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Intervista/ Ugo Moriano onegliese: dalle Ferrovie ai Vigili del Fuoco. La passione per la storia e la Sacra Sindone. I suoi noir nel Ponente ligure


Ugo Moriano, classe 1959 onegliese, diplomato presso l’Istituto Tecnico per Geometri, per oltre quarant’anni impiegato nell’amministrazione ferroviaria e poi nei vigili del fuoco, giubilato dal lavoro all’inizio del 2022, si è tuffato nella storia e nella scrittura.

di Gian Luigi Bruzzone

Egregio Signore, se non le dispiace, ci parli  della sua famiglia, tutta ponentina, non è vero?

Ugo Moriano

Sì, la mia famiglia è originaria del Ponente Ligure. I miei genitori sono entrambi nati a Imperia, i miei nonni materni erano di Oneglia (allora Imperia ancora non esisteva, fino al 1923), quelli paterni invece sono nati a Rezzo e Cosio d’Arroscia. Ciò fa di me un ligure a tutti gli effetti.

La mia infanzia…

Ho trascorso l’infanzia a Imperia Oneglia. Il tempo libero lo passavo in compagnia di molti altri ragazzini. Se le giornate erano belle si usciva e si andava a giocare a pallone, a biglie, a nascondino o ci si inventava altre attività. Spesso si ritornava a casa con le ginocchia “sbucciate”.

Della formazione scolastica, che ama ricordare? Compagni maestri...

Alle elementari ho avuto un maestro che durante la guerra era stato un bersagliere e poi dopo il 1943 era stato internato in un campo di concentramento in Germania. Ogni giorno, prima di iniziare le lezioni, si recitava una preghiera, poi si cantava l’inno nazionale e si faceva ginnastica. Le medie le ricordo come un triennio di studio, ma anche di libertà in quanto non si veniva più considerati bambini. Le superiori hanno visto il mio diventare un giovanissimo adulto. Erano gli anni ’70, tempi macchiati da tensioni e terrorismo, ma anche carichi di libertà e aspettative che spesso, nei decenni successivi, sono svanite.

Finalmente ha raggiunto la meta della pensione, dopo quaranta anni lavorativi...

Sì, ora sono in pensione. Ho iniziato a lavorare subito dopo la maturità e, fortunatamente, non ho mai smesso. Ho prestato servizio per quasi tredici anni nelle Ferrovie dello Stato e poi per oltre ventinove nei Vigili del Fuoco. Il lavoro ha concorso a fare di me ciò che sono, ma ora cercherò di godermi al meglio la pensione sfruttando il tempo libero per ampliare i miei interessi.

Ha iniziato a scrivere un quindicennio fa, ma il fenomeno è stato preceduto da uno sviscerato interesse per la storia, inde a puero.

La passione per la storia mi accompagna da sempre. Ragazzo, acquistavo le enciclopedie di storia a fascicoli presso l’edicola e ad ogni uscita mi leggevo l’opuscolo quasi fosse un romanzo. Crescendo ho continuato a coltivare questo interesse passando da libri di storia a biografie, a romanzi storici e saggi, fino ad arrivare, nei tempi più recenti, a seguire su youtube lectio magistralis tenute da storici e storici militari. 

Che cos’è la scrittura per lei?

Un modo per dare concretezza alla mia fantasia. Non mi è indispensabile scrivere e metto in conto che un giorno tutto ciò possa anche finire per mia scelta, ma adesso la scrittura mi permette di vivere storie e di muovermi per epoche e per terre diverse, impossibili da raggiungere nella realtà. 

Com’è sbocciato il ciclo di romanzi storici sui Longobardi?

Piuttosto casualmente. Il mio interesse per la storia si focalizza più che altro sul periodo della Roma repubblicana e poi imperiale. Mi appassiona anche la storia moderna e contemporanea. I Longobardi non li avevo mai approfonditi, ma quando li ho “scoperti” si sono rivelati davvero interessanti e mi hanno offerto lo spunto per ben tre romanzi di cui uno, il secondo, è stato finalista al premio Bancarella.

