di Danilo Bruno
Da anni ormai, la settimana che precede le giornate FAI di Primavera diviene l’occasione per parlare, a reti unificate ed a tutte le ore, del nostro Patrimonio culturale. Purtroppo lo si fa sempre ad una sola voce, senza contraddittorio e con una sola narrazione, offrendo ai cittadini l’idea di un’Italia meravigliosa, “da scoprire”, “da salvare”, facendo passare il messaggio che FAI e Patrimonio culturale italiano siano quasi sinonimi.
Gli spettatori, gli ascoltatori, i lettori, però, meriterebbero un’informazione più completa da parte del servizio pubblico e non solo. Vengono taciuti dati di assoluta rilevanza, ad esempio il fatto che, a fronte di un boom turistico internazionale e italiano, a fronte di un boom dei guadagni delle Fondazioni culturali (tra le quali va annoverato anche il FAI stesso) l’occupazione nel settore non sia aumentata, ossimoro reso possibile dal sistematico utilizzo del volontariato sostitutivo al posto del personale qualificato e retribuito. Viene taciuto il fatto che, in mancanza di investimenti statali, crolli, degrado e furti stiano in questi anni aumentando, che l’apparato di tutela e di valorizzazione soffra di mancanza cronica di personale e di competenze. Situazione peggiorata con la pandemia: ma, a due anni dall’esplosione della stessa, nessuna riforma strutturale è stata intrapresa.
Insomma, se il FAI viene invitato ovunque occupandosi, giustamente, degli interessi della propria Fondazione, non altrettanto si può dire delle centinaia di migliaia di cittadini e di professionisti che lottano ogni giorno per salvare davvero il Patrimonio culturale italiano: salvataggio che, come ovvio, non può avvenire attraverso l’uso massiccio di volontariato o di una privatizzazione scriteriata.
Vi chiediamo, dunque: facciamo diventare questa settimana la settimana del Patrimonio culturale italiano, non solo del FAI. Parliamo di cosa accade, del perché accade, delle persone che vi lavorano, di cosa serve e di cosa ogni cittadino può fare per questo Paese. Parliamo del perché cedere pezzi di patrimonio pubblico a una Fondazione privata mentre il Ministero collassa con carenze di personale, non può essere una soluzione. I cittadini italiani meritano di ascoltare più voci, e di conoscere la realtà dei lavoratori del settore culturale. Biblioteche, archivi, musei chiudono uno dopo l’altro, e non saranno due giornate di festa a offerta libera a salvarli. Serve parlarne, serve un dibattito serio e aperto.