La guerra? Una banale interruzione di spot pubblicitari. Almeno la Rai eviti quelli fuori luogo.
di Paolo Farinella prete
Scrivo mentre sorge il sole del primo giorno di primavera, ma c’è poco da stare allegri. Al posto dei fiori continuano a spuntare le bombe e anche i missili ipersonici, cinque volte più veloci del suono. Secondo il Center for Global Development, 40 milioni di civili sono e saranno in stato di povertà assoluta. Il mondo torna indietro agli anni 60 del secolo scorso (62 anni fa!). Una vita! Questo è il progresso in cui navighiamo nel 2022.
Mentre in Ucraina non solo si muore di guerra, di fame e di sete, di stupri e di deportazioni, in Europa si assiste all’inutilità delle sanzioni per due motivi: lunedì 21 marzo, giorno primo di primavera, ha riaperto la Borsa di Mosca anche se solo per i titoli di Stato confederali russi (non per il mercato azionario); diminuisce la corsa ai bancomat, segno che anche la gente comune non teme più la scarsità della moneta corrente. Gli effetti delle sanzioni restano invece per chi le ha messe, perché da noi tutto aumenta, aggiungendosi all’inflazione già in atto. Per la Commissione Ue nel 2022 i prezzi aumentano del 3,5% (2021: 2,6% = + 0,9%). Il Pnrr è già un mezzo ferrovecchio e i vantaggi celebrati sono bruciati nel buco nero dell’aggressione della Ucraina da parte di Putin che annaspa per tenersi a galla dentro il suo partito, nel senso che ne è il proprietario (d’altra parte ha avuto come amico e ‘consigliori’, un maestro come Silvio Berlusconi, che inspiegabilmente tace, mentre Salvini è invisibile).
In Italia poi imperversano gli specialisti da talk show che comodamente accomodati (come lo stoccafisso), parlano di strategie, di soluzioni, di armamenti come se fossero cruciverba da riempire. A guardarli nel loro complesso si vedono due posizioni. Da un lato, gli “esperti” della stampa unificata sempre pronti ad armare l’Ucraina a tutti i costi, ma prudenzialmente non interventisti riguardo alla Nato, cui si perdona qualsiasi scempio, solo perché “occidentale”. Costoro danno l’impressione di avere a cuore l’economia del Paese, che si regge sul mercato delle armi “che sono una necessità” e non importa se gli affari li fa lo Stato e pochi privati che hanno potere di influenza lobbistica senza freno. Livorno e le armi che si cercava di inviare a Israele (triangolazione?) ne è un emblema spaventoso e chiaro.
Il governo ha votato all’unanimità l’aumento del 2% del Pil in armamenti e, secondo lo Stockkolm International Peace Reserch Institute, nel 2019 la spesa mondiale per armi è stata di 1.117 miliardi (1.117.000.000.000,00 da capogiro!), corrispondente al 2,2% del Pil globale. L’occidente sta rifornendo l’Ucraina di 15 mila missili anticarro (Sole 24ore) e altre armi.
Affermare di volere stare dalla parte dell’Ucraina e l’uso della tv come sta avvenendo in Italia e in Europa è una mistificazione cui assistiamo ogni giorno, ma nessuno ne parla, forse per pudore. Tutte le reti tv, pubbliche (si fa per dire) e private (queste sì) parlano di guerra e tutti, dentro qualsiasi programma (Tg, Talk rassegna stampa, ecc.), precisano sempre “sia chiaro che parliamo di un aggressore e di un aggredito” e subito dopo, il conduttore/trice rivolti ai presenti “esperti”: “scusate, vi devo interrompere perché vedo sul monitor il nostro inviato sul campo, lo ascoltiamo… Pochi minuti di pubblicità e torniamo subito… non andate via”. La guerra è ansiogena negli atteggiamenti dei conduttori che assumono pose e fisiognomiche da guerra: tristezza, compunzione, occhi e bocca a ‘cul di gallina’ perché le ciglia aggrottate sono più partecipative al dolore, alla morte e agli stupri… ‘degli altri’. La guerra maledetta che è l’anima di ogni trasmissione, la simpatia per l’Ucraina che è doverosa ‘moralmente’ e militarmente, è solo una banale interruzione di spot pubblicitari.
La guerra ha imposto il cambiamento di tutti i palinsesti, ma nessun palinsesto ha modificato il ritmo della pubblicità (anzi è aumentata) per cui un secondo prima ci troviamo davanti a scene di orrore e di morte che fanno ribollire il sangue e un minuto dopo la vacuità dello spot ilare e giocondo di una macchina veloce con donna a bordo e sguardo suadente che apre scenari subliminali immaginabili oppure scene di intimissimi nelle più pregiate città d’Italia, ridanciane ed esposte come beni da consumo in vetrina.
Se veramente la tv pubblica (!) e privata volessero essere credibili, dovrebbero, almeno, dedicare un canale delle decine di cui dispongono, solo alle informazioni sull’Ucraina, vittima di una aggressione e conseguenti genocidio e deportazione, senza interruzioni di pubblicità. Il dramma è sacro non commedia. Lo esigeva e lo esige la serietà e la morale. Mentre le donne sono stuprate in serie a Mariùpol e non solo, mentre i bambini sono bombardati, si sospendano almeno le donne in mostra in dubbie pubblicità e non si pubblicizzino colazioni e merende per bambini felici che giocano con i loro papà. Non si rendono conto che i bambini ucraini hanno i loro papà in guerra e non li vedono e non sono nemmeno certi di rivederli e molti di essi sono esuli in terra straniera.
Se Putin fa comizi organizzati militarmente con pubblicità godereccia, chi siamo noi per dirci diversi, se facciamo pubblicità perché al business (per pochi) non si può rinunciare? Le imprese chiudono, le famiglie sono disperate, gli Ucraini sono deportati, i bambini muoiono anche nella pancia della mamma e tv e pubblicitari devono guadagnare sulla e con la guerra? Il sadismo con gambe accavallate su divani tv di chi parla da posizioni prevenute, a seconda della mangiatoia politica in cui si nutre, o della “servitù volontaria” cui si è venduto, è l’effetto non tanto collaterale, ma diretto della Guerra di Putin invasore della Ucraina, di cui poco importa anche all’Occidente, proprio perché la sta rifornendo di armi per tentare di lavarsi la sporca coscienza di guerrafondaio “buono”.
Paolo Farinella prete