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Ambientalisti e eredità sociale dell’artista Manrico. Si batteva per il Parco del Finalese (abrogato da giunta Toti) e no miniere di uranio


Il messaggio dell’artista Manrico Stiffi. Considerazione degli ambientalisti finalesi su di una sua opera.

di Gabriello Castellazzi*

Manrico Stiffi si è spento nel luglio 2018 a 78 anni. Il necrologio ricordava: ne danno il triste annuncio i nipoti Ivana, Angela,
Angelo e la cognata Vittoria.
Un particolare ringraziamento agli amici di una vita:
Ferdinando, Roberto, Claudio, Ivonne, Massimo, Patrizia e gli amici tutti.

In questo inizio d’anno 2022, è interessante per gli ambientalisti finalesi ricordare il lavoro dell’artista Manrico Stiffi, purtroppo scomparso nel 2018, che nel 1972 – esattamente mezzo secolo fa –  realizzò un dipinto ancora molto attuale e di grande significato, meritevole di essere analizzato nel contesto sociale in cui venne concepito.

Il “grido muto” di Manrico rappresentò la sua capacità di trattare in modo dinamico  i mutamenti che avvenivano nella società e di  portarli all’attenzione di tutti .

L’autore si era trasferito da Torino (dove aveva frequentato l’Accademia Albertina di Belle Arti) a Finale Ligure, come dipendente dell’Azienda Piaggio, senza mai lasciare l’ambiente artistico. Strinse amicizia con Edoardo Canistrà e insieme a lui partecipò con successo a mostre collettive, oltre a quelle personali.

Questa tempera è di drammatica attualità: il nero petrolio, che in senso metaforico intacca la bellezza della natura, accompagna il grido accusatorio (forse anche autoaccusatorio) di un essere umano che sta lanciando un messaggio disperato precariamente protetto da una maschera antigas.

Come non ricordare un altro quadro che alle soglie del secolo scorso rappresentò il “grido sordo” quale manifestazione di un dolore esistenziale incontenibile.

Edward Munch, attraverso la sua opera espresse il senso di angoscia e la capacità di trasmettere sensazioni universali :  “il cielo si tinse di rosso…mi fermai sul fiordo nerazzurro…tremavo di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”.

L’uomo in primo piano rappresentava il dramma collettivo di un’intera umanità che ancora oggi ci interpella.

Analizzando il contesto sociale di mezzo secolo fa come non ricordare il libro della biologa Rachel Carson: “Primavera silenziosa”, il primo manifesto ambientalista della storia che denunciò l’inquinamento e il cattivo utilizzo delle risorse naturali.

In quel periodo partì da Finale Ligure per l’Authion la delegazione che si unì a migliaia di altri giovani europei. Attraverso “le Col du Diable tutti raggiunsero il “Monte Bego per protestare contro il governo francese determinato ad aprire miniere di uranio vicino alle sorgenti del fiume Roia: attività che avrebbe provocato la distruzione di un territorio montano vitale (oggi Parco del Mercantour) e l’inquinamento dell’intera “Val Roia”, fino a Ventimiglia.

Nel 1970 uscì la pubblicazione di “Italia Nostra – Sezione di Savona” :“Il Finalese – Contributi di studio per un Parco Naturale”. Il lavoro dimostrava la necessità di proteggere il delicato equilibrio di un territorio che sommava valori unici e incomparabili di interesse geologico, naturalistico, preistorico e storico. Il “Parco del Finalese” non venne mai realizzato, ignorando una legge della stessa Regione Liguria che nel 1995 ne decretava l’istituzione.

Legge addirittura fatta abrogare recentemente dalla Giunta Toti.

Dopo pochi mesi veniva anche fondata la “Lega Ecologica Finarese” grazie alla preziosa collaborazione dell’ex-partigiano Oscar Giuggiola (Soprintendente onorario ai Beni Archeologici e Direttore del “Civico Museo del Finale”), del geologo Guido Imperiale (studioso della “Pietra di Finale”) e di Giuseppe Vicino (che scoprì in quello stesso periodo le incisioni paleolitiche ai “Balzi Rossi”, nella Grotta del Caviglione).Forse tutte queste iniziative agirono come fermento in un periodo di transizione post-sessantottino e  fecero emergere in Manrico una nuova coscienza ambientale. L’artista seppe cogliere il dramma dei problemi emergenti e di tutti gli elementi che contribuirono ad influenzare il suo modo di vedere la realtà. Chissà come Manrico avrebbe interpretato oggi il dramma di una “transizione ecologica” che mette a dura prova l’intera società umana.

Gabriello Castellazzi

(Europa Verde – Verdi del Finalese)


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