Intervista a don Moreno Cattelan, sacerdote italiano in Ucraina. Ascoltandola sul canale youtube di Città Nuova, ho avuto un certo sentore di virtù eroiche e di una gioia e pace profonde, tra le bombe. Cosa ci fa in Ucraina?
di Gianluca Valpondi
Sono arrivato in Ucraina nel 2004. Per 15 anni ho vissuto a L’viv (Leopoli), dove con altri confratelli abbiamo realizzato il “Centro Divina Provvidenza”: parrocchia, oratorio, centro sportivo, Caritas, Casa-famiglia “Cafarnao” per 10 persone con disabilità con laboratorio diurno occupazionale, il monastero (seminario). È in costruzione una nuova chiesa. Nell’ottobre 2019 mi sono trasferito a Kiev, dove stiamo iniziando una nuova presenza.
Nei 15 anni di permanenza a L’viv mi sono occupato principalmente dell’oratorio e dei giovani. Una parte della giornata la dedicavo al servizio del gruppo di persone disabili. A Kiev abbiamo iniziato un’attività con bambini e ragazzi e famiglie del quartiere dove abitiamo. Ci troviamo nella prima periferia cittadina sulla strada che porta ad Odessa. Abbiamo un ettaro di terreno di nostra proprietà. Dopo il covid 19, abbiamo iniziato un’attività oratoriale aperta a tutti, grandi e piccoli, per creare un primo gruppo di persone con le quali vogliamo formare una comunità che si ritrovi attorno a valori comuni, dal momento che tra gli abitanti del nostro complesso c’è una varietà di provenienze, credo religiosi, lingue (russo, ucraino, armeno).
La scorsa estate abbiamo realizzato un “Grest” (allegre vacanze, come diciamo noi), che ci ha permesso di incontrare tanti bambini, ragazzi e le loro famiglie. Il nostro “terreno” è diventato un punto di riferimento, grazie a piccoli servizi provvisori che abbiamo messo a disposizione di tutti: un campo da calcetto, tavolo da ping-pong, canestro da basket, tappeto elastico, altri giochi e una zona attrezzata con tavoli e panchine dove si possono preparare e consumare dei picnìc.
Dopo Natale, abbiamo iniziato a collaborare con la Caritas-Spes latina e la Caritas Greco-cattolica di Kiev per la distribuzione, due volte alla settimana, di un pasto caldo a circa 120 persone povere, che incontriamo in 5 punti della città. Per qualificare meglio il nostro servizio abbiamo dotato il nostro oratorio (si chiama Centro Cristiano Orione) di due piccoli box (9×10 metri): uno funge da cappellina per il servizio liturgico in rito orientale (apparteniamo alla chiesa Greco-cattolica ucraina), il secondo serve da sala polivalente per attività varie. Era nostra intenzione inaugurare questa piccola struttura prima della Pasqua, ma il 24 febbraio è iniziata la guerra. Con il chierico Mykhailo, che è con me, su indicazione dei nostri superiori, per ragioni di sicurezza, ci siamo trasferiti da Kiev a L’viv.
Quindi appartenete alla famiglia degli orionini? La questione della lingua russa, dei russofoni, delle minoranze russe in Ucraina viene spesso citata come determinante per lo scatenarsi di un conflitto che a quanto pare dura da anni. Come vivete o vivevate il vostro “laboratorio di pace” anche russo-ucraino? Avete dovuto per il momento chiudere i battenti?
Sì, sono un religioso della congregazione di San Luigi Orione. Il motto della nostra congregazione è molto pertinente alla situazione nella quale viviamo: “Ricapitolare tutto in Cristo” (Ef 1,10). Questo significa che per noi non esistono barriere religiose, politiche e tanto meno linguistiche, che ostacolino il nostro operare. Nel nostro oratorio di Kiev, la maggior parte dei bambini e delle persone che lo frequentano (frequentavano) parlano russo, anche se le lezioni a scuola sono in lingua ucraina. Anch’io sto imparando un po’ di russo. Il bilinguismo (ucraino/russo) è una costante nella vita quotidiana, come in tutti i mezzi della comunicazione di massa, nella musica e nella letteratura.
Il problema non è questo: russofoni o russofili. Ma altro. Egemonia di potere e tentativo di far rientrare nelle sfera “Russa” quanti, dopo la caduta del muro di Berlino, hanno conquistato la loro libertà, indipendenza e dignità una volta usciti dalla sfera della vecchia CCCP. Il nostro laboratorio di pace, come lei dice molto bene, non ha chiuso i battenti. Continua a L’viv, dove accogliamo i profughi che provengono dalle città che in queste settimane sono state oggetto di una inspiegabile distruzione. Città o paesi dell’Est Ucraina dove l’80% della popolazione parla russo. E loro continuano qui, nel nostro centro di raccolta profughi, a parlare russo.
