Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Manoscritto inedito di storia locale / Don Carlo Rebagliati e San Salvatore di Magnone alle spalle di Noli – Spotorno. Il marchesato


Pagine straordinarie storia, riferita alle piccole comunità dell’entroterra, salvo alcune realtà, che oggi sopravvivono solo come “dormitori” di attività della costa.

SS. Salvatore di Magnone: in A.D. 1212

La storia inizia nell’anno 1996 quando l’allora economo della curia Don Carlo Rebagliati (nella foto a sn) decise di ripristinare alcuni edifici religiosi significativi delle realtà contadine dell’entroterra. Tali edifici riguardavano: La Casa parrocchiale di Tosse con il relativo Campanile, L’Oratorio di Portio e la Chiesa di Magnone.

Questo piano a coronamento degli edifici della costa in quanto aveva intuito che i “vacanzieri” stavano scoprendo anche l’entroterra, e alle spalle di Noli e Spotorno, c’era qualche cosa di veramente interessante.

E così dopo il ripristino del Tiglieto, l’abbazia cistercense dalla quale scaturì la fondazione di Staffarda, diresse il suo intento verso Portio e Magnone le cui origini, degli edifici sacri, sono uguali a quelli del Tiglieto.

Nonostante che qualche ecclesiastico locale, fosse contrario e si esprimesse per l’abbattimento, in quanto il mantenimento fosse alquanto dispendioso ed inutile [vedi l’ex “don Nello“],

Il cardinale Domenico Calcagno già vescovo di Savona

Don Carlo, sorretto dalle idee di Mons. Dante Lafranconi prima e da Mons. Domenico Calcagno poi, diede il via al recupero a suo tempo programmato. 

Nel 1996 venne ripristinata la Casa Parrocchiale di Tosse [il Campanile venne ripristinato post morte]; nel 1997-98 l’Oratorio di Portio; nel 1999-2004 fece il progetto per il recupero di SS.Salvatore di Magnone, che rimase solo tale per il fatto che Don Carlo non è stato più confermato Economo della Curia e destinato ad altro incarico, dall’attuale Vescovo, anche se la cifra, 600.000euro era stata quasi tutta trovata.


CHIESA CISTERCENSE DI S.S. SALVATORE

RELAZIONE STORICA

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CHIESA DI S.S. SALVATORE

NEL LUOGO DI PORTIO

(A.S.V., Naulen., 88 f. 39)


PREMESSA

(Dalla Visita di Mons. Mascardi)

    “Questa chiesa, da tempi antichi, ha con la parrocchiale l’alternativa della celebrazione della messa, ossia una volta in questa ed una volta nella villa.

Il Cimitero nella quale si seppellisce raramente non è ben chiuso e non ha la croce nel mezzo. Nella chiesa da tempi antichi si celebra l’anniversario della sua consacrazione, nonostante non vi siano evidenze che la stessa sia avvenuta. E’ posta verso oriente ed ha due navate: una maggiore a capo della quale è la cappella maggiore con soffitto a volta ed alla quale si accede attraverso un gradino; l’altra , minore, è posta al lato Vangelo. Il tetto soffittato è in qualche punto guasto e lascia penetrare acqua. Il pavimento è di semplice cemento non ben livellato. Le due pile per l’acqua benedetta sono tollerabili. Le pareti sono abbastanza ben costruite. Ha quattro finestre nella parete al lato dell’epistola ed una circolare nella facciata. Vi sono due porte laterali alle quali si accede attraverso il cimitero. Non vi è alcuna porta centrale essendo la posizione della chiesa esposta al vento. Il campanile ha la porta di ingresso nella parete al lato dell’Epistola a metà della Chiesa, senza serratura; nello stesso vi sono due campane. Non vi è sacristia”.

IN A.D. 1212 ……

Maigion, magion, magione, magnione, = magnone, (fr., moderno) = maison, casa, abitazione, casa rurale , casa della montagna, casa sulla montagna, masseria.

E ciò perché, attorno al 1200 i monaci Cistercensi misero, a custodia dei loro luoghi di fede, dei massari con il compito oltre che di guardiani delle cose sacre anche dei luoghi sacri, nonché di sacrestani e contadini delle terre di proprietà dei monaci, e gravanti nella sfera del convento, fortificando la proprietà con contrafforti, muri perimetrali e torrioni detti anche bastioni (nella chiesa attuale uno è ancora quasi intatto, dell’altro ci sono solo pochi resti) .

