Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Intervista/ Franco Bampi 50 anni in cattedra. Da Meccanica Razionale a Fisica Matematica. Cultore e primo difensore della lingua ligure. La Liguria? Ritrovi la sua vocazione senza rivalità! Può aspirare a sede di grandi aziende


Il Prof. Franco Bampi è docente di Meccanica razionale all’Università di Genova, presidente del sodalizio “A Compagna OdV”, autore di utilissimi ed interessanti manuali linguistici (menziono quelli sui modi di dire genovesi, sul dizionario italiano-genovese, sulle 76 regole per imparare a pronunciare in modo corretto il genovese, sulle barzellette in vernacolo), promotore indefesso della lingua ligure.

di Gian Luigi Bruzzone

Vuoi parlare della tua famiglia?

Il prof. Franco Bampi figlio di operaio metalmeccanico

La mia era una famiglia operaia monoreddito. Mio padre, operaio metalmeccanico, portava uno stipendio decurtato dai numerosissimi scioperi che la categoria faceva. Anche per questo, soldi in casa ne circolavano pochi. Io ho quasi sempre avuto tutto quello che ho desiderato: in verità non desideravo molto e mi accontentavo di poco.  Mia madre era sempre con me, perché casalinga; si giocava di fuori, per la strada senza pericolo e, poiché i miei coetanei erano parecchi, il divertimento era assicurato. Non sono mai andato a trascorrere le vacanze estive fuori di Genova perché non si poteva. Forse da qui nasce la mia riluttanza a viaggiare e a stare lontano dalla mia città. Per fare un esempio, ho imparato a leggere gli orari dei treni quando ero già laureato…

Con il matrimonio, ho formato la nuova famiglia e con essa, in particolare con lo sprone della mia futura moglie, mi sono laureato, ho intrapreso la mia carriera universitaria raggiungendo lo scalino più alto nella gerarchia di professore universitario: l’ordinariato.

Due figli hanno allietato la nostra vita e poiché lo stipendio e l’accontentarsi, hanno permesso a mia moglie di non lavorare fuori, ma di dedicarsi alla famiglia (un impegno piuttosto gravoso, ma profuso con amore), in casa c’era sempre qualcuno cui chiedere aiuto.

E del tuo corso di studi?

Il prof. Bampi: Il mio maestro disse a mamma: Gli faccia studiare fisica

Terminata la quinta elementare il maestro suggerì a mia madre: “Gli faccia studiare fisica”. La fisica fu per me una passione prepotente; non so perché si sia sviluppata in me, non certo per tradizione familiare. All’Università ho scelto fisica, un mio amico ed io siamo stati i primi due del nostro corso a laurearsi; le nostre strade poi si sono divise ed io ho cominciato le procedure per inserirmi nell’Università.

Se non ti dispiace, vuoi un poco ragguagliarci sulla tua carriera universitaria?

Come ho appena accennato, la prima cosa da laureato fu quella di concorrere per una “borsa del CNR” (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Arrivai 317-esimo su 250, ma ottenni comunque la borsa per via della rinuncia di quelli che mi precedevano nella graduatoria. Cominciai a prendere i primi soldi: 150.000 lire al mese, meno della metà di un operaio. Il primo salto di carriera lo feci diventando “assegnista” (posizione oggi inesistente): passai da 150.000 lire a 150.000 lire lorde (!) vale a dire 137.000 lire nette. Questo fu il mio primo balzo di carriera. Dopo però le cose andarono in discesa: divenni professore associato e quindi professore ordinario: il massimo della carriera, anche se in genovese suona male: t’ê ’n òrdenâio in italiano vale: sei scadente sic! Ma lo stipendio non fu più un problema.

La nomina a professore ordinario comportò il fatto che dovetti prendere servizio a Napoli, la più comoda delle sedi scomode come mi disse qualche collega. Stetti a Napoli tre anni e sette mesi, quindi riuscii a trasferirmi a Genova. Per sempre! Eh già, la legge dice che il professore universitario è inamovibile e non presta giuramento (a garanzia dell’indipendenza del sapere da ogni pressione politica): ero dunque certo che da Genova non mi sarei mai più mosso. E così fu fino ad oggi e fino al raggiungimento della mia collocazione a riposo avvenuta il I° novembre 2021.

