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Liguria e Basso Piemonte

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Tra XX e XXI secolo: Savona e il suo declino


Nei giorni scorsi è mancato l’architetto catalano Riccardo Bofill: il suo nome resterà nella storia della città di Savona come il progettista scelto da “Orsa 2000” per cambiare il volto del cuore della città e attuare quel piano di scambio tra deindustrializzazione e speculazione edilizia che ha completato una lunga fase di declino economico e perdita d’identità sul piano sociale.

di Franco Astengo

L’arch. Riccardo Bofill maestro del post moderno

Naturalmente qui non è in discussione l’altissimo livello di professionalità che Bofill ha espresso nel corso della sua lunga carriera: nel caso in questione, come in tantissimi altri, non ha rappresentato altro che l’esecutore “creativo” di disegni che venivano dal potere politico ed economico.

Ha fatto però impressione che, nel ricordo di alcuni che all’epoca quel potere rappresentavano, non si sia scorta un minimo d’analisi critica su quella stagione.

L’idea di un ‘modello di Savona’ e del suo comprensorio basato sul terziario e il turismo è largamente fallita: basta attraversare le vie del centro per rendersi conto del degrado del livello di commercio, le serrande sbarrate, l’assenza di opportunità di lavoro produttivo.

Savona ha perso molto da quelle scelte compiute attorno alla fine del XX secolo e l’inizio di quello successivo: si è persa l’occasione di una riconversione tecnologica della struttura industriale e quella di uno sviluppo diverso del porto commerciale.

Si è smarrita la capacità delle istituzioni di concorrere al quadro possibile del futuro economico: nel frattempo (anche per via di nefasti provvedimenti di legge) Savona non dispone più di banca, autorità portuale, camera di commercio accentuando così la dipendenza genovese.

Una vicenda che si può riassumere riprendendo quanto già espresso nel volume “La miccia ritrovata” edito nel 2020.

Savona in porto la torre Bofil (o Orsero)

Il gruppo dirigente che ha ricordato Bofill e che allora gestiva i palazzi in Regione e in Città rimane in forte debito con Savona nonostante il passare degli anni.

La prima responsabilità è stata quella di non essere riusciti a definire, oltre la chiusura dei principali siti industriali protrattasi per oltre un decennio fino al fallimento OMSAV, un progetto di nuovo modello di sviluppo, che pure era stato delineato in passato ad esempio con il piano dei servizi del 1985 fondato su presenze di tipo produttivo, collocate sulla frontiera in allora più avanzata dell’innovazione tecnologica.

PRIS, Piano dei Servizi, Piano Territoriale di Coordinamento tutti strumenti giudicati superati, a partire dal 1994, nell’affermazione una logica di economia da “affari privatistici”, negando la necessità di una programmazione pubblica alla quale gli enti locali dovevano essere posti in grado di offrire un contributo fondamentale.

Riassumendo allora in estrema sintesi.

Fatta salva la constatazione di limiti e contraddizioni che hanno attraversato l’intera storia dell’amministrazione della Città (intesa in senso lato e non solo restringendo l’obiettivo sul Comune) la differenza tra il periodo compreso tra il 1945 e il 1993 e quello successivo tra il 1998 e il 2011 si può raccogliere in un giudizio di diversità di concezione dell’interesse generale e nella differenza di rapporto con gli interessi costituiti delle corporazioni imprenditoriali.

Nel primo caso, tra il 1945 e il 1993 si ricercò comunque di perseguire un quadro di interesse collettivo in un città (e un comprensorio e un’area centrale devastata dal conflitto ambiente/salute) mentre nel secondo caso, quello racchiuso nella fase a cavallo dei due secoli, si è evidenziata una sostanziale subalternità a interessi di carattere particolaristico e privato in una Savona assolutamente trasformata dal punto di vista sociologico verso una dimensione di complessità (invecchiamento, immigrazione) assolutamente non affrontata dalle scelte compiute a partire da quelle da cui l’architetto Bofill trasse i suoi progetti.

Franco Astengo

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Da IVG.It articolo di Sandro Chiaramonti, direttore editoriale.

……La trasformazione della Darsena fu merito degli accordi e della capacità di lavorare insieme di pubblico (Comune col sindaco Carlo Ruggeri ed Ente Porto col presidente Rino Canavese) e privato (gli imprenditori Raffaello Orsero, Aldo Dellepiane e Paolo Campostano).

La carta vincente fu quella di affidarsi non a un qualunque pur bravo architetto, ma a una star mondiale. Non mancarono le critiche a un progetto talvolta divisivo, sfociate in esposti e carte bollate: oggi sembrano per la verità lontane, anche se – è ovvio – tutto si può fare meglio.

Ad esempio, proprio il successo del nuovo porto di Barcellona convinse Bofill a riproporlo a Savona senza grandi novità, soprattutto nella Torre, commissionata da Orsero e costruita tra il 2004 e il 2007, e nel Palacrociere. Ripropose poi il Crescent di Savona anche in piazza della Libertà a Salerno. Come dire: da un grande come Bofill ci si poteva aspettare più innovazione.