Come vede, i nostri aggressori non sono andati a salvarli (come dice la propaganda sulla questione del Donbass) perché, dal momento che “parlano russo”, gli ucraini li avrebbero massacrati! Anzi è successo il contrario. Son dovuti scappare dalla minaccia russa, non ucraina. I nostri aggressori parlano di “denazificazione” dell’Ucraina. Ma nessuno parla della “russificazione” imposta in Crimea e nelle due provincie cosiddette “separatiste” di Donetsk e Lugansk. Ma noi siamo operatori di pace e unità. Gente concreta che percorre le strade della carità. Cerchiamo quello che può unire le persone, i popoli, il mondo, e non quanto è causa di divisione. Come diceva don Orione: la nostra politica è il Padre nostro.
Come ha vissuto l’annuncio di papa Francesco della consacrazione del mondo e in particolare di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria? Come interpreta il riferimento del Pontefice alla Regina della pace, titolo con cui la Madre di Dio è venerata in special modo nella parrocchia “mondiale” (sotto l’ala del Vaticano) di Medjugorje? Qual è il ruolo della preghiera nella costruzione della pace?
Tutti abbiamo accolto l’annuncio di Papa Francesco come un segno di grande speranza. La volontà concreta di consegnare al Cuore Immacolata di Maria non solo le due nazioni in conflitto, ma l’umanità intera, è, ancora una volta, il segno che abbiamo bisogno di un salto di qualità. Dobbiamo ritornare a fare un passaggio determinante. Dimenticato o rimosso, per svariati motivi. Dove non arriva la mediazione umana, tentata tra i potenti in varie modalità e rappresentanze, noi come cristiani confidiamo in Colui che è il mediatore tra cielo e terra. Confidiamo in Colei che diverse volte e in luoghi diversi ha fatto da Mediatrice tra cielo e terra: Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Quanto compiuto da Papa Francesco in comunione con il popolo di Dio, che ha aderito a questa iniziativa, non è un semplice “atto devozionale”, ma la consapevolezza che il messaggio nelle diverse apparizione è sempre unico e univoco. È il messaggio evangelico, antico e sempre nuovo: “Convertitevi e credete al Vangelo. Cambiate vita e accogliete Cristo come salvatore dell’umanità”. Questa nuova povertà che coinvolge tutti ci insegna che perdere il contatto con il Divino è perdere il contatto con l’umano. Ed è quanto è capitato e sta capitando in questi giorni. Ogni conflitto è disumano.
Quanto sta accadendo intorno a noi è disumano. Non è razionale, spiegabile. Tra noi ci diciamo: “Veramente satana ha preso il sopravvento e quanto capita oggi qui in Ucraina ha solo del diabolico”. Il ritorno a Dio come conversione del cuore (ovvero del nostro modo di vivere, agire, pensare) è il solo antidoto. Perdere questo legame con Dio è perdere non la guerra, ma perdere tutto. Distrugge l’uomo e la sua capacità di conversione. Papa Francesco ha un’attenzione particolare (pastorale) verso Medjugorje. C’è un nuovo Visitatore Apostolico della Santa Sede presso la parrocchia delle apparizioni. La chiesa primitiva, come ci dicono gli Atti degli Apostoli, era riunita in preghiera con Maria. Incontrare il Signore, pregare e stare in compagnia della Regina della Pace e, tornati, cambiare vita, è quanto si ripete anche oggi a Medjugorje. Pregare per la pace è un impegno costante, non solo nei momenti di conflitto o quando la guerra ce l’abbiamo sull’uscio di casa.
All’inizio di questa tragedia, l’Arcivescovo maggiore della chiesa Greco-cattolica ucraina, Svjatoslav Ševčuk, l’ha detto chiaramente: “Noi abbiamo una sola arma: la preghiera”. Per me in questi giorni la preghiera è il solo momento di pace e serenità che provo nel vortice delle nostre giornate piene di un’attività intensa. È veramente il respiro dell’anima, che ritrova se stessa quando è in comunione con Dio. La sola vicinanza, carità, attenzione verso i profughi (come facciamo noi qui a L’viv) non è sufficiente. Se anche questa missione speciale alla quale siamo chiamati non parte da Dio e a Lui conduce, ha solo un valore filantropico. Ma il cristiano dev’essere prima di tutto un uomo di Dio per riportare l’umanità a Dio. Questa è un’equazione fondamentale e fondante: come si dice oggi, la “cifra” del nostro essere missionari di pace. Ho riletto il messaggio della Regina della Pace del 25 febbario scorso: “Cari figli! Sono con voi e preghiamo insieme. Figlioli, aiutatemi con la preghiera affinché Satana non prevalga. Il suo potere di morte, odio e paura ha visitato la Terra”. “Preghiamo insieme. Aiutatemi con la preghiera”. Non c’è altro da aggiungere, se non…pregare, ma pregare tanto.
Gianluca Valpondi