Quando attorno al 1100 i Monaci di Citteaux, fecero della regola di San Benedetto la revisione più purista cioè quella di renderne più austera la osservanza, ad opera soprattutto dei santi abati, quali Roberto di Molesme, 1098 di Citeaux e di Stefano Harding, 1113 di La Ferté e Pontigny nonché nel 1115 Clairvaux, Morimond; e la regola de La Charte de Charité fu approvata nel 1119 da Callisto II, papa, su impulso di S.Bernardo di Chiaravalle s’iniziò l’espansione dell’ordine monastico in tutta la Provance a partire dai confini spagnoli, cioè da ovest ad est, fino oltre la città di Genova, per quanto riguarda la Liguria.

I Cistercensi nel loro purismo accompagnato da silenzio e la preghiera si ritiravano in luoghi piuttosto solitari, ove potevano anche coltivare la terra e custodire antichi “tesori” leggasi vestige romane, la Provance ne è piena; i loro edifici semplici, spogli di ogni icona o scultura, sovente con pietre a faccia vista anche internamente, normalmente erano a pianta latina con abside rettangolare e rivolti a sud est, la copertura a volta acuta ed il campanile sorgente nel tamburo ma nei piccoli ed isolati centri non disdegnavano di accontentarsi di ciò che trovavano.

A seguito della “invasione” degli Albigesi (Catari) che dalla Francia meridionale si spinsero in Italia per sfuggire alle “persecuzioni” della Chiesa Ufficiale, i Cistercensi arrivarono nella valle dello Sciusa: “l’ala militare” ovvero i Cavalieri Milites Cristi si fermò a San Giorgio mentre “l’ala evangelica” ovvero i Predicatori si fermò a Magnone ove già esisteva una vecchia torre per il grano (1184-1199), e forse anche l’antica strada Consolare Julia Augusta (1) (qui i pareri sono discordi: La Dott.ssa Francesca Bulgarelli fa risalire i resti al periodo Medioevale, S.A. il Principe Giorgio I° di Seborga al periodo Romano), una parte della quale usata dai Monaci Cistercensi prima come passaggio fortificato, in seguito dai sacerdoti della Chiesa di Roma come passaggio coperto tra la Canonica e la Sagrestia della Chiesa.

(1) La “classificazione” contempla:

    a – viae militares – di permanente interesse strategico

    b – viae publicae

        1 – praetoriae

        2 – consulare – ossia le normali strade di grande comunicazione

    c – viae vicinales – d’interesse locale o di raccordo di viae publicaes

    d – viae privatae – di accesso a fondi privati dette anche

        1 – viae agrariae

        2 – viae rusticae

La via “Giulia Augusta” costruita da Augusto come prosecuzione della via Emilia Scauri, seguiva l’arco della costa ligure ed andava da Vado Sabatia fino a Ventimiglia ed al confine con la Gallia, costituendo con l’Emilia e l’Aurelia la via verso l’Occidente.

Da Vado Sabatia proseguiva per Segno ed in prossimità dell’attuale località “i Gatti”, scendeva fino a Magnone – Santa Libera, dove incrociava la via pretoriana proveniente da Mallare ed una via vicinale proveniente da Voze, proseguiva verso la torre del grano, scendeva dopo l’attuale Cappella di San Giacomo, nella valle dei Ponci fino a Verzi, risaliva la valle dello Sciusa e in Località “Cornei” s’incuneava nella “fenditura di Orlando” fino a raggiungere la valle dell’Aquila; da li s’inerpicava fino a Gorra e …..

A Magnone dunque passano tre vie romane la prima “consolare” che da Vada Sabatia, Segno, scende a Magnone per superare capo Noli ed arrivare, attraverso la valle del Ponci, dell’Aquila a Gorra; altro percorso della “consolare” potrebbe essere da Vada Sabatia a Spalturno, quindi Magnone e valle dei Ponci; l’altra di tipo(forse) “pretoriana” che arriva da Mallare, incrocia una via secondaria, forse “rusticae”, e va a confluire, nei pressi della “Chiesa” con la prima. Non a caso le cappelle dedicate a

Santa Libera si trovano all’incrocio di vie romane.

