Carrarmati si muovono con strana cautela verso mete supposte strategiche. Le mete supposte strategiche sono anche quelle d’impatto comunicazionale, ad esempio Chernobyl. L’impiego di forze tattiche e convenzionali è come surdeterminato da altro.
di Sergio Bevilacqua
La miscela di azioni economiche, comunicazionali e militari spaventa molto. La motivazione all’economia nell’azione militare è del tutto sconvolta rispetto alle ipotesi del passato, quando un Paese ne distruggeva un altro per poi ricostruirlo con le sue forze industriali e imprenditoriali e così alimentare ulteriore sviluppo suo e assoluto. Sopra alle azioni degli Stati ci sono quelle di gruppi privati che sono cresciuti con la crescita dell’economia industriale fino a sopravanzare i bilanci degli Stati stessi, quasi tutti, e tutti senza eccezione nella manovrabilità agevole di immani quantità di valore.
Il confronto col patrimonio degli Stati e dei gruppi privati è molto delucidante: ad esempio, il colosso privato globale della gestione dei fondi pensione Blackrock, che investe ovunque, gestisce quasi 10000 miliardi di dollari mentre lo stato italiano ne possiede soltanto 2000 a patrimonio. Il pagamento in rubli del gas sembra che sia risolto dalla compagnia privata Gazprom, russa ma apolide di fatto, che potrebbe convertire in rubli il pagamento contrattuale dei contratti per il gas in dollari ed euro, consentendo l’attuazione di una misura decisa da Putin in modo quasi dilettantesco (come dilettantesca sembra anche questa campagna militare) per l’indisponibilità di quantità di rubli sufficienti sui mercati valutari…
Inutile continuare ad alimentare la paura dell’opinione pubblica su questa guerra: è vero che l’informazione, insomma, non sempre svolge bene il suo ruolo di quarto potere in democrazia, ma va detto che il pluralismo reale (il minimo proprio di una democrazia, vera e moderna…) consente la presenza di numerose campane, certo di diverse misure e risonanza, ma con un buon udito, insomma, si riesce a venire a capo d’informazioni sufficienti a non cadere nelle trappole mediatiche, ordite anche secondo interessi enormi, e globali.
La maturazione dell’economia industriale, con il rutilante sviluppo quantitativo dell’economia (e demografia…) dell’Asia non crea più premesse per azioni distruttive con le guerre, senza che ci sia aspettativa di sviluppo: senza delta ricchezza a valle, dopo la ricostruzione, nessuno si metterà a distruggere a monte. Il grosso del mondo è già stato spartito, e i Nuovi Feudatari Privati vogliono tutt’altro che la sua distruzione, che è in sostanza la distruzione dei loro beni. Il cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale, il Neoliberismo, tutt’altro che satanico come molti poveretti anacronistici e deliranti lo definiscono, è espressione di un fenomeno naturale, la maturazione dell’economia di trasformazione industriale, con una concentrazione che, prima di essere figlia di ingordigia e di disprezzo del popolo, invece è espressione delle regole base di qualunque modello di sviluppo industriale, le economie di scala e la curva di esperienza.
Piccolo è bello è sempre stato falso, e oggi lo è ancora di più. Proprio errato: casomai “nicchia” è bello, grande o piccola che sia, questa infrastruttura economica che potremmo anche chiamare prodotto/mercato, imprescindibilmente in connessione, e dove il mercato è, oggi terzo millennio, sempre e soltanto quello globale, fatto di consumatori o di aziende, anche se per gusto e cultura magari è concentrato in una sola piccola regione (tra i concetti di nicchia appunto).
Così come è una falsità romantica il locale contrapposto al globale. Così come il globale, uniforme, dei consumi umani per eccellenza, scoperti o chiariti da McDonald, Starbucks, Toyota, ecc. si localizza, conformandosi dopo l’uniformazione, ad alcune misure dei diversi bacini di consumo distribuiti nel globo, il locale in primis utilizza le clamorose disponibilità di scelta e tecnologie che la esistenza del globale consente. Così, giustamente, il locale si occupa di tutto ciò che resta del mercato e della civiltà, investite dall’appropriata uniformazione. Garantito dalla comunicazione sufficientemente libera, il locale si occupa sempre di più e meglio di ciò che non è interessante per i globalizzatori: questo residuo di differente misura e tipo possiamo chiamarlo “zoccolo duro della varietà delle società umane”, con le loro tradizioni che in molti casi sono resistenti e non consentono una entrata imprenditoriale efficiente dai punti cardinali senza l’impegno della competenza locale. Dove finisce il GLOCAL, la penetrazione del globale nel locale per rendimenti marginali decrescenti, nasce il suo opposto, il LOBAL, il locale che si avvale delle grandissime risorse messe a disposizione dal globale per crescere e mutare in meglio.
Non c’è suspence, cari amici: e nemmeno in questa guerra… Missili ipersonici? Un gadget. Rischi di evoluzione nucleare? Un film di fantascienza per spaventare i bambini e mantenere alta il gioco infantile napoleonico e wellingtoniano del risiko.
Non c’è suspence, ma morti sì. Violenza sì. Distruzioni sì. Disprezzo dell’umano sì. Poca intelligenza sì. Bassi interessi di una classe di primitivi ricchissimi e menefreghisti del popolo come gli oligarchi russi capitanati da Putin sì. Azioni spericolate di un Paese di medie dimensioni economiche complessive e di poca civiltà politica, che magari ha una buona industria militare, ma la civiltà è data dalla classe media, e quella buona si forma nelle imprese economiche più varie, non nelle forze armate soltanto e nemmeno in particolare.
C’è chi gioca a soldatini, ancora, quando le forze vere in campo sono di tutt’altro tipo: anche i “piccoli risiko crescono” nostrani, che non capiscono che, al di sopra della dimensione strategica militare, la cosiddetta geopolitica oggi è condizionata dal sistema economico mondiale coeso ed è patrimonio, non di organismi statali viziati da possibile delirio politicoide-istituzionale, ma di specifica proprietà privata, proprio come una volta feudi e regni.
Ma con un elemento, molto rassicurante in più: la coesione complessiva olistica, dell’intero orbo terracqueo, globale come mai fu prima di oggi.
Sergio Bevilacqua