Michele albenganese di Villalba e Koji giapponene di Tokio si sono riabbracciati commossi dopo 47 anni. I protagonisti di una storia molto singolare sono quasi coetanei: uno casualmente nella veste di padrino, l’altro di figlioccio emigrato giovanissimo in Italia per imparare l’arte culinaria del Bel Paese. Koji coinvolto in un incidente stradale trascorse la lunga riabilitazione nella clinica San Michele di Albenga. E’ proprio qui che a 22 anni maturò la sua conversione al cattolicesimo e ha conosciuto colui che l’ha tenuto a battesimo. Ancora in vita, a 94 anni, il celebrante, monsignor Domenico Damonte allora parroco della Cattedrale, oggi canonico e decano della diocesi.
Era l’11 agosto 1969. Michele Di Giuseppe aveva 24 anni. Con i genitori, e 5 fratelli, 5 sorelle, immigrati da Villalba ad Albenga alla ricerca di un avvenire. Ha studiato prima nel Seminario vescovile di Albenga, poi di Savona, infine il diploma dopo aver abbandonato la vita clericale. Koji Tsunoda aveva invece lasciato da poco più di due anni il Giappone per trasferirsi a Torino, imparare il mestiere di cuoco. Abbandonato dalla madre, la zia gestiva un ristorante nella patria natia ed il sogno era quello che il nipote diventasse un grande chef alla ‘scuola’ italiana. Per Koji un esordio da apprendista straniero, senza conoscere una parola di italiano, iniziò una dura gavetta: senza orari, festività, né busta paga, tutto in nero. Da commis di cucina ai fornelli, ma anche a lavare pentole e piatti, fare le pulizie. Ha cambiato più posti di lavoro tra il capoluogo Piemontese ed Avigliana. Il signor Koji ricorda l’hotel Hermitage e il ristorante Vittorio. Un giorno accadde l’imprevisto. In sella ad una vespa ha avuto un incidente, colpa sua. Ricoverato al pronto soccorso, poli traumatizzato, ingessato dai piedi al collo. “In quei giorni – racconta Koji con l’aiuto di un’interprete Guendalina Fanti, 24 anni, conosciuta in Giappone – il personale ospedaliero era in sciopero. Un amico connazionale che viveva a Torino ha deciso di trasferirmi nella clinica di Albenga dove sono rimasto sei mesi. Ha pagato un bel conto mia zia dal Giappone che poi mi ha anche adottato, cambiando così cognome, da Abe a Tsunoda“
Il lungo ricovero, tra le immaginabili difficoltà ( “Pronunciavo poche parole di italiano e capivo qualcosa di più”) ebbe una svolta spirituale. Koji iniziò le prime letture del catechismo, della Bibbia, ebbe modo di meditare, di assistere alla celebrazione della Santa Messa ad opera del cappellano col quale aveva instaurato un rapporto quasi confessionale. Durante la convalescenza incontrò, conobbe e fece amicizia con Michele Di Giuseppe, a sua volta ex seminarista, impegnato nel sociale. Da qui il passo verso il principale sacramento della vita cristiana, il battesimo. Battezzare (“baptizein” in greco) significa “tuffare”, “immergere”; l’ “immersione” nell’acqua è simbolo del seppellimento del catecumeno nella morte di Cristo, dalla quale risorge con lui. Il battezzato “dopo essere stato illuminato è divenuto “figlio della luce” e “luce” egli stesso.
Ci alcuni aspetti curiosi in questa umanissima storia a tinte da fiaba. Per quattro volte ricorre il nome di Michele . Il padrino di battesimo è Michele. Coji, come si legge nel certificato di Nascita e Battesimo dell’11 agosto 1969, prende il nome di Michele. Il rito è stato celebrato nella cattedrale di San Michele e San Michele si chiama la clinica dove era ricoverato ed ha intrapreso la strada della conversione. E ancora, in quello stesso giorno ricevette la Cresima, il sacramento che sigilla e rafforza la fede in Cristo Gesù, ‘soldati’ di Cristo. Ad ‘imporre’ le mani sulla fronte era stato il vicario generale della diocesi monsignor Nicolo Palmarini, oggi compianto.Un altro piccolo particolare tra i protagonisti. Don Damonte era stato il padre spirituale ed insegnante di religione di Di Giuseppe,all’epoca del Seminario, mentre don Palmarini gli insegnava Filosofia.
