Il manifesto funebre: “Salvatore Salomone, 89 anni, è cristianamente mancato nella sua abitazione…Ne danno il doloroso annuncio la moglie Rosa, le figlie Carmen, Antonietta e Giusi, i generi, i nipoti, la sorella…”. Non era un personaggio importante, non poteva esibire attestati della Repubblica. Era semplicemente un autentico galantuomo, vecchio stampo. Un cittadino che apparteneva agli ‘umili’, non agli ultimi citati nel Vangelo. Con una straordinaria ricchezza morale, umana, di buon esempio praticato. Marito, padre e nonno di cui andare fieri. Originario Villalba. A 7 anni già accudiva un gregge di pecore. La scuola era un lusso che non tutti si potevano permettere. A 50 anni, Salvatore ha lasciato la Sicilia e il fratello col quale aveva condiviso la pastorizia. Un’esistenza senza feste comandate, se non il Santo Patrono del Paese: San Giuseppe artigiano, operaio, lo sposo della Madonna. Quel giorno la comunità deve essere unita e partecipare al rito della processione. La mandria da accudire, i pascoli spesso lontani da casa, nel fagotto la pagnotta di pane fatto in casa, il formaggio, due pomodori, mortadella e acciughe sotto sale. Una vita di sacrifici e di solitudine; si trascorrono ore e ore, dall’alba al tramonto, soli con se stessi, con i propri pensieri, si vive del lavoro, per la famiglia. Non certo per arricchirsi.
Quando ha deciso di emigrare a Loano, come tanti altri paesani, il suo unico ‘mestiere’, il suo bagaglio era quello del pastore, di chi sapeva coltivare l’orto, zappare la terra. Loano aveva superato la soglia degli albori del turismo. Iniziava la lunga stagione del boom vacanziero, soprattutto di stranieri. Gli operatori turistici, dalle spiagge agli alberghi, dai bar ai negozi, registravano un crescendo di clienti e di profitti. Salvatore trovò
un’occupazione nell’impresa Masserio che gestiva la cava di Boissano. E ci fu l’occasione di prendere via via in appalto, in affidamento, i lavori della posa delle prime fognature. Non c’erano escavatori per ogni soluzione, così toccò a Salvatore, picco e pala, aprirsi il varco per centinaia di metri, chilometri ricordava agli amici con fierezza. Estate e inverno, dal mattino alla sera. Si lavorava anche il sabato.
Piccolo, mingherlino, braccia e forza d’acciaio, parlava il dialetto siculo italianizzato; schiena a prova di ore e ore piegati su stessi. Una borraccia d’acqua per dissetarsi, mezzora, un’ora di pausa per il pranzo al sacco. Si sentiva fortunato quando in motorino poteva tornare a casa per un pasto veloce. La pastasciutta era il piatto prediletto al pranzo, a cena il minestrone casalingo. Salvatore operaio modello, da portare sul palmo di mano per l’impresa Masserio, oggi è in vita ancora il figlio ingegnere, i nipoti. Il papà era stato presidente della Loanesi calcio negli anni in cui bisogna mettere mano al portafogli se si voleva coltivare l’ambizione della presidenza.
Salvatore mai un giorno di assenza per malattia, l’orgoglio e la serenità di un posto di lavoro sicuro, con una paga che consentiva un’esistenza dignitosa per dare un futuro alle figlie. Salvatore inseparabile ‘compagno del lavoro’ anche quando ha raggiunto l’età della pensione. Come non ricordarlo, zappa in spalla, salire sulla corriera per recarsi da un conoscente di Loano in quel di Bergeggi. C’era da zappare un appezzamento di terreno incolto da decenni. Mezzo metro di scavo. Osservarlo all’opera lasciava interdetti. Non cinque minuti di pausa. La zappa, la pala e quando era necessario il picco. I suoi strumenti prediletti. Non temeva il sudore, pareva insensibile alla fatica. Fiero di poter mostrare la forza del suo impegno, della sua dimestichezza con la terra, a lavoro ultimato. Salvatore finchè le forze l’hanno sorretto non ha mai oziato, si dava da fare con un piccolo appezzamento di terreno sulle alture cittadine, nella zona di via Piste. Nell’orto di casa ha sempre raccolto tutto ciò che trovava in giro e gli poteva essere utile, a cominciare dalle legna per la stufa. Fiero di aver dato alla famiglia una casa tutta sua, preoccupato quando si era trovato a dover rifare il tetto. Oppure quando il torrente Nimbalto si faceva minaccioso.
Salvatore cittadino d’altri tempi che conosceva e praticava la rettitudine, il rispetto, non dimenticava la terra d’origine, l’infanzia, la gioventù, cosa significava migrare lontano alla ricerca di lavoro. Ha chiuso gli occhi nel suo letto tra le premure e le attenzioni dei suoi cari: la moglie, fedele compagna di vita e testimone dei tempi, le figlie che hanno onorato con la loro coerenza un papà che praticava sane e ammirevoli virtù. Se ne è andato senza clamori, lasciando i ricordi di una vita semplice ed esemplare. Un’esistenza che non fa notizia, eppure è lo specchio dell’altra società che non appare, non emerge, non è decantata, non conosce la mondanità, ma resta quella più vicina e fedele al Vangelo di Cristo, alle sue fondamenta che resistono e accompagnano nell’eternità.