio sono appoggiati l’uno sull’altro i miei quadri, si accumulano disegni e acquarelli. Vorrei ritrovare vecchi dipinti dispersi e trarne spunti per nuovi lavori. Forse quando avrò imparato a dipingere non ne avrò più le forze. L’importante è essere moderni a ottant’anni, non a venti.
P.S. Un particolare ringraziamento a Francesco Fazio della “Fondazione Bozzano-Giorgis” per il materiale e le immagini che mi ha fornito.
Tiziano Franzi