Il signor Koji, nel suo ritorno ad Albenga, in compagnia della moglie Taeko, ha portato la busta dove conserva come ‘reliquie’ le foto ‘artigianali’ scattate in occasione del battesimo e i documenti rilasciati dalla Parrocchia di San Michele Arcangelo per l’uso ecclesiastico. “Ho provato profonda emozione e tanta gioia tornare ad Albenga, oggi più affascinato di ieri a varcare la soglia della maestosa ed antica chiesa dove ho ricevuto i sacramenti. Non potevo credere di riabbracciare ancora il mio padrino, di incontrare l’amabilissimo sacerdote don Damonte al quale ho chiesto ancora una benedizione. Questo ritorno, questo viaggio per me rigenerante, meraviglioso, che sognavo, lo devo soprattutto ad un carissimo amico della prima ora, H. Miyakawa, che vive in Toscana dove gestisce un agriturismo. E’ stato lui ad organizzare e gli sono molto riconoscente. Sono felice per l’accoglienza e l’ospitalità di Michele, un cuore grande e generoso che il buon Dio mi ha fatto incontrare in circostanze impensabili. Mi sento davvero fortunato. Questo viaggio è un regalo bellissimo che ci siamo fatti con mia moglie: Ho lavorato una vita dietro i fornelli, ho raggiunto il successo come chef. Vivo a Tokio con 12 milioni di abitanti e frequento la chiesa e la comunità cattolica. Sono padre di due figli adulti, uno vive a Barcellona, l’altro in Tailandia. Ho raggiunto la pensione e chissà che un giorno….ho invitato Michele...”.
Va da se domandarsi come è stato possibile dal Giappone mettersi in contato dopo 47 anni con il padrino di battesimo. Lo spiega Michele Di Giuseppe: ” Negli anni successivi al battesimo e al ritorno in patria del signor Koji ci siamo scritti in qualche circostanza, a Natale, a Pasqua, poi l’oblio. Nei mesi scorsi sono stato contattato da una parente, mi ha fatto presente che don Ivo Ramondo, parroco della cattedrale aveva bisogno di parlarmi. Da qui, con l’ausilio dell’interprete, abbiamo ripreso i contatti e organizzato la visita. L’ho rivisto e riabbracciato con trepidazione, non mi sembrava vero. L’ho ospitato nella casa di via Torlaro dove sono cresciuto e che ho fatto ristrutturare”.
Michele Di Giuseppe fa parte della seconda generazione della comunità di meridionali che ad Albenga rappresenta ormai la grande maggioranza della popolazione. Gli indigeni sono invece poco più del 3 per cento. Da braccianti agricoli e manovali, gli immigrati sono diventati agricoltori, artigiani, commercianti, esercenti, professionisti, imprenditori. La comunità siciliana è la più numerosa e spicca quella di Villalba che alla città ha dato anche un sindaco Rosy Guarnieri. Il primo siciliano a farsi strada nella vita pubblica è stato Michele Di Giuseppe, oggi pensionato, dopo oltre 20 anni di insegnamento ed inizialmente impiegato delle Ferrovie dello Stato. Per la storia, Di Giuseppe è stato l’ultimo presidente presidente dell’Ente Ospedaliero S. M. di Misericordia a fine ann0 ’79. E il primo luglio 1980 è toccato a lui, davanti al notaio, trasferire alle neo Usl (ora Asl) e ai sindaci del comprensorio limitrofi tutti i beni immobili, conti bancari, depositi obbligazionari Carige. Un patrimonio ingente, miliardi di lire, frutto di lasciti e donazioni. Erano gli anni in cui si ipotizzava di realizzare il nuovo ospedale in un terreno, tuttora abbandonato, in Regione Colombera ai confini di Alassio. Erano gli anni della Democrazia Cristiana primo partito e del Partito Comunista che ad Albenga aveva la sua roccaforte e Angioletto Viveri ‘dominus’ senza rivali. Al secondo posto i socialisti, i socialdemocratici. Con l’ingegner Ennio Della Torre battitore libero. Il geometra Danilo Sandigliano tessitore di tele e strategie, massone di Palazzo Giustiniani della prima ora. Il geometra Vincenzo Damonte dell’ufficio tecnico comunale, socialista e secondo presidente dell’Usl succeduto al compianto Walter Ansaldi, Dc. Con Viveri sindaco, Mauro Testa vice sindaco, Giancarlo Jeri segretario generale del Comune.
Di Giuseppe candidato ed eletto nel gruppo consiliare della democrazia cristiana nel 1970 eletto con 175 preferenze, ricandidato quale indipendente col Pci nel 1975 con 475 preferenze, dopo aver rotto i rapporti con la Dc albenganese. Assessore comunale dal 1979 al 1980. Ha conosciuto tutti i personaggi che si sono avvicendati nella vita politico amministrativa ingauna. “Impossibile dimenticare un’eccezionale memoria storica quale era Gabriele Ciarlo – dice Di Giuseppe -, sapeva tutto di tutti, una persona battagliera, competente e rigorosa, un politico repubblicano che non faceva il politicante e si batteva per quelle che possono essere definite le giuste cause, il rigore amministrativo e del bilancio comunale, al di la del tornaconto elettorale e men che meno personale. Non faceva sconti. Non ricorreva il consenso, ma il buon senso e la lungimiranza, anche se era meticoloso e spigoloso. Ricordo tra le sue battaglie l’allarme e la lotta per scongiurare l’inquinamento ed il depauperamento delle falde acquifere della piana.Non dissipare le vene. Un onestuomo che non si è arricchito con i piani regolatori o con le aree edificabili”. (L. Cor.)