Dalla sua passione per la S. Sindone è uscito un romanzo e ne ha progettato un ciclo intero. Ce ne ragguagli, per favore. (Il suo interesse per questo fondamentale evento storico mi ha colpito, a motivo dell’amicizia mia col Prof. Pietro Scotti e con mio cugino Dr Giuseppe Massone, esperti sindonologi).

Fino a quattro anni fa la mia conoscenza della Sacra Sindone rimaneva piuttosto superficiale, legata principalmente alle informazioni provenienti da qualche articolo o trasmissione televisiva. Poi, l’interesse per i Savoia e la loro millenaria dinastia mi ha portato a documentarmi sul Telo ora custodito a Torino. Più approfondivo con letture e ricerche e più questa reliquia mi appassionava fino a far sorgere in me la voglia di romanzarla attraverso quattro opere storiche. La prima “Il re della gloria” è già stata pubblicata, la seconda vedrà la luce alla fine del 2023. 

E i suoi gialli e neri?

Il mio primo romanzo – Il ricordo ti può uccidere – è un noir ambientato nel Ponente ligure, così come i tre libri successivi. Da allora, pur scrivendo anche storie di altri generi, non ho mai tralasciato questo tipo di scrittura. Quando racconto di un omicidio, oltre che curare la trama e la personalità dei personaggi, cerco sempre di inserire le loro vicende nel contesto che li circonda perché, a mio avviso, il territorio e la sua storia rivestono un ruolo importante nella vita delle persone. 

Come spiega il successo di questo genere letterario?

Se volessi semplificare molto, direi che dipende dall’intreccio e dalla lunghezza delle storie che spesso non raggiungono le 250 pagine. Ci aggiungerei la linearità del loro percorso delle storie che, per quanto dissimulato, parte sempre da un fatto criminoso e porta immancabilmente alla soluzione. Poche sono le divagazioni importanti, rare le storie parallele di una certa rilevanza. Per il lettore è una corsa, seppur a ostacoli, verso il traguardo e, come in tutte le gare, non si vede l’ora di arrivare alla meta. 

Genti e terre del Ponente.

Per rispondere compiutamente a questa domanda dovrei scrivere per ore. Sono un ligure discendente da liguri rivieraschi e montani. Gente abituata a non sprecare nulla perché la vita in queste terre non è mai stata prodiga di regali. Il mare per noi è sempre stato sinonimo di fatica e spesso lutti. Ricordo ancora la casa di una mia anziana cugina (allora ero un bambino) che alle pareti aveva le le fotografie dei parenti che erano scomparsi con i “barchi”. Per chi abitava sulle colline o sulle retrostanti montagne, sbarcare il lunario significava tanta fatica per poi accontentarsi di ciò che la loro terra poteva offrire (castagne, grano in quantità ridotta, latte, mele, noci, carne quasi mai). Solo dopo la seconda guerra mondiale, per chi abita lungo la stretta fascia costiera, è finalmente arrivato il turismo che ci fa conoscere come la “Riviera”. 

Che cos’è la felicità?

Essere consci di ciò che si possiede (famiglia, salute, casa, lavoro ecc.) e goderne appieno i frutti. Tendere sempre a migliorarsi senza però rodersi il fegato per ciò che non si ha o non si è. 

Oggi…

Oggi sono un uomo che si sta avviando verso l’ultimo tratto (spero molto lungo) della vita. Ho una famiglia, dei figli, un nipote e un altro in arrivo. Leggo e guardo la televisione, uso il computer sfruttando ciò che questa tecnologia mi mette a disposizione, coltivo l’orto e gli ulivi. Inutile dire che scrivo. Lo faccio con impegno e passione cercando di dare sempre il meglio. 

Domani…

Continuare l’oggi ampliando ancora i miei interessi, ma non a scapito di ciò che già possiedo. Per quanto riguarda la scrittura, porterò avanti questo mio interesse finché la fantasia e la voglia di raccontare non verranno meno.

Grazie, caro Signor Ugo, per aver accolto le mie domande. Auguro a Lei ed ai Suoi ore sempre serene.

 Gian Luigi Bruzzone

 


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