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A Magnone dunque passano tre vie romane la prima “consolare” che da Vada Sabatia, Segno, scende a Magnone per superare capo Noli ed arrivare, attraverso la valle del Ponci, dell’Aquila a Gorra; altro percorso della “consolare” potrebbe essere da Vada Sabatia a Spalturno, quindi Magnone e valle dei Ponci; l’altra di tipo(forse) “pretoriana” che arriva da Mallare, incrocia una via secondaria, forse “rusticae”, e va a confluire, nei pressi della “Chiesa” con la prima. Non a caso le cappelle dedicate a
Santa Libera si trovano all’incrocio di vie romane.

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Da “Gli insediamenti Cistercensi nel Ponente Ligure” tratto da “SEBORGA” I documenti che parlano – Autore: S.A.S. Giorgio I° Principe di Seborga – Dopo l’insediamento Cistercense in Tiglieto, voluto da Papa Callisto – Edizioni Principato di Seborga a cura del Sovrano Ordine Cavalleresco di San Bernardo di Clairvaux – Imprimatur: Curia Vescovile di Ventimiglia.

Dopo l’insediamento Cistercense del Tiglieto, voluto da Papa Callisto II nel 1120, e dietro il riconoscimento ufficiale dell’Ordine Cavalleresco da parte della Chiesa, fatto da Papa Onorio II durante il Concilio di Troyes, il 13 gennaio del 1128, la santa Sede incomincia a pensare seriamente di proteggere, tramite i cavalieri di san Bernardo, i propri domini in Liguria occidentale, divenuti alquanto labili, poiché esposti agli attacchi provenienti dal mare e soprattutto soggetti alle scorrerie delle soldatesche che arrivavano dal Nord.

“Se tanto hanno fatto in Terrasanta e in breve tempo, almeno altrettanto, se non di più, possono fare nella Liguria dai Poteri cangianti come il vento e resi insicuri dalle diatribe che portano a frequenti cambiamenti confinarii”

Così dice Papa Innocenzo II e così nascono dopo il 1139, sui territori Pontifici, gli insediamenti strategici Cistercensi, posti sulle strade di grande comunicazione che dall’attuale territorio savonese s’arrampicavano a scavalcare le montagne marittime a Ponente di Genova, verso la Provenza.

I Pauperes Milites Christi si insediarono pertanto, in quello che diverrà San Giorgio, sulla via che da Varigotti si proietta verso Altare e Portio, lungo l’antica strada romana che da Vado, superando le asperità di Capo Noli, prosegue via Orco e Feglino verso il Passo del Melogno, oppure riguadagna il mare a Final-Pia.

Vicinissima a Portio nasce la Magione formata dagli esuli occitani, oggi contrada Magnone, da cui le famiglie presero il nome.

Difficile sarà l’avvicinamento, se non impossibile, tra la comunità preesistente di Portio e la nuova, composta da Catari.

Dopo la cessione del territorio ai Signori di Finale, avvenuta nel 1212, i Cistercensi, onde ovviare il problema, prendono così la decisione di erigere due distinte Chiese: una dedicata al Santo Sepolcro in Portio ed una dedicata a San Salvatore nella Magione, terminata qualche anno prima dell’altra. [2]

I Marchesi del Carretto, seguendo il consiglio del Gran Maestro Pedro de Montaigu, stabiliranno, inoltre, che le due Contrade prendano il nome delle Chiese, onde reprimere le insorte diatribe razziali.

Ma il tentativo dei Signori di Finale non otterrà il risultato voluto: la comunità del Santo Sepolcro continuerà a distinguersi sempre più nettamente da quella chiamata “i Magioni”, (che presto muterà il nome con “i Magnone”) nonostante il conseguente passaggio del territorio nelle mani della Repubblica di Genova, che voleva unione e obbedienza civile tra i Borghi ad essa soggetti.

