Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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L’economia vera è sempre civile. Chi sono nel Parlamento gli storpi e i mostri


Perché l’economia occidentale è comunque migliore di quella putiniana.

di Sergio Bevilacqua

Se la politica è 80 % economia, questo non significa che l’economia sia una disciplina né efficiente né autonoma. Infatti essa è crocevia di molte discipline ed è in sé parte della sociologia.

Gli economisti fanno guai da soli, la loro supposta scienza attiene unicamente al complesso modello industriale, che va visto come un’enorme, inarrestabile macchina di trasformazione del mondo e il vero strumento di dominio della natura circostante da parte della specie umana.

Ma la pura e vera economia è anche altra cosa. Essa non attiene unicamente alla trasformazione di materiali e informazioni, all’industria, ma riguarda più genericamente la produzione del valore, tutte le produzioni di valore, non solo quelle industriali, da alcuni secoli di gran lunga e vieppiù importanti. Anche se la sua etimologia sposterebbe la questione ancora più a monte, con accezione relativa alle “logiche di gestione della comune casa terrestre” (credo che questa debba essere considerata la giusta accezione attuale di “economia”).

Il gravissimo errore è stato il vicolo cieco in cui si è ficcata la disciplina economica con la (corretta, per l’epoca!) lezione degli economisti classici (XVIII sec.) e di Marx (XIX) e poi Keynes (XX), ancor’oggi imperante, seppur superata.

Occorre riportare l’economia alla sua vera dignità, e capire che è materia principale della politica, ed essa stessa, con le sue regole relative e mutevoli, politica in toto. E che il suo corpus dottrinale è ancor’oggi, come un automa, nelle mani di dottor Frankenstein, e che la vita gli proviene da altro, da lui, infatti, che lo investe, per sua volontà, del fulmine del movimento e lo controlla quasi del tutto. Che sia, allora, il fulmine benefico del civile, quello già inquinato della plutocrazia occidentale o quello inaccettabile dell’oscurantismo opportunistico del piccolo e aggressivo mondo putiniano.

Il ministro Giorgetti

Ma fraintendere che l’automa sia esso stesso Frankenstein è l’errore. Non lo fece Alfred Nobel, l’errore lo fecero i gestori dei suoi ambìti e intelligenti premi, istituendone uno che lui non voleva, quello all’economia. Tutte le altre visioni, che suppongono vari estesi automatismi del sistema economico, sono appunto fuorvianti, e producono storpi come Tremonti, Monti, Draghi che sono meglio di altri mostri presenti in Parlamento, come Claudio Borghi o Giorgetti, ma pur sempre storpi. E per quella via possono essere piegati a interessi di parte, cui la sana politica si oppone.

Allora, la politica non può essere avulsa dall’economia e nemmeno negarne la centralità: deve incorporarla con realismo e umiltà e, per accidia o incomprensione o ideologia, non denegarla per fare affiorare altre logiche subalterne, solo perché più consone alla mente del critico. È un problema di serietà intellettuale, e di rigore filosofico. Che rimangono le basi individuali di ogni politica seria, anche in teoria politica, accanto all’altro filone necessario e convergente, quello dell’esperienza clinica di campo. Dunque c’è anche una lezione dell’economia alla politica, pur essendone parte: quella di evitare la pura astrazione, cioè la sola dialettica, la semplice storiografia o cultura libresca.

E di diffidare quando le questioni vengono spostate su piani astratti, come Putin fa mandando avanti lo specchietto per allodole Aleksandr Dugin, una filosofia a caccia di prede occidentali disadattate per affermare i suoi retrogradi interessi economici con i carrarmati e il sangue.

Sergio Bevilacqua


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