CARLO RUGGERI

Era il sindaco della città. Racconta: “Si trattava di approvare il piano di coordinamento urbanistico e abbiamo imposto la riduzione dei volumi al 75% nella zona della torre e al 50% in quella del Crescent, il tutto accompagnato da importanti oneri di urbanizzazione. Volevamo recuperare spazi per la fruizione da parte del pubblico e un progetto unitario per le due zone principali, tenendo inoltre ben presente il ruolo del Palacrociere e dell’albergo. Importante fu il ruolo della Soprintendenza, ma un passo avanti decisivo fu la scelta di Bofill. A Barcellona ci mostrò i primi disegni, mi colpirono molto le sue parole sui due grattacieli “custodi della città”, quello vecchio, il Leon Pancaldo, e appunto la nuova Torre posta proprio di fronte. Bofill mi impressiono’ anche dal punto di vista umano, ma soprattutto per la sua visione di città mediterranea, città che possono sorgere in Italia, Spagna, Grecia, certo non negli Stati Uniti. Una visione culturale, filosofica, con la piazza al centro come punto d’incontro. Facemmo un sondaggio riservato e scoprimmo che oltre il 70 per cento dei savonesi aveva voglia di innovazione, anche se il progetto fu molto contestato. A Bofill Savona piacque molto, non fu difficile lavorare insieme per spagnoli e italiani”.

RINO CANAVESE

Il ricordo di Bofill e del suo progetto emoziona ancor oggi l’ingegnerone, che pure ne ha viste tante. Sottolinea più volte la caparbietà di Orsero. Dice: “Andammo da Bofill e con Ruggeri capimmo che ci trovavamo di fronte a un sogno che avrebbe potuto cambiare la città in modo così profondo, pur mantenendo la stessa perimetrazione doganale del 1936. Non eravamo affatto sicuri di farcela ma alla fine quel sogno si è avverato. Pensate ad esempio che la stazione marittima l’anno prossimo compirà vent’anni e pure sembra nuova per come è stata ideata, costruita e mantenuta, a cominciare dalla qualità dei materiali. Bofill avrebbe forse voluto occuparsi anche della fase esecutiva, ma questo non è stato possibile perché l’Ente Porto ha ovviamente dovuto procedere a una gara d’appalto”.

WILMA PENNINO

Era assessore al Turismo e Commercio della giunta Ruggeri. I suoi ricordi: “La sensazione principale era che sentivo in giro voglia di innovazione, di trasformazione, di dire basta all’immobilismo. La città discuteva e giudicava. Con una spinta così mi sembrava tutto più facile”. Wilma Pennino completerà poi l’opera dedicandosi alla realizzazione del Grande Capodanno in Darsena.

GIANFRANCO GAIOTTI

L’ingegnere che seguì per conto dei privati la parte del Crescent ricorda Bofill come una persona aperta al dialogo “che ha creduto in Savona”. Mi stupì perché riusciva a convincere con la logica anche persone che inizialmente lo ascoltavano con pregiudizio. Aggiunge: “Era anche un grande urbanista. Volle il tunnel che oggi immette nelle aree portuali ma non solo: pensava che quella galleria dovesse proseguire sotto il Priamar per decongestionare corso Mazzini. Oggi, dopo molte vicissitudini, costruiamo il Crescent 2, ultimo tassello del suo progetto con la sua impronta architettonica, realizzato da Paolo Campostano”. Più in generale, sottolinea come siano soprattutto “le persone che arrivano da fuori, Torino, Milano ma anche dall’estero, a restare stupiti di fronte alla Darsena, che entra nel cuore della citta”.

MASSIMO ARMELLINO

Architetto dello studio Armellino e Poggio, che si occupò della fase esecutiva del progetto. Di Bofill dice: “Pur essendo tra i 15 più grandi architetti al mondo, ti ascoltava con una modestia che non era di facciata, caratteristica propria di chi è sicuro di se’. Certo, aveva una velocità di pensiero quasi innaturale, una marcia in più”.

ALESSANDRO BELLANDO

Con i soci di allora Marcello e Giorgio, ‘Lele’ Bellando ha visto nascere e crescere il progetto di Bofill attorno al suo Club Nautico di piazza d’Alaggio, che gestisce dal 1998. Oggi rivela: “Quando fu dismesso il silos delle auto della Zust Ambrosetti, ci fu proposto di rilevare gli ultimi due piani. Affidammo un progetto allo Studio Blu di Torino per aprire lassù un ristorante, un piccolo albergo, un centro termale. Era forse la prima idea di trasformazione della Darsena, anche se non abbiamo potuto realizzarlo. Il progetto di Bofill lo abbiamo visto nascere e progredire con grande soddisfazione”.

IL “BELINO ATTORCIGLIATO”

Ci sia intanto consentita l’espressione, che consideriamo ormai sdoganata. Molti dei nostri interlocutori hanno ricordato il progetto, che invece non andò a buon fine (secondo molti per fortuna) che prevedeva un grattacielo dalla vaga forma fallica dall’altra parte del fronte mare savonese, alla Madonnetta, verso Albissola. Si doveva a un’altra grande archistar, Massimiliano Fuksas, che non riuscì a far valere neppure la sua appartenenza a Rifondazione Comunista. L’imprenditore Gambardella, che gli commissionò l’opera, vinse con i decenni tutti i ricorsi (contro di lui in prima linea ci furono le “Mamme della Margonara”), ma rinunciò proprio quando avrebbe potuto far partire i lavori. “Ormai sono troppo vecchio”, disse. Ma, probabilmente, non esistevano più le condizioni commerciali per un investimento di quel tipo.

 

 


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F.Astengo

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