Riva Ligure: quando la Francia voleva annettersi Ventimiglia e oltre. Pochi ricordano che nell’aprile del 1945, poco meno di 80 anni fa, la frontiera con la Francia venne sistemata ai Piani di Borghetto tra Vallecrosia e Bordighera.
di Luigi Iperti
Infatti mentre oggi i rapporti italo francesi, specificamente quelli locali e quelli politici e industriali continuano ad essere intensi ed amichevoli, anche se talvolta non sempre bilanciati, sono invece pressoché dimenticati, dal grande pubblico, i rapporti conflittuali del recente passato, che pure continuano ad attrarre l’interesse degli amanti della storia, tra cui il Prof. Aldo Mola di cui parlerò a breve.
Ecco quindi un’ottima occasione la serata organizzato, a Riva Ligure, lunedì 22 agosto, dalla comunità di Villaregia, con il suo programma “Ponente Storia”, Dialoghi di confine. Relatore Luigi Iperti e Correlatore Graziano Mamon, moderatore l’avv. Giovanni Conio.
È bene che questi eventi del passato siano ricordati e portati a conoscenza specialmente dei giovano. Il titolo dell’incontro: Pace amara, la difficile rinascita dell’amicizia italo-francese dopo le rettifiche di frontiera, l’indomani del Secondo conflitto mondiale, ci riporta alla fine del terribile conflitto ed alle sue pesantissime conseguenze.
Gli italiani si trovarono in un paese distrutto e di fronte, oltre che ai problemi della ricostruzione, della disoccupazione ed alle privazioni alimentari, anche alle rettifiche di frontiera a oriente ed a occidente ed al ridimensionamento politico del Paese, voluto in primo luogo da De Gaulle, ma conseguenza di una politica e di una guerra disastrosa.
Il correlatore Prof. Graziano Mamone, docente all’Università di Genova ed autore del recente libro “Legionari del Duce in Spagna”, (Fusta Editore) ha affrontato uno degli aspetti di questa politica.
“Una sconfitta strategica perpetua” è il titolo introduttivo dell’articolo “La mannaia sul confine italo-francese” che il Prof. Aldo Mola, ha pubblicato sul Giornale del Piemonte e della Liguria del 13 febbraio 2022 per ricordare il Trattato di pace fra l’Italia e le potenze alleate, firmato il a Parigi il 10 febbraio 1947 dal segretario generale della delegazione italiana presso la conferenza di pace di Parigi, ambasciatore Antonio Meli Lupi di Soragna.
Afferma il Prof. Mola: “Le annessioni al confine orientale e l’esodo forzato di circa 350.000 persone in fuga dal regime comunista di Tito sono documentati e fanno ormai parte della memoria nazionale. Pressoché dimenticata è invece la rettifica della frontiera italo-francese imposta dal diktat sottoscritto a Parigi: meno catastrofica sotto il profilo umanitario, ma altrettanto odiosa sul piano morale, poiché ispirata non già a una visione lungimirante della Nuova Europa ma dal tardivo neo-nazionalismo che animava il governo francese di Charles De Gaulle”.
Le annessioni della Francia hanno interessato Piemonte e Liguria e inclusero Tenda, gran parte del territorio di Briga, alcune frazioni del Comune di Olivetta San Michele ed una striscia di terreno profonda da uno ai cinque km nelle zone del Piccolo San Bernardo, del Moncenisio e del Monte Thabor-Chaberton. Il criterio imposto dai francesi è stato quello del disarmo dell’Italia e in modo da rendere la frontiera indifendibile da parte italiana. Questo ha comportato il posizionamento del confine non più sullo spartiacque ma al di sotto della linea di cresta.
Al di là delle correzioni territoriali, la perdita dei territori d’oltremare, compresa Rodi e le isole del Dodecaneso, la cessione di ciò che restava della flotta ed il disarmo totale, molto grave fu l’attenuarsi del sentimento di patria e di italianità, specialmente nelle zone di frontiera. Nel suo articolo il Prof. Mola afferma che a “difendere l’italianità di Tenda provarono l’allora giovane storico Giorgio Beltrutti in un’opera ripetutamente aggiornata e ristampata, Vittorio Badini Confalonieri, i liberali e i monarchici. Gli altri, molto più numerosi, rimasero in seconda fila e esortarono a prendere atto”.
E questo è purtroppo vero per molti politici che non vollero o non furono in grado di organizzare una difesa contro l’annessione alla Francia di quelle terre italianissime. A quanto afferma il Prof. Mola, per amore di verità, vorrei aggiungere, tra i difensori dell’italianità, il Comitato per l’Italianità della valle Roia di Sanremo, e la sua Presidente, Nilla Gismondi, una donna coraggiosa ed attivissima, madre di quattro figli, ed anche l’ing. Aldo Ruffi, Vice presidente e vero braccio operativo dell’Associazione Esuli Alta Valle Roia di Torino, di cui l’On. Badini Confalonieri era Presidente.
Un altro esponente dell’Associazione, non citato dal Prof. Mola, è il conte Guido d’Alberti della Briga, di origine brigasca, che, nei primi tempi, più si era impegnato nel difendere l’Italianità di Tenda e Briga. Memorabile il suo discorso alla radio nell’imminenza del plebiscito a cui non gli fu permesso di partecipare. Altra dimenticanza quella dell’ex sindaco di Tenda Cav. Durero che, per aver difeso l’italianità di Tenda, nella notte tra il 16 e 17 settembre 1947, dopo il passaggio di Tenda alla Francia, fu brutalmente aggredito, caricato morente su un camioncino e portato oltre confine, dove fortunatamente poté riprendersi dopo una lunga convalescenza.
