Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Storie di balconi e di Gigino Di Maio


Era la notte fra il 15 e il 16 luglio 1647 e il pescivendolo Tommaso Aniello – che aveva guidato la rivolta popolare dei “lazzari”  napoletani e della cui salute mentale si cominciava a dubitare tanto che in giro si diceva “Masaniello è asciuto pazzo” – si affacciò dal balcone della sua abitazione di vico Rotto, scavato in volto, gli occhi spiritati, un crocifisso in mano, e cominciò ad arringare la folla. Chiamandola “popolo mio” le ricordò com’era ridotta per “le tante gabelle ed estorsioni, e per le tante tiranni che aveva dovuto subire”.

Il vice premier Di Maio esulta dal balcone di Palazzo Chigi

Non c’è, naturalmente, alcuna analogia tra il discorso improvvisato di Masaniello e l’esultante apparizione di Gigino se non appunto la presenza del balcone, l’autocelebrazione e il rapporto diretto con la folla. È l’inizio della “comunicazione” politica basata sul rapporto diretto con la folla; a dare al balcone una consistenza simbolica vera e propria, a farne cioè uno strumento di reale comunicazione politica, fu, secoli dopo, il poeta “immaginifico”: Gabriele D’Annunzio. Durante i mesi esaltanti dell’avventura fiumana, il Vate utilizzò il “discorso dal balcone”, peraltro sperimentato già durante la campagna per l’intervento nella Grande Guerra, e lo trasformò in un vero e proprio rituale, quasi un dialogo con la folla adorante: un dialogo fatto di domande retoriche e di risposte altrettanto retoriche. D’Annunzio divenne così il “gran sacerdote” di una “religione secolare” che aveva i suoi riti e i suoi simboli, come il “pugnale votivo” e la fiamma ardente, e della quale il “discorso dal balcone” era un elemento essenziale. Nasceva così la politica di massa fondata su un nuovo rapporto fra il capo e le folle. Vennero i regimi autoritari e/o totalitari. E il balcone diventò protagonista.

BALCONE (fr. balcon; sp. balcón; ted. Balkon; ingl. balcony). – Termine architettonico che indica quella specie di finestra, che è aperta sino al pavimento, e munita di parapetto a ringhiera, o traforato, o a balaustrata.  I balconi  (specialmente quelli sporgenti dal piano della facciata), hanno funzione decorativa, e, anche nei paesi di clima temperato, utilità pratica. Il tipo più semplice di balcone è quello senza sporgenza, molto comune nelle modeste case di abitazione dal periodo barocco in poi. Talvolta, pur essendovi sporgenza, questa è però poco sensibile, e tale da nascondere o graduare il distacco dal corpo dell’edificio. Per esempio, nell’architettura veneta, fin dal suo sorgere, è costante il tipo della casa e del palazzo con gran numero di balconi che si appoggiano su cornici o mensolette, ma che in genere non sporgono di molto. Su cornici a uno o più ricorsi di mensolette con poco risalto si sostengono alcuni balconi medievali, denominati anche veroni [sec. XIV] [termine verone secondo Giacomo Devoto deriva da vera, “sponda del pozzo”] ovvero terrazzino sia scoperto sia coperto in cui termina la scala esterna delle case rurali. In genere è dotato di parapetto o ringhiera [In Germania, specie nella zona baltica, il Beischlag è una sorta di verone a pianterreno, al livello della strada o riazlato di pochi gradini. In genere è cinto da parapetto]; specialissimo è il profferlio viterbese, specie di balcone con scala esterna, quale si vede anche nel palazzo del Capitano del Popolo ad Orvieto (sec. XIII). Nel Rinascimento, invece, si usò molto spesso appoggiare i balconi o sulla zona basamentale più sporgente dal piano della facciata (palazzo Pandolfini a Firenze, di Raffaello), o sopra una cornice di marcapiano come nel caso dei balconi che corrono lungo la facciata di Palazzo Pitti. Nel barocco la cornice di sostegno viene talvolta limitata al solo balcone, oppure accompagnata da cartigli o mascheroni in modo da dare a tutto l’insieme una linea movimentata e spesso sinuosa.

Ancora più varî sono i modi con i quali vengono sostenuti i balconi provvisti di un certo aggetto. Balconi col piano sostenuto da travi in legno sporgenti, con o senza saettoni, erano usati, generalmente in case modeste, sia nel Medioevo; come può vedersi dai molti che son riprodotti a sfondo di composizioni pittoriche. Con l’ardimento costruttivo e l’eleganza del sostegno, sono pure i balconi che poggiano su vòlte (balcone nel cortile di S. Barbara in Castelnuovo a Napoli, sorretto da una vòlta a forma di pieduccio poligonale). Talvolta invece il piano del balcone poggia su di una serie di vòlte a botte che hanno le generatrici perpendicolari alla facciata e che si scaricano su mensole incastrate nel muro. Tale tipo, non ignoto ai Romani (v. meniano), si trova, per esempio, nel balcone della casa Balsamo a Brindisi. I balconi possono poggiare anche su colonne, con l’intermezzo di più o meno complete trabeazioni, soprattutto quando essi siano collocati sopra le porte d’ingresso. Se ne hanno esempi stupendi in molti palazzi di Roma: di quello bramantesco nel cortile di San Damaso in Vaticano, a quello del palazzo Sciarra e a quelli del palazzo di Montecitorio (Bernini) e del palazzo Salviati al Corso (C. Rainaldi), i quali ultimi si estendono su quattro colonne accrescendo la solennità del motivo centrale della composizione, simile a un arco trionfale a tre fornici. Notevole, nel quattrocentesco palazzo Prosperi a Ferrara, il balcone sorretto da putti che riposano sulla trabeazione delle colonne, inquadranti la porta. Talvolta alle colonne sono sostituite cariatidi come nel palazzo Davia-Bargellini in Bologna (metà del secolo XVIII: v. Tav. CXCIII) e nel palazzo Litta in Milano (Ricchini, 1648).

Oltre che per la varietà dei sostegni, i balconi possono differire per il genere del parapetto, che può essere pieno, a traforo, a transenna, a balaustrata, a ringhiera, in pietra, in marmo, in muratura, in legno e in ferro. Dai parapetti in muratura intonacata, quali si trovano in balconi di modeste case cittadine e rustiche del Medioevo e in alcune case moderne, si passa a quelli in marmo o altra pietra dei balconi di palazzi signorili. Essi allora possono essere lisci (palazzo Massimo a Roma), riquadrati con formelle (palazzo Bocchi a Bologna), oppure alleggeriti, sia da decorazioni scolpite (Loggia degli Osii in Milano – gotica -, palazzi del Capitano del Popolo a Perugia e della Cancelleria a Roma), sia con disegni prodotti dall’alternanza di materiali di vario colore, come nell’esempio già citato della casa Migliaccio in Siracusa. Di parapetti traforati, comuni specialmente in architetture straniere e in quella dell’Italia settentrionale, basterà citare quelli a lobi del balcone della Loggia dei Mercanti a Bologna (opera di Antonio di Vincenzo), che è interessante anche per il baldacchino che lo sovrasta, quelli dei balconi del palazzo Contarini-Fasan a Venezia (sec. XV), e, a Brescia, quelli dei balconi del palazzo municipale (v. anche balaustrata).

Numerosi sono i tipi di balconi con ringhiere (palazzo Bevilacqua a Bologna, palazzo Giugni di B. Ammannati a Firenze), alcuni dei quali, di epoca barocca, bellissimi, si trovano a Cremona, a Città di Castello e a Roma. Nei balconi modernissimi, alla predominanza degli elementi verticali si sostituisce quella delle linee orizzontali.

Un esempio interessante di balcone in ferro del sec. XVII si trova a Milano in via Durini. Esso, sorretto da mensole in pietra e collocato sopra la porta di una casa, è costituito da un parapetto in ferro battuto molto decorato, da un tetto, pure in ferro, e da alcuni elementi verticali, anch’essi in ferro battuto con decorazioni, i quali collegano la soglia al tetto. Tra i numerosissimi altri balconi coperti da tetto sorretto da colonne o pilastri meritano d’essere menzionati quello del Palazzo comunale di Anagni e quello che il Vasari sistemò in un angolo dei palazzi fiorentini dell’Arte della seta e di Parte Guelfa. In paesi più settentrionali del nostro è raro trovare balconi aperti; molto frequenti sono invece i balconi chiusi ad invetriata (chiamati bow-window o bay-window o oriel dagl’Inglesi, Erker dai Tedeschi), i quali, più che elementi esterni, sono parti integranti degli interni. La forma planimetrica può essere rettangolare, circolare e poligonale; possono sorgere direttamente dal suolo e arrivare fino al coronamento dell’edificio o più in basso (secondo il tipo più comune in ville o castelli inglesi) o invece sporgere a una certa altezza dal suolo e abbracciare uno o più piani (tipo più frequente in Francia e nei paesi tedeschi), o sporgere dalle facciate o agli angoli degli edifici. Vari sono anche i modi coi quali i balconi sospesi terminano in basso, cioè con mensole, con vòlte a piramide o a cono rovesci, a gradoni, con semicalotte sferiche o ovoidali, a bulbo, oppure anche in piano. Essi possono inoltre fare corpo architettonico di per sé stante, oppure seguire le linee generali della composizione della quale fanno parte. Il loro aspetto è simile a quello delle bertesche, costruzioni quasi sempre temporanee e in legno, che in caso di assedio venivano aggiunte in sporgenza dalle pareti di castelli o palazzi fortificati del Medioevo e munite di feritoie e piombatoi.

Di veri balconi chiusi nell’architettura italiana del passato non esistono che scarsissimi esemplari; citiamo quello che si trova in un cortile del Palazzo ducale di Urbino e quello che sporge nel mezzo della facciata del palazzo Roverella in Ferrara. Il primo (costruito in forme di purissimo Rinascimento) poggia su ricche mensole, è di forma rettangolare ed è inquadrato da paraste con trabeazione e parapetto a decorazioni; il secondo, invece, ha forma poligonale e nel suo aspetto ricorda taluni Erker tedeschi. Non si può non far menzione del balcone chiuso sull’antiportale del palazzo Zuccari a Roma, di elegante e leggiera fattura.

L’uso dei balconi chiusi va invece diffondendosi nella moderna architettura italiana, più per una ricerca di varietà nella composizione architettonica degli edifici che per rispondere a necessità di uso. Pur non facendo citazioni particolari, converrà osservare come per i bow-windows usati nelle nostre moderne costruzioni si adottino tutti i tipi ai quali si è accennato precedentemente, sia adattando in essi le nostre forme architettoniche tradizionali, sia imitando quelle straniere, sia ricercando nuove espressioni architettoniche dal razionale impiego dei nuovi metodi costruttivi.

Anche nell’architettura musulmana vengono usati balconi chiusi, ma muniti, invece che di vetri, di forti grate in legno o in ferro, in modo da difendere l’interno dal sole e (secondo i costumi locali) dagli sguardi dei passanti. Quanto alla disposizione che può darsi ai balconi nelle facciate, è ben difficile darne un’idea generale, essendo essa congiunta alle necessità e alla composizione architettonica dei vari edifici. Spesso, in palazzi signorili, il balcone viene collegato col portone, talvolta si apre al centro della facciata abbracciando due o più finestre (come nella balconada dei palazzi veneziani), talaltra si estende lungo tutta la facciata dell’edificio (come nel palazzo Bevilacqua a Verona, del Sammicheli), oppure gira attorno agli angoli dei fabbricati come nei palazzi Prosperi e dei Diamanti, a Ferrara. Balconi se ne trovano perfino nelle facciate di chiese cinquecentesche e barocche a Roma, a Lecce (in S. Croce, esempio notevole per la ricchezza della balaustrata e dei mensoloni a figure di animali e per essere esteso su tutta la facciata.

Più volte da uno dei balconi di Palazzo Chigi  il ministro degli Esteri Mussolini (correva l’anno 1922) e aveva il suo studio alla Galleria Deti. Il Duce usò il  balcone che attualmente fa angolo tra via del Corso e piazza Colonna  la cosiddetta ‘Prua d’Italia’ per pronunciare i primi discorsi che  avrebbe poi replicato a palazzo Venezia. Per dovere di cronaca, nel  1925 le finestre di questo balcone furono obiettivo del fallito  attentato di Tito Zaniboni a Mussolini che mantenne il suo studio  nella Galleria Deti fino al 1931.

Nel 1941  dall’alto dell’ormai storico balcone di Palazzo Venezia, il “Duce” con occhi mobili e spiritati, la voce tonante, annunciava un futuro di grandezza per l’Italia e l’avvento delle “ore decisive” della storia.. E’ il punto in cui il regime raggiunge il massimo consenso. Chiesa Cattolica e Monarchia sabauda hanno stretto una alleanza con il fascismo, scontentando coloro che avevano dato vita al fascismo/movimento. Venne il nazional-socialismo con Hitler che dalla scenografica balconata creata da Albert Speer a Norimberga concionava  in una ambientazione quasi wagneriana. Il balcone fu protagonista, naturalmente, anche nella lunga storia dell’Unione Sovietica e della Russia post-sovietica. Ancora nel maggio 1996, per esempio, Boris Eltsin, che l’anno precedente in occasione del cinquantesimo anniversario della fine della “grande guerra patriottica” aveva ripristinato l’uso del “vessillo della vittoria” nelle cerimonie militari, evocò dal balcone del mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa, allo stesso modo di come avveniva ai tempi dell’Unione Sovietica, i trionfi del passato.

I discorsi dal balcone, insomma, nell’immaginario collettivo vengono quasi automaticamente collegati a situazioni storiche in qualche misura legate a esperienze populiste o autoritarie. Ma, per amor di verità, bisogna ricordare che il balcone, in quanto tale, è estraneo ad esse e non può essere assunto a simbolo di una deriva autoritaria. L’11 febbraio 1990 Nelson Mandela, appena rilasciato dalla lunga prigionia, tenne il suo primo celebre discorso dal balcone del municipio di Città del Capo, dove ora, a ricordo dello storico evento, è stata collocata una grande statua bronzea. Basterebbe questo fatto, forse, a dissipare l’inquietudine suscitata dall’immagine dell’esultante Di Maio sul balcone di Palazzo Chigi, che non è, grazie al Cielo, quello di Palazzo Venezia.

L’immagine del vicepremier Gigino che, affiancato dai suoi principali collaboratori, esulta, tra le ovazioni dei pentastellati raccolti nella sottostante piazza romana, dal balcone di Palazzo Chigi per l’approvazione della “manovra del popolo” voluta dal “governo del cambiamento” è, per certi versi, inquietante. È, anche, una immagine che rimanda alla funzione anche simbolica che, nel corso della storia, balconi, balconcini e tribune hanno avuto e al loro rapporto, in primo luogo, con i movimenti populisti o con i regimi autoritari. Ma non solo. tutti sui social  hanno revocato la ‘tribuna’ prediletta da Benito Mussolini per  arringare la folla, quella di Palazzo Venezia. Il fermo immagine degli esponenti grillini esultanti per il varo di quella che hanno definito  la ‘manovra del popolo”, è stata una prima assoluta per gli inquilini  della presidenza del Consiglio.

Non solo politica, il balcone è legato anche a un momento d’amore, anche se poi è finito in tragedia. A raccontarlo sono due autori: Durante di Alighiero degli Alighieri e William Shakespeare. Secondo le fonti storiche la vicenda di Giulietta e Romeo si svolse nel 1303, quando Verona era governata dalla Signoria degli Scaligeri. Dopo il governo di Alberto I° della Scala, nel 1301 la reggenza passò al suo primogenito Bartolomeo, che tentò inutilmente di sedare l’odio delle lotte intestine tra le famiglie veronesi, divise nelle fazioni avverse dei Guelfi e dei Ghibellini. E proprio in quegli anni Dante Alighieri, esule da Firenze e ospite tra il 1303 ed il 1304 degli Scaligeri, accenna a questa rivalità nel VI canto del Purgatorio: “Vieni a veder Montecchi e Cappelletti / Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: / color già tristi, e questi con sospetti”. La famiglia di Romeo, i Montecchi, potrebbe essere in realtà la casata ghibellina dei Monticoli presente a Verona all’epoca di Bartolomeo I della Scala. Nell’opera di Shakespeare il signore di Verona si chiama “Escalo” che potrebbe richiamare il cognome “Della Scala” dei famosi signori della città.

Il balcone di Giulietta e Romeo

La famiglia dei Capuleti o Cappelletti di Giulietta potrebbe essere riconosciuta nella casata guelfa dei Dal Cappello che la storia vuole proprietari dell’edificio oggi Casa di Giulietta. famiglia dei Dal Cappello. Queste due famiglie sarebbero state acerrime nemiche, sia per l’appartenenza a fazioni politiche diverse, sia perché i Dal Cappello erano legati ai conti di San Bonifacio effettivamente in lotta con i Monticoli.  La tradizione ha identificato in alcuni siti, i luoghi dove si consumò la tragedia dei due innamorati. La casa di Giulietta, a due passi da Piazza Erbe, dove si trova il balcone (foto) a cui la ragazza si affacciò quando romeo le dichiarò il suo amore. La casa di Romeo, poco distante, e la tomba di Giulietta. Ma anche la porta duecentesca da cui secondo la tragedia shakesperiana Romeo lasciò la città dopo essere costretto all’esilio per aver ucciso Tebaldo, cugino di Giulietta. E ogni anno milioni di visitatori rendono omaggio a questi luoghi, confondendo finzione con realtà.

Chi conserva la memoria storica dei trascorsi della sede del governo,  ricorda solo un caso, ma extrapolitico, quello di Giovanni Spadolini,  primo esponente del Consiglio laico della Repubblica italiana, che  infranse un vero e proprio tabù. Per salutare la vittoria della  nazionale di Enzo Bearzot ai mondiali dell’82, ancora prima della  storica finale di Madrid, pur essendo agnostico del calcio, Spadolini  preso dall’entusiasmo e infrangendo il protocollo, si affaccio dal  balcone della presidenza del Consiglio brandendo un tricolore. Anche Romano Prodi si lasciò andare ad una esultanza sportiva fuori  protocollo quando nel 2006 accolse trionfalmente gli azzurri guidati  da Claudio Lippi neo vincitori del mondiale in Germania. Quella sera,  erano da poco passate le 21, quando i giocatori capitanati da Fabio  Cannavaro entrarono nel cortile di Palazzo Chigi con la coppa in mano  e il leader dell’Ulivo cantò con loro l’inno di Mameli eseguito dalla  banda dei carabinieri. Prodi festeggiò il quarto titolo con brindisi e torta,  non si sporse al balcone ma si limitò a salutare con la mano dalla  finestra le centinaia di persone che si erano radunate in piazza  Colonna per celebrare la vittoria tra trombe, sventolio di tricolori,  cori assordanti come il ‘Po, po, po’ della canzone degli White Stripes ‘Seven nation army’ riadattata con il ritornello “Siamo campioni del  mondo”. “Campioni del mondo” è il ritornello di Crozza andato in onda il 28 settembre 2018 su la TV7, nell’atto di volantinaggio di cartamoneta alla folla assiepata sulla piazza. Crozza/Gigino si è presentato con una coppa in mano, urlando “Campioni del mondo!” e sottolineando come, grazie al suo intervento, sia stata abolita la povertà in tutto il mondo. Nonostante gli venisse fatto notare che la manovra posta in essere sfora il rapporto deficit/Pil, Gigino non si è lasciato scoraggiare e ha continuato con la solita frase: “noi andiamo avanti”. Stesso ritornello della Nazionale di Giampiero Ventura intenta a conquistare il pass per partecipare a Russia 2018.

Alesben B.


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