Quali insegnamenti hanno impresso un’orma nella tua formazione?

Il prof. Bampi: Alcuni professori mi insegnarono anche quell’umanità che ho sempre cercato di imitare

Beh, nella mia formazione scientifica vi furono alcuni professori che mi insegnarono non solo la loro materia, ma mi mostrarono anche quell’umanità che mi sono sempre sforzato di imitare. Però, di fatto, nella ricerca fui assolutamente autonomo anche perché, per motivi locali, a Genova non si era formata una scuola ossia un coordinamento scientifico condiviso tra i vari professori della mia disciplina.

Due amici tuttavia chiamo miei maestri anche ora che non ci sono più, nonostante, come appena precisato, io fui assolutamente autonomo nella mia attività. Li chiamo maestri perché quando ritornai a Genova, inamovibile e all’apice della mia carriera scoprii da loro che avevo moltissime cose da imparare; con umiltà seguii i loro insegnamenti e cercai di imitarli specialmente nella loro umanità e nella loro variegata competenza. Tramite loro apprezzai cose che non avevo mai considerato e che ora fanno parte del mio essere. Sì, credo proprio che loro due abbiamo impresso un segno rilevante nella mia formazione.

Quanti mutamenti negli allievi durante i tuoi anni di insegnamento?

Ho insegnato per cinquant’anni presso la Facoltà di Ingegneria una disciplina che, prima della devastazione dovuta a improprie scelte del legislatore, si chiamava “Meccanica Razionale”. Poi l’Università è entrata nel caos e la cosiddetta riforma del 3+2 ha di fatto disarticolato i vari corsi che sono mutati e hanno anche cambiato i loro nomi storici come se cambiare nome fosse uno svecchiamento. Da allora il mio corso si è dapprima chiamato “Metodi Matematici e Statistici”. L’ho presentato agli studenti così: “di questo corso ne ignoro il nome, ma soprattutto ne ignoro i contenuti!” Finalmente l’ultimo nome è quello attuale: “Fisica Matematica”.

Due cose sono rimaste inalterate: il fatto che il corso è situato al secondo anno e la composizione media degli studenti, più o meno centocinquanta all’anno, che ogni anno hanno vent’anni: io ho sempre insegnato a ventenni. Ed ogni anno erano mediamente sempre gli stessi: c’è quello bravo che va avanti indipendentemente da tutto; ci sono i buoni; ci sono uno o due studenti che fanno mille domande; e quelli per i quali ti domandi come mai abbiano scelto ingegneria.

Di che cosa ha maggiormente bisogno la Liguria, oggi?

Il prof.Bampi: La Liguria deve prima di tutto trovare una sua unità culturale e bandire le rivalità, penso a Savona, alle rimostranze dei sanremaschi

A mio avviso la Liguria deve prima di tutto trovare serenamente una sua unità culturale nel senso più ampio, consegnando alla storia e agli storici le vicende controverse che ne hanno minato l’unità; penso, ad esempio, alla rivalità con Savona e alle rimostranze dei sanremaschi. Trovata una cordiale unità, la Liguria può procedere ad offrire sullo scenario internazionale un ambiente unico e stupendo dove sarebbe possibile ospitare molti vertici di importanti aziende oggi collocati in luoghi ambientalmente poco attraenti. Ma bisogna offrire scuole di qualità, case di alto prestigio, traffico automobilistico reso snello e via dicendo. Non va neppure trascurata la parte ludica sia per i giovani, sia per i cinquantenni e gli anziani. I giovani si lamentano spesso che, oltre a non trovare lavoro, non trovano neppure occasioni di divertimento. Come mai molti laureati non trovano impiego qui da noi e fanno carriere brillanti all’estero? Io non ho le competenze per proporre azioni effettive ed efficaci, ma se, partendo dalla sua gloriosa storia, la Liguria non troverà una sua vocazione, nessun rilancio sarà possibile.

Gli aspetti più simpatici della Liguria e dei Liguri per te sono …

La Liguria, come tutti i posti, è ricca di leggende, di fantasmi, di luoghi impensabili (chi non si stupisce vedendo il castello della pietra a Vobbia?), di storie minute nate tra il popolo, di sane rivalità tra luoghi confinanti (le ratelle di quartiere), ecc. Occasioni queste per organizzare incontri che parlino dell’esoterico, del misterioso, di morti eccellenti avvenute nei caruggi, come si fa, ad esempio, nell’iniziativa del Ghost Tour.

Ma per me l’aspetto più simpatico del Liguri e il loro desiderio di mugugnare su tutto. Si racconta che i genovesi rinunziassero a parte della paga pur di poter continuare a mugugnare! Ma il mugugno genovese è bonario, irriverente, ma mai cattivo e stizzoso. Non scordiamoci che il mugugno nasce da quel desiderio, tutto ligure, di essere sempre sottotono, non vantarsi in particolare di ciò che si possiede: maniman, no se sa mai… È un mugugno fine a se stesso, non vuol proporre cambiamenti o suggerire azioni: è il modo con cui un popolo, quello ligure, per sua natura scontroso e riservato, fa dell’ironia su se stesso.

Sei Presidente della benemerita associazione “A Compagna”: ce la presenti? (a cominciare dal nome).

L’associazione A Compagna nasce in un modo del tutto singolare. Il 21 gennaio del 1923 il giornale “Il Successo”, molto famoso e molto letto all’epoca, decise di lanciare l’adesione alla “Societæ di Zeneixi de Zena”. Dopo una settimana le adesioni erano a centinaia; e già qualcuno aveva proposto di chiamare questo sodalizio con il nome “Compagna”. Dopo qualche mese le adesioni erano migliaia (c’è chi dice oltre tremila). Forte di questo travolgente e massiccio consenso la “Compagna” si è data uno statuto e ha cominciato ad operare secondo le direttive dello statuto stesso.

Il nome, voluto tra gli altri da Amedeo Pescio, noto giornalista de Il Secolo XIX, è tratto direttamente dagli Annali del Caffaro che, sotto l’anno 1130, scrive: “E allora non erano in Genova che sette Compagne”. Quindi, sotto l’anno 1134, sempre il Caffaro scrive: “E fu l’anno in cui nella città di Genova le Compagne da sette salirono a otto”. In sintesi le Compagne erano dei sodalizi a natura territoriale ed avevano contemporaneamente funzioni amministrative, militari e giudiziarie. Da notare, infine che già dal 1097 le Compagne allora esistenti erano riunite nella “Compagna Communis” che è il termine usato per denotare il comune di Genova nell’epoca medievale.

Gli scopi della Compagna sono sintetizzati nel frontespizio dell’opera di Steva De Franchi (1714-1785) “Ro Chittarrin” che è dedicata “a ri veri e boin Zeneixi amanti dra Patria, dra Libertæ e dra sò lengua naturale”. In modo più esteso La Compagna è l’Associazione dei Genovesi amanti di Genova e della propria terra, orgogliosi delle antiche glorie, delle bellezze, delle tradizioni, della lingua e dei costumi della sua gente. Credo che questa dichiarazione espliciti chiaramente gli scopi della Compagna.

Quali sono i precipui fini del sodalizio per il nostro presente storico?

Direi che gli obiettivi che la Compagna si pose circa cent’anni fa, continuano ad essere d’attualità anche oggi, anzi probabilmente si sono aggravati. Per questo occorre difendere le nostre radici storico culturali e linguistiche che potremmo quantificare in mille anni di attività svolta spessissimo con Genova protagonista. A questo proposito mi piace citare la frase che Amedeo Pescio scrive a conclusione della prefazione del suo libro del 1912 “I nomi delle strade di Genova”:

Ripeta chi vuole che i popoli felici non hanno storia; Genova è superba del secolare travaglio, della passion viva che arse le vene della sua gente insonne; Genova ama la sua storia come la sua vita; il suo passato come il suo avvenire, e sdegna la felicità degli «sciagurati che mai fur vivi». 

Scusa, ma tu sei ritenuto fra i massimi esperti della lingua ligure (adopero il termine lingua, poiché essa è scaturita dal sermo vulgaris latino, non risulta di origine secondaria, ossia sorta da un altro ‘dialetto’). Come ti è nata la passione per il genovese?

Il prof. Bampi: Quando da Napoli riuscii a ritornare a Genova, le prime cose che feci furono quella di comprarmi libri di storia di Genova

Premetto che ai figli del dopoguerra (e quindi a me che sono del 1951) i grandi parlavano in italiano. Tra di loro parlavano in genovese, ma ai bambini no, altrimenti sarebbero andati male a scuola. Una grande fesseria (forse messa in giro da maestre gabibbe, dice qualcuno) cui i nostri genitori hanno abboccato senza pensare che il salto di una generazione cui non veniva trasmesso il genovese sarebbe stato un durissimo colpo per il mantenimento della parlata. Ma così andò.

Io sono nato in una società dove tutti o quasi parlavano in genovese ed ho anche conosciuto persone che non capivano l’italiano. Ma a noi bambini parlavano in italiano. Però non ho mai avuto difficoltà a capire il genovese e riuscivo un po’ anche a parlarlo. Tuttavia, fino al mio trasferimento all’Università di Napoli, io non avevo alcun interesse a parlare in genovese. Ma a Napoli – e in generale nel meridione d’Italia – scoprii che quasi tutti i professori tra di loro parlavano in napoletano, cosa che a Genova non avveniva con il genovese. Perché, mi chiesi. E mi chiesi anche cosa avrei perso se non fossi riuscito a ritornare a insegnare all’Università di Genova.

Per mia fortuna riuscii a ritornare a Genova. Le prime cose che feci furono quella di comprarmi libri di storia di Genova, cominciare a parlare in genovese e… iscrivermi alla «Compagna»! Da professore affrontai il problema con le giuste tecniche di apprendimento (noi professori universitari siamo “macchine da studio”) e decisi di imparare in maniera attiva il genovese e la sua grammatica, esattamente come conoscevo l’italiano e la sua grammatica. Scoprii quindi la bellezza del lessico genovese, ma soprattutto mi resi conto delle peculiarità sintattiche del genovese specie nella sua difformità dalla sintassi italiana. Confesso che ancora oggi, in assenza di una grammatica che non sia la versione genovese della grammatica italiana, scopro diversità tra il genovese e l’italiano e penso che nei secoli passati la persona più umile e di bassa condizione parlava un genovese perfetto perché ricevuto in modo perfetto come lingua madre.

Quali le funzioni del ‘genovese’ nel mondo odierno?

Una lingua ha una sola funzione principale: essere lingua di comunicazione. La comunicazione poi può essere su più livelli: da quello colloquiale per parlare delle cose di tutti i giorni a livelli più sofisticati dei lessici speciali come il linguaggio matematico o quello filosofico, medico, ecc. La storia ci ha consegnato un genovese colloquiale e un lessico relativo ai mestieri più popolari: contadino, falegname, fabbro, pescatore, ecc.

Segnalo ancora che il genovese e il ligure in generale sono lingue polinomiche ossia costituiscono un insieme di varietà linguistiche che presentano alcune differenze tipologiche, ma considerate dai suoi parlanti come dotate di una forte unitarietà. Detto altrimenti in Liguria, specie sulla costa, parliamo varietà di ligure differenti, ma tutti comprendiamo le varietà parlate dagli altri.

Pensiamo che nel 1923 la Compagna si proponeva di difendere la lingua genovese che allora parlavano quasi tutti. Oggi la lingua genovese è parlata, ma non spesso, quasi esclusivamente dagli anziani. Oggi quindi non va solo difesa, ma va insegnata per farla tornare ad essere lingua di comunicazione. E qui sorgono i due grossi problemi: salvare i lessici speciali e le varietà lessicali. Circa i lessici speciali va osservato che il genovese è ricco di parole dei mestieri, ma di mestieri scomparsi o che stanno scomparendo, mentre tutti i nuovi mestieri hanno parole nuove, spesso in inglese e quindi difficili da genovesizzare. Le varietà lessicali potranno essere conservate se il numero di parlanti è sufficientemente alto, se no sono destinate a scomparire.

Anche su questo settore la Compagna è attiva e propone varie scuole di genovese e di storia di Genova.

Nel ruolo di membro della Consulta Ligure (riunione di parecchi sodalizi e circoli della Liguria) hai il polso della situazione, dalla Spezia a Ventimiglia ed oltre. Se dovessi presentare lo stato della cultura ligure…

Il prof. Bampi: la Consulta Ligure riunisce una cinquantina di associazioni tra cui la Compagna di genova e A Campassa di Savona

La Consulta Ligure (il cui nome completo è “Consulta Ligure delle Associazioni per la cultura, le arti, le tradizioni e la difesa dell’ambiente”) riunisce una cinquantina di associazioni tipo la Compagna di Genova o A Campanassa di Savona sparpagliate sul territorio ligure con una prevalenza nella Liguria di Ponente. Tutte queste associazioni si danno da fare attivamente per realizzare il loro scopo sociale che, in sintesi, è quello di salvaguardare la cultura ligure attraverso la salvaguardia della cultura locale. Ad esse appartengono i cultori delle tradizioni locali, gli storici, gli esperti delle varie parlate; una fonte inesauribile di informazioni, curiosità e cultura.

Il problema di tutte queste associazioni (ma non solo loro: penso alle bande musicali, a chi propone balli tradizionali, ai canterini di trallalero, ai campanari, ma anche alle “Croci” per l’assistenza ai malati, ecc.) è il ricambio generazionale. Solitamente le persone attive in queste associazioni sono ultrasessantenni se non ultrasettantenni; pare proprio che ai giovani (e per giovani io penso anche ai cinquantenni) tutto questo settore di cultura tradizionale e che richiede un impegno sistematico non sia di alcun interesse. So di sicuro che tutte le associazioni si danno da fare per cooptare dei giovani, ma, lo dico seriamente, è piuttosto difficile trovare giovani disposti ad un impegno di volontariato su questi temi.

Personaggi ed incontri memorabili…

Gli incontri che mi sono piaciuti di più sono stati quelli con i personaggi di cui io ero un fan. Il personaggio più noto col quale ho scambiato poche battute fu Franco Battiato che incontrai in macchina davanti alla Fiera del Mare in occasione di un suo concerto a Genova. Ma i due personaggi che incontrai e di cui ho un caro ricordo sono due cantanti genovesi. Il primo è Gino Villa che mi fece entusiasmare da ragazzino con il suo celeberrimo “Trenin da Cazella”. L’altro è il grande Piero Parodi che incontrai in tantissime occasioni e che continuo ad ammirare per il suo costante impegno e disponibilità per la difesa della lingua genovese.

Un progetto da tempo coltivato.

Io di solito sono abbastanza attivo: se una cosa, un progetto mi interessa, mi do da fare per realizzarlo. Di fatto, non ho progetti “antichi” da realizzare o da completare. Ma ne ho uno nuovo che riguarda la lingua genovese. Come ormai tutti sappiamo Google sta fornendo importanti sussidi per la gestione delle lingue: correttori ortografici, ma soprattutto traduttori che funzionano sia per le singole parole, sia per un’intera frase dove, va notato, sorgono problemi di sintassi che Google gestisce con efficienza e appropriatezza. Forse anche per merito di Google sta sorgendo una nuova disciplina chiamata linguistica computazionale che «si concentra sullo sviluppo di formalismi descrittivi del funzionamento di una lingua naturale, che siano tali da poter essere trasformati in programmi eseguibili da computer» (da Wikipedia).

Se il genovese avrà un futuro e quindi se i giovani si avvicineranno alla riscoperta e all’uso del genovese sarà perché avremo fornito loro dei sussidi informatici per la gestione di una lingua a loro poco conosciuta: il genovese. La sfida è complessa, ma forse questa è l’ultima strada che ci resta per salvare la nostra bella lingua genovese.

Che cos’è la felicità?

Leggo sul vocabolario Sabatini Coletti la seguente definizione: «Felicità: condizione di letizia, di gioia, di soddisfazione». Concordo con questa definizione. Aggiungo che io sono quasi sempre felice e contento di ciò che ho.

(Mi fa piacere che tu abbia menzionato Francesco Sabatini, già Presidente dell’Accademia della crusca, mio insegnante per l’appunto di lingua). Oggi…

Come mi capita quotidianamente, oggi parlo in genovese con qualcuno, correggo la grafia di qualche scritto, suggerisco qualche frase in buon genovese.

Domani…

Domani continuerò a parlare in genovese con qualcuno, a correggere la grafia di qualche scritto, a suggerire qualche frase in buon genovese.

Grazie, Caro Franco, per esserti lasciato intervistare. Auguro a Te ed alla Tua gentile Consorte ed ai figli vostri ore sempre serene. Viva noi!

Gian Luigi Bruzzone


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