L’errore più grave dopo il Concilio di Trento (che si svolse in più riprese tra dal 1542 al 1563) fatto dalla Curia di Noli, fu quello di riunire le due comunità in un unico rettorato, fissando la dimora dell’Abate nella più agevole canonica pertinente alla Chiesa del Santo Sepolcro, sebbene le funzioni religiose fossero celebrate alternativamente nei due centri parrocchiali, come risulta dalla visita pastorale compiuta da Monsignor Mascardi nel 1585. [3]

Il 20 ottobre del 1590, infatti il Vescovo Timoteo Berardo, trovò le due contrade in lotta perché i Magnone non intendevano partecipare alle spese per l’acquisto della campana, che s’era rotta, da porsi sul campanile della Chiesa del Santo Sepolcro.

La Curia di Noli, deciderà così, con decreto del 3 agosto 1614, reso effettivo il 13 dicembre, di ripristinare il passato, separando le due Parrocchie.

Oggi le due Comunità, unite a San Filippo e al tardo Cistercense San Giorgio, formano il Comune di Vezzi Portio”.

Dopo il Concilio di Trento (1550), ed in tempi abbastanza brevi, dove è fatto obbligo alle Comunità religiose di “tenere” i registri della “Parrocchie”, durante la visita di Mons. Mascardi (novembre 1585), si legge………..

…..”Dai documenti giunti fino a noi non si riesce a determinare quale fosse la Chiesa più antica (S.Salvatore e S.Sepolcro), mancano documenti. Dalle sommarie descrizioni delle due Chiese fatte in tale circostanza si evidenziano elementi dell’architettura gotica
come abside rettangolare, rosone sulla facciata, finestre laterali e
vetrate a rombi legate in
piombo.

L’unico “elemento” in comune alle due contrade era l’Oratorio di S. Bernardo, il quale aveva un “locale sotterraneo” che si può ritenere fosse la Cripta di un’antica chiesa romanica.

Al tempo delle visite apostoliche di Mons. Mascardi (novembre 1585) mancavano documenti, ciò è vero in quanto i cistercensi non hanno , per via della loro regola,
mai legato con la “Chiesa” ufficiale, dalle sommarie descrizioni delle due Chiese fatte in tale circostanza si evidenziano elementi dell’architettura gotica come abside rettangolare, rosone sulla facciata, finestre laterali a grata e vetrate a rombi legate in piombo.

La Conferma di Mons. Mascardi è la seguente “La Chiesa aveva due navate con abside rivolta ad oriente, un muro trasversale, a metà della chiesa, separava l’area destinata agli uomini da quella destinata alle donne: a queste due aree corrispondevano due porte nella parte meridionale della chiesa (ovvero verso l’attuale cimitero)”

Dagli atti della visita di Mons. Mascardi risulta che la Chiesa ha un proprio Fonte Battesimale ed un proprio cimitero: da questa constatazione Mons. Mascardi dedusse che le due Chiese fossero, anticamente parrocchie separate, unite poi sotto un unico rettore.

“L’Altare maggiore in capo alla cappella maggiore, ha icona corrosa e indecentissima, senza candelieri, l’altare minore sotto il titolo di Nostra Signora in capo alla navata al lato del Vangelo, ha una piccola icona. L’altare di santo Stefano nella parete a lato del Vangelo ha icona indecente, privo di ornamenti e suppellettili. L’altare di S. Sebastiano è da demolirsi interamente.”

Come emerge da atto notarile, nel 1568, il vescovo di Noli Massimiliano Doria dichiarava che questa chiesa non solo ha diritto in alternativa nella messa, ma è Parrocchiale più antica di quella del Santo Sepolcro”.

Storia del marchesato luoghi e strade

    Nel “Codice della Liguria” edito in Genova nel 1850, lo storico Garoni scrive nel suo Codice della Liguria che “nelle falde del Montalto, a duemila metri dalla foce della Sciusa sta la Villa di Verzi, a cinquemila trecento quella di Portio, e a seimila quella di Magnone”.

    L’Imperatore Antonino, nel suo “Itinerarium Maritimum” ci dice che dal romano Municipium di Vado Sabatia, al Municipinm di Albingaunum, non esistono porti di attracco, nessuna stazione e nessun luogo abitato.

    Strabone narra di gente dedite alla pastorizia da cui traevano il loro sostentamento, bevevano orzo e latte e vivevano sparse sui monti dove avevano i loro pascoli.

    E’ probabile che alle falde del monte Montalto sorgessero le abitazioni di queste gente, antiche tribù Liguri che male accettavano il processo di romanizzazione che lentamente avanzava, processo che era iniziato verso il 230 a.C.

    Nel 181 a.C. il Console romano Emilio Paolo, dopo l’assedio di Albenga ed una battaglia nei pressi di Finale, riuscì ad assoggettarli, ma, questa vittoria, portò solo all’occupazione del territorio, perché in effetti le popolazioni furono domate solamente dopo il I sec. a.C. dall’Imperatore Augusto.

    Vicino a Portio passano le antiche vie di comunicazione romane su due direttrici: la via Julia che passa in prossimità della costa, scende dall’altopiano delle Manie, raggiunge Pia passando per il Monte, quindi salendo al Gottardo ed alla Caprazoppa raggiunge Gorra.

    L’altra via romana, la via Julia Augusta (Aurelia), partendo da Roma, attraverso Rimini, Piacenza, Tortona, il Passo di Cadibona, raggiungeva il Mar Ligure nei pressi di Vado Sabatia, poi per superare le asperità del Capo di Noli, passava sui monti, raggiungeva Magnone, passava nei pressi di Portio e per la Valle dei Cornei proseguiva per Orco e la Valle dell’Aquila, risalendo la montagna di Perti, raggiungeva Gorra e da qui per la Valle del Bottasano si inoltrava verso ponente per raggiungere la Gallia. (**)

    La descrizione di questo tronco stradale e la volontà dell’Imperatore Aureliano di volere importare degli schiavi per far coltivare a vigneto questi luoghi ci è tramandata da Flavio Volpisco.

    A garantirci la veracità di quanto ci hanno tramandato gli antichi cronisti rimangono a testimonianza i ponti romani a cavallo del Rio Ponci e dei suoi affluenti: il ponte detto “delle Fate”, ancora in buon stato di conservazione: il ponte detto “Ponte Sordo”, distrutto, nelle cui vicinanze si vedono ancora i resti dell’antico argine stradale; il ponte detto “delle Voze” o più comunemente “Ponte Muto” ben conservato; il ponte detto “dell’Acqua” o “Ponte Vecchio” o ancora più comunemente “ponte di Portio” in parte interrato, scavalca il rio Ponci in prossimità della strada che conduce alla Madonnina, una cappella votiva sul giogo dove, passando per Portio si accede in Val Pia; infine il quinto ponte tra i boschi quasi in testa alla vallata detto “ponte di Ponci”.

Ancora un ponte era gettato a congiungere le due sponde della Fiumara di Pia, era il Ponte dell’Acquaviva o di Cornei, sostituito nel quattrocento dall’attuale, esso immetteva nella stretta gola che porta il fantastico nome di Colpo di Orlando.

La leggenda vuole che il paladino Orlando, all’inseguimento dei Mori, creasse una spaccatura nella montagna con dei poderosi colpi della sua durlindana.

Il territorio appartenne alla grande Marca Aleramica come risulta dai diplomi regi del 25 luglio 935 e del 6 febbraio 940, dati a Pavia dai Re Ugo e Lotario, godette della gloria, dei benefici e dei privilegi del grande Bonifacio di Vasto e fu possesso per
diritto di discendenza della famiglia marchionale savonese dei Del Carretto di stirpe Alemarica.

Secondo il testamento redatto nel Castello di Loreto il 12 dicembre 1142, alla presenza dei Vescovi di Savona e di Asti, quali autorevoli testimoni, il Marchese ereditava tutta la parte del Marchesato di Savona, comprendente pure le terre del Finale, di Perti, di Orco, di Vezzi e i diritti sul Castello di Noli, ma nel 1192, cedeva i suoi diritti sui castelli di Noli e di Segno alla Città di Noli erettasi a Libero Comune.

Queste vendite non furono molto gradite, anzi preoccuparono il Comune,

giovane, di Savona che vedeva un’intromissione genovese, rappresentata dalla presenza di Noli nel Castello di Segno e di conseguenza nella rada di Vado e sui territori verso i quali aveva mire espansionistiche.

Per queste ragioