Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Studenti collegio Salesiano di Alassio e Davide Albertario sacerdote. La figura e l’opera. Incarcerato nel convento di Finalborgo


La figura e l’opera di Davide Albertario (1846-1902) non sono scivolati nell’oblio, per quanto meriterebbero una più ampia risonanza e conoscenza.

di Gian Luigi Bruzzone

Don davide Albertario

Questo sacerdote lombardo infatti, nato da solida famiglia contadina a Filighera nel Pavese, fu giornalista e direttore del quotidiano “L’Osservatore cattolico“, vissuto dal 1864 al 1907 e condusse una coraggiosa battaglia per difendere la Verità, la dottrina cattolica e i diritti della Chiesa e del Pontefice così conculcati durante il pontificato di Pio IX e di Leone XIII (ma non solo allora).

L’Osservatore nell’obbedienza del Papa si è posto a propugnare le buone ragioni della verità; col Papa e per il Papa scrisse e tiene scritto sul suo vessillo, perché il Papa è il Vicario di Cristo, perché nessuno più del Papa ama l’Italia e la vuole onorata e grande, perché rimettendosi al Papa non diveniva necessaria di dare soluzioni proprie dei problemi scottanti politico-religiosi, che rimangono sempre allo studio”.

Scrisse l’Albertario in prigione, l’anno 1898. E così scriverà alla vigilia della precoce morte dell’amico Don Ernesto Vercesi: “Io amo il giornalismo cattolico; esso è un inno quotidiano di gloria a Dio, di omaggio alla verità, di elevazioni nobilissime. Con il giornalismo cattolico si serve alla religione, alla patria, al Papa, si difendono la giustizia e l’ innocenza che spesso non altrimenti possono difendersi, si sventano le malignità dei tristi, si pongono in guardia i buoni, si istruisce, si educa, s’illumina, si compia l’apostolato cristiano in forma geniale ed efficacissima, si esercitano le facoltà letterarie nella maniera più utile”.

L’accenno all’altro fine della coraggiosa testata fa arguire quanto essa ed il suo direttore fossero graditi ai disonesti, ai mestatori, agli avversari politici. Cercarono in molti modi a tappargli la bocca e ci riuscirono nel 1898, quando un numero sempre più ampio di italiani pativa letteralmente la fame e in Milano l’eroico e valoroso generale Bava Beccaris sparava cannonate sui cittadini inermi e sui padri cappuccini di Viale Piave che offrivano un pasto a poveretti…

Don Albertario con evidentissima ingiustizia fu arrestato il 24 maggio 1898 e il 23 giugno fu condannato con altri 23 imputati, in parte giornalisti, a tre anni di detenzione e a mille lire di multa. Nella notte tra il 24 e il 25 giugno fu trasportato insieme con altri compagni di pena nella prigione di Finalborgo, sulla riviera ponentina.

In questa prigione, allogata in quello che fu il glorioso convento di Santa Caterina dei padri domenicani, fondato dai Marchesi Del Carretto, Don Davide visse un anno. Gli era concesso di ricevere e di scrivere lettere, sia pure previa censura e conforme al regolamento. Dopo la liberazione le raccolse e riuscì a pubblicarle (prima della morte precoce) in due consistenti volumi, unendole a molte prose stese in carcere, articoli giornalistici e notizie varie. Ecco il titolo dell’opera: D. Albertario, Un anno di carcere. 2557, Milano, 1900. L’opera fu lodevolmente ristampata in anastatica dal Municipio di Filighera, patria dell’autore, nelle primo centenario della morte.

Il collegio salesiano don Bosco di Alassio

Fra i vari corrispondenti, parenti, amici, estimatori, che scrissero al n° 2557 (!) si annovera un messaggio di saluto e di solidarietà degli studenti del Collegio salesiano di Alassio, con verosimiglianza fattogli pervenire per via indiretta, né la cosa stupisce non trovandosi in un pensionato!

Il prigioniero, commosso, concepì la seguente lettera, nella quale oltre a immaginare la genesi del messaggio (gita a Finalborgo, richiesta al reclusorio di salutare il prigioniero, ovviamente negata, concisi saluti vergati di fortuna, ossia a lapis, non con una penna, su un foglietto di fortuna…), elogia la bellezza della Riviera con un pizzico di poesia ed impartisce una garbata lezione morale ai giovani generosi.

Preciso che il 5 maggio cadeva di venerdì, forse la busta fu imbucata il giovedì 4, giacchè tale giorno era festivo, senza scuola ed era dedicato a qualche escursione, più o meno distante a seconda delle stagioni.

Gian Luigi Bruzzone

Reclusorio di Finalborgo, li 9 maggio 1899

Cari giovani, col timbro del cinque, ricevo, impostata a Finalborgo, un foglio staccato da un libretto di note recanti in matita: “I giovani del Collegio salesiano di Alassio inviano saluti affettuosi al sacerdote Don Davide Albertario, dolenti di non poterlo vedere. W“.

Che n’ho pensato io? Prima di tutto che il biglietto non può essere una celia perché so quanto è educata questa popolazione e con quale sentimento di cristiano interessamento rispetta i poveri carcerati. Poi, mi sono detto: certamente si tratta dei collegiali salesiani di Alassio che si sono spinti nelle loro escursioni primaverili sino a qui, per questo lembo fatato della sponda ligure, cui il mare, ma contento d’averlo ceduto alla terra, invano con le onde flagella e con gli scirocchi percorre furiosamente tempestando per le valli e per i monti. Qui, hanno circuito il reclusorio; hanno da lungi spiato il portone, cercato le finestre, domandato se fosse possibile spingere dentro alla casa lugubre lo sguardo per vedervi i condannati. Le alte muraglie cieche non hanno concesso verun esito alla pietosa impresa. I giovani esploratori scoraggiati, si sono raccolti per tornarsene al loro istituto, ma prima hanno levato un foglio dal notes, vi hanno scritto parole rispettose affettuose e me lo hanno spedito.

Ho pensato questo. Se anche mi sbaglio, cari giovani, io non vi faccio torto. Voi siete dolenti di non avermi veduto, mi inviate il saluto gentile e l’augurio pio – avete dunque buono l’animo, ben educato il cuore – vi attrae l’afflizione che pesa sul vostro fratello, chiedevate di alleggerirgliela col fargli sapere che all’afflizione partecipate. Sono sentimenti che vi onorano. Non avete tenuto temuto che la mestizia che emana dal carcere diminuisse la giocondità della vostra passeggiata tra il verde e i fiori e i profumi degli agrumi.

Ve ne ringrazio. Forse di me vi hanno parlato i vostri superiori. Moltissimi di loro mi conoscono, mi vogliono bene, cominciando da Don Rua, Francesia, Trione, Monsignor Costamagna e, a Milano, il P. Saluzzo che vi lavora con tanto zelo. Io amo in loro e vennero gli apostoli che sentono il bisogno di rinnovare nella fede la società; di resistere alle teorie del socialismo, empie in religione, depravanti in morale, in economia speculativamente assurde e praticamente ingannatrici e sovvertitrici; di avviare la gioventù studiosa e l’operaia al vero e al giusto, ai propositi seri ed alla moralità che creino savi e vigorosi caratteri, famiglie ordinate e liete, diano alla patria cittadini sui quali possa contare e non degli egoisti insaziabili di piaceri che la straziino. Evviva a voi, evviva ai vostri Superiori, evviva alle opere di Don Bosco!

Vi ricambio il saluto di tutto l’animo! Crescete buoni e robusti di mente e di volontà. Crescete per le vostre famiglie, per la patria, per la Chiesa che possiede la ragione donde abbiamo la conoscenza e la coscienza del dovere. Così avrete in Dio la felicità vostra nella luce del vero e nell’onore della virtù. Del carcerato che siete dolenti di non aver potuto vedere, ricordatevi nelle vostre preghiere. Di tutti voi dev.mo   Sac. Davide Albertario


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Gian Luigi Bruzzone

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