Mentre rimando al mio libro “Storie di Frontiera” (Editore De Ferrari Genova), per il racconto dettagliato dell’impegno profuso dai vari protagonisti, quale risulta dai documenti di archivio in gran parte inediti, vorrei qui ricordare, con qualche maggiore notizia, l’attività di Nilla Gismondi. Lei si dedicò, a partire dal 1946, ad una intensa azione politica per difendere l’Italianità delle terre che la Francia voleva annettersi. La sua azione si espletò sia attraverso interventi diretti presso il presidente Alcide De Gasperi, il Conte Sforza ed altri Ministri, prima per evitare che il Trattato di pace venisse firmato e poi per cercare di ottenere in tutti i modi possibili una sua revisione. Lei stessa ricordava il lavoro fatto:
“Controbattere la propaganda filofrancese […] fra la popolazione di confine e affermare l’Italianità di quella zona che il Trattato di pace voleva aggiudicare alla Francia. Nulla si lasciò di intentato per raggiungere il fine, fra l’altro una vibrante protesta al Capo del Governo Italiano, seguita da ventimila firme raccolte fra la popolazione di confine. Tale protesta venne portata dalla Delegazione Italiana a Parigi. Si colsero inoltre tutte le occasioni più propizie per affermare l’attaccamento della popolazione di confine alla Madre Patria e per invocare la revisione dell’ingiusto Trattato di pace”.
Nell’immediato dopoguerra, la Gismondi, già quarantacinquenne, madre di quattro figli, si era avvicinata alla nascente Democrazia Cristiana, partecipando alle vicende politiche locali ed entrando in contatto con i politici più in vista tra cui Paolo Emilio Taviani, che da Genova seguiva le vicende della Liguria occidentale con particolare interesse.
La sua azione presso il Governo fu accompagnata da continui interventi sulla stampa, purtroppo quasi solo locale, perché i grandi quotidiani nazionali persero presto interesse per la difesa di queste terre italiane e per gli esuli che preferirono abbandonarle per restare italiani. Infatti furono gli italiani delle zone di confine quelli che più sentirono l’inimicizia delle Francia per il suo atteggiamento mentre, come dimostrò un sondaggio Doxa dell’ottobre 1946, la perdita di Briga e Tenda rispetto alla Venezia Giulia ed alle terre d’oltremare era in ultima posizione tra le preoccupazioni degli italiani in quel momento, salvo al Nord Italia, dove si collocava al secondo posto dopo la Venezia Giulia.
Il Governo italiano, malgrado le pressioni del Comitato, dell’Associazione e delle popolazioni locali, preferì cercare un’intesa con la Francia e ristabilire un rapporto di collaborazione con la stessa. Incombevano i problemi economici, e quelli politici, tra cui la necessità di dare un lavoro ai disoccupati, l’urgenza di essere accolti nel Patto Atlantico per scongiurare il pericolo che veniva da Est e quindi la necessità di un minimo di riarmo, tutte cose per cui era necessario l’accordo ed il sostegno della Francia.
Tra gli esponenti politici che esortarono “a prendere atto”, come dice il prof. Mola vi è stato anche l’on. Saragat, che pure aveva fatto a Parigi un nobile discorso di difesa delle italianità di quelle terre tra cui Piena Alta, Piena Bassa e Libri del Comune di Olivetta San Michele che mai avevano fatto parte della contea di Nizza che il Rattachement nizzardo aveva adottato come supporto giuridico per le annessioni di Tenda e Briga.
La Presidente Gismondi, supportata dai membri autorevoli del Comitato come l’avv. Fusaro, non riuscì ad impedire l’annessione di terre italianissime. Non dimentichiamo però un suo grandissimo successo, questo sì ottenuto motivando politici e funzionari dello Stato. Infatti ella fu capace di mettere a disposizione della Commissione di Conciliazione, che aveva a capo un arbitro svizzero, la documentazione ed il supporto politico necessario per ottenere una sentenza in gran parte favorevole ai Comuni liguri e piemontesi per il ricupero dei loro beni comunali che erano rimasti al di là della frontiera. Per esempio Realdo, già appartenente al Comune di Briga Marittima, e poi aggregato a Triora ottenne la restituzione in proprietà di 600 ettari di beni comunali consistenti in pascoli e boschi, essenziali per la sua popolazione, costituita in gran parte di pastori.
Il mio libro documenta, con ampi stralci degli scritti originali, l’opera continua della Gismondi che fece da ponte tra il mondo politico romano e le popolazioni coinvolte. La sua azione, agevolata dalla sua militanza democristiana, da cui non trasse nessun vantaggio personale, si protrasse a lungo. Infatti l’arbitrato si concluse solo nell’autunno del 1953, sei anni dopo la firma del Trattato. Accanto alla signora Gismondi merita un ricordo particolare Don Guido Pastor, giovane parroco di Realdo che abbracciò la difesa dei diritti dei pastori e fu loro vicino per lunghi anni anche quando i pastori assunsero azioni di forza per ottenere pascoli alle loro greggi.
Data infausta quella del 10 febbraio 1947, ma che dobbiamo ricordare per onorare tutti quelli italiani che si impegnarono a difendere l’Italianità di quelle terre che la Francia volle annettersi. Certo la Francia avrebbe potuto essere più generosa e rinunciare a chiedere alla nuova Italia questo sacrificio, quella stessa Francia, impersonata da George Bidault, che aveva accolto De Gasperi alla tribuna di Parigi con la rassicurante espressione: “ascoltiamo la parola della nuova Italia”.
Luigi Iperti