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Relazione e Partecipazione. Passato, presente, futuro. I tumulti popolari


Relazione e Partecipazione. Passato, presente e futuro.

di Antonio Rossello

Relazione e Partecipazione sono due termini «delicati» che, seppur nelle loro teorizzazioni vengono ben distinti da determinate modalità̀ operative, si trovano accomunati all’interno dei processi quotidiani, per forza di cose, in quelle che sono, per l’appunto le normali relazioni sociali. Le illustrazioni di Igor Belansky ci aiutano ad approfondire il tema.

Quanto ho affermato nel precedente articolo «La Qualità delle Relazioni» non è assolutamente da intendersi come un’aperta condanna alle nuove opportunità di incontro derivanti dall’uso delle moderne tecnologie. È piuttosto un invito alla riflessione critica, affinché la ricerca dell’autenticità nelle relazioni tra persone, tra esseri umani, venga considerata nelle sue disparate implicazioni, tanto nella dimensione microsociologica dell’esperienza quotidiana dei piccoli gruppi sociali, quanto in quella macrosociologica, riferita a intere società o, comunque, fenomeni e processi sociali aggregati a livello di sistema, facendo della qualità dei rapporti interpersonali un vero e proprio valore di riferimento.

Sulla base di queste premesse, Igor Belansky ci propone due illustrazioni di effetto, in cui sottolinea il fluire della micro e macro-rete di relazioni che dovrebbe stabilirsi, viva e vivace, intorno a noi. In tal senso, costruirsi una rete di relazioni significa far ricorso a un insieme di connessioni, cioè a soggetti che hanno a loro volta una gamma di relazioni, e conoscenze, attraverso un processo che può assumere crescita a macchia d‘olio, cioè espandersi uniformemente in ogni direzione conservando il proprio nucleo originario, ossia noi, prima come soggetti, poi come gruppi.

Tutto ciò rappresenta l’oggetto di studio dell’analisi delle reti sociali, a volte detta anche teoria della rete sociale, una moderna metodologia di analisi delle relazioni sociali sviluppatasi a partire dai contributi dello psichiatra Jacob Levi Moreno (1889–1974), il fondatore della sociometria, scienza che tratta le relazioni interpersonali. Lo stesso Moreno è stato oggetto di un ritratto da parte di Belasky (v. link).


Risulta pertanto facile riscontrare che, immersi come siamo – in modo spesso inconsapevole – nel crogiolo di relazioni che costituisce la società, può capitare di non rendersi conto di quanto ogni singolo rapporto possa condizionare la nostra libertà, limitandola oppure dilatandone gli orizzonti, rivelando quindi spazi di autonomia prima mai immaginati.

Sul piano civile, diventano dunque questioni nevralgiche il diritto alla libertà di coscienza, il dovere dell’obiezione di coscienza, ed altre, in un crescendo per cui la gratitudine per ciò che ogni relazione offre non è mai un alibi per delegare la propria responsabilità. Tuttavia, il nostro tempo declina più di una contraddizione tra conoscenza ed azione, tra sapere ed agire. É così che nell’era di internet, del facile accesso alle informazioni, in cui la comunità diviene globale e il mondo è a portata di mouse, non viene maggiormente enfatizzato il senso di responsabilità personale. Si evidenzia pertanto quella assenza di resistenza, o una presenza di sacche di resistenza disperse e incostanti, che sembra testimoniare una debole «risposta al male», al disagio sociale in tutte le sue dimensioni, che l’individuo si ritrova a vivere, a cui assiste il più delle volte inerte.

Già citato nel precedente articolo, Zygmunt Bauman, in «Modernità liquida» (1999) e nelle sue opere successive, descrive compiutamente queste tendenze, attraverso una concezione sociologica che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. Nel contesto moderno, lo stare a guardare può discolpare l’individuo da una colpa giuridica, quando non ne sia direttamente responsabile, vista la competenza da parte di amministrazioni pubbliche (i servizi sociali), del servizio sanitario nazionale, della scuola, di altri enti e organizzazioni no profit attive nel sociale, ma non lo assolve dall’urgenza di un imperativo morale.

Ancora Bauman, in «La società sotto assedio» (2007), sostiene che lo stare a guardare è ciò di cui si avvalgono i diretti responsabili per compiere le loro nefandezze, in quanto l’elemento che accomuna la commissione di una colpa, e il tacere davanti ad una colpa, è la negazione. Vi ravvede la perpetuazione di un meccanismo per il quale informazioni inquietanti, troppo minacciose per essere assorbite da persone, organizzazioni, governi, vengono in qualche modo «represse, ripudiate, accantonate o reinterpretate».

Sul fronte praticamente opposto, riscontriamo fenomeni quali movimenti sociali, ribellioni, riots, rivoluzioni, contrasti etnici, le cui azioni, nelle forme che possono assumere, nei fattori che ne facilitano lo sviluppo e gli esiti, vengono analizzati da varie teorie del conflitto, come da letteratura più recente, in cui casi empirici integrano le prospettive classiche, ad esempio le ipotesi di Katia Pilati, professore associato presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, in «Movimenti sociali e azioni di protesta» (2019). Una ragione è certa: se la gente scende in piazza un motivo c’è. E va capito, se vogliamo uscire dalle crisi, come pure se non vogliamo che venga agitato ogni volta lo spettro di derive liberticide.

L’azione collettiva sfocia in protesta, ovvero partecipazione politica non convenzionale, quando essa si esperisce contro uno svantaggio o un pericolo collettivo, che può essere situazionale o derivare da un qualche divario tra gruppi.

C’è chi vi intravede oggi una sfida quotidiana che coinvolge tutti, che richiede un impegno in prima persona, per non rischiare di perdere le libertà garantite dallo Stato democratico. In effetti, i precedenti non mancano. Storicamente, il ventesimo secolo non è stato solo un secolo di forte crescita scientifica e industriale, ma ha pure segnato la nascita e l’istituzione di regimi autoritari e di stato totalitari. Un fatto che va attentamente considerato è che le grandi svolte reazionarie sono state quasi sempre state precedute da profonde destabilizzazioni dell’ordine sociale.

L’illustrazione delle fasi più controverse della storia nazionale è uno degli aspetti che riscuotono principale interesse da parte di Igor Belansky, il quale per esempio ha realizzato una tavola inerente i tumulti popolari per il pane del 1898 a Milano. Un episodio tristemente noto per la feroce repressione delle agitazioni da parte generale Fiorenzo Bava Beccaris, il quale, su ordine del governo del marchese Di Rudini, ricorse alle cannonate per riportare una calma che sapeva di morte e di sangue innocente versato. Lo sdegno provocato dalla strage pose le premesse di un radicale mutamento del clima politico: l’era dei ministeri di stampo conservatore, se non reazionario, da Crispi a Pelloux, stava per cedere il passo al riformismo giolittiano.

Per un buon funzionamento della Società, ogni tentativo dovrebbe essere pertanto fatto al fine di riportare all’armonia i due estremi prima descritti.

Nello sviluppo delle corrette competenze sociali e civiche, sono dunque termini chiave la relazione e la partecipazione, di cui si occupano, nei diversi fattori che ne sono implicati, diverse discipline, dalla sociologia, alle scienze politiche e alla psicologia.

Esistono veri e propri studi dei processi partecipativi, soprattutto finalizzati alla messa a punto di progetti di ricerca-azione ad orientamento appunto partecipato e nell’elaborazione dei progetti di sviluppo di comunità, istituzionali e di azione sociale.

Secondo Maurizio Cotta, professore di Scienze Politiche presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena, ne «Il concetto di partecipazione politica: linee di un inquadramento teorico», -Rivista italiana di scienza politica -, (1979), «partecipare» significa «essere parte» e «prendere parte: attivarsi in una collettività cui si appartiene.

Non distante inoltre si situa, la psichiatra, politica e accademica Paola Binetti, nel suo «In principio era la relazione. Il rapporto con sé stessi e con gli altri nell’esperienza politica» (2019), considera la relazione al tempo stesso forma e sostanza, anche in politica, dove tutto inizia e termina con una relazione. Una buona politica non prevede atteggiamenti diffidenti e sospettosi. I cinici e i pessimisti intravedono ovunque rivali o intralci alla propria realizzazione personale, relegando le proprie relazioni alla convenienza, in un’ottica di opportunismo e di comodo, non ricercano le buone relazioni necessarie per fare buona politica.

Andando oltre la dialettica della contrapposizione, occorrerebbe riportare il focus del dibattito politico sul piano della relazione. Lo stile del dibattito, il rispetto per gli altri, la capacità di ascolto reciproco, l’attenzione alle argomentazioni portate dagli avversari sono vere e proprie abilità da acquisire e da sviluppare. La partecipazione, insomma, non può̀ darsi senza una dimensione sociale costituita da una rete di relazioni. Pertanto, è complesso parlare di tre elementi – relazione, partecipazione, impegno sociale – come compartimenti stagni anche perché́, come abbiamo potuto osservare, tra di essi, le connessioni sono molteplici.

D’altra parte, anche per l’Agenda 2030, che rappresenta il nuovo quadro di riferimento globale per l’impegno nazionale e internazionale teso a trovare soluzioni comuni alle grandi sfide del pianeta, quali l’estrema povertà, i cambiamenti climatici, il degrado dell’ambiente e le crisi sanitarie, tutte le organizzazioni, in particolare le imprese, sono sempre più “case di vetro” esposte al giudizio degli stakeholder che vogliono conoscere il loro impegno sociale, etico ed ambientale.

Trasparenza e responsabilità diventano quindi fondamentali al pari di una governance ispirata alla prevenzione dei reati e della corruzione, dovendo pianificare e sviluppare un modello di gestione e di controllo che tenga in considerazione il concetto di «sostenibilità sociale».

Viene auspicato pertanto un nuovo sistema sociale capace di tutelare i diritti e la dignità delle persone, migliorare le relazioni (umane promozionali, interpersonali e sociali proattive e solidali), favorire l’autodeterminazione delle persone e delle comunità. Per chi volesse approfondire ulteriormente queste tematiche, non resta che seguire gli sviluppi successive che, sempre con il supporto grafico delle illustrazioni di Igor Belansky, prossimamente saranno pubblicati.

Antonio Rossello


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A. Rossello

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