Trucioli

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I lati oscuri della cosiddetta ‘finanza verde’


Da anni con l’espressione “finanza verde” siamo abituati a riferirci all’emissione di titoli finalizzati alla mobilitazione di capitali diretti verso progetti sostenibili, che rispettano cioè i cosiddetti criteri ESG (Enviromental, Social, Governance).

di Antonio Rossello

Misurati attraverso i tre fattori ambientali, sociali e di buona governance, tra i quali ad esempio risultano i processi di decarbonizzazione e di transizione energetica.

Inizialmente non è stato semplice per investitori e mercati finanziari attingere le ragioni del green business, vista la carenza di dati inerenti al rischio climatico delle imprese o i rendimenti di tale genere di investimenti.

Purtroppo, ad una iniziale crescente attenzione internazionale in materia di energia e clima soprattutto rivolta alla criticità rappresentata dalla riduzione delle emissioni di carbonio, mentre, a complicare il quadro sul fronte della finanza sostenibile, si è ora aggiunto l’impatto economico di quanto sta accadendo in Ucraina.
Quali che ne siano le ragioni, un rallentamento delle forniture di fonti energetiche dalla Russia, petrolio e gas, comporta effetti anche sul mix di approvvigionamenti dei paesi consumatori; inoltre, i benefici delle rinnovabili non arriveranno presto, stando almeno ai programmi realistici, il che scuoterà drammaticamente il mercato dei servizi finanziari.
Ancora una volta, i grandi numeri rappresentano un tema estremamente importante, a prescindere dagli effetti diretti e indiretti, di lunga, media e breve durata.
Come evidenziano recentemente referenziate analisi internazionali, il settore della finanza sostenibile sarebbe a rischio a livello globale, in quanto, in tempi incerti, c’è minore disponibilità, da parte degli operatori in cerca di stabilità e profitto, a mantenere fede al paradigma: “It costs money, because it saves money”, riassumendo con la celebre battuta del film Moonstruck del 1987.
Pertanto, questo periodo di crisi non è favorevole ad investimenti o ad alcun profitto; questo nodo si propagherà anche alla European Sustainable Finance Platform, un gruppo permanente di esperti della Commissione europea, istituito per assistere lo sviluppo di politiche di finanza sostenibile, il quale nelle ultime settimane ha presentato un report su una tassonomia sociale, in cui si propone una revisione della realtà degli investimenti socialmente sostenibili.
Intanto, riemerge il pensiero della maggior parte dei finanzieri: il cambiamento climatico non ha alcun impatto sulla finanza e gli investitori non devono preoccuparsene. In tal senso, il punto, ovviamente, non è negare la realtà del cambiamento climatico o i rischi ambientali che esso comporta. Ma affermare che, per quanto gravi possano essere questi sconvolgimenti, non avranno praticamente alcun effetto sulla finanza.
Lo scenario è quello di un mercato azionario che continuerà a salire, di banche che non subiranno quasi nessuna perdita a causa del riscaldamento globale e non di banche centrali che perderanno tempo a occuparsi di ciò che non le riguarda.
Il motivo è di facile intuizione: qual è la durata media di un prestito? Sei anni, dacché ciò che accadrà al pianeta nel settimo anno è irrilevante per il portafoglio creditizio. Se per l’umanità il cambiamento climatico avrà un impatto catastrofico tra dieci, venti o cinquant’anni, tutto ciò sarà assolutamente irrilevante per la stragrande maggioranza del mondo finanziario, che investe in tempi relativamente brevi.
Comunque si giri la frittata, nulla cambia, aldilà del tono con cui si esprime un concetto tanto chiaro. Se da un lato, in modo brutale, è evidente che ai finanzieri non interessa il cambiamento climatico, dall’altro, indorando la pillola, spesso si sente dire che gli investitori sono ben consapevoli e preoccupati del fenomeno, ma ritengono che la propria finalità sia di massimizzare i rendimenti e non necessariamente di sostenere la lotta contro di esso.
Di fronte ad una simile scelta, per l’Homo oeconomicus, e per tutti i suoi più moderni discendenti, non prevale il dovere morale. Perché nel loro DNA è inscritto l’obbligo di agire soltanto in base al tornaconto.
Antonio Rossello

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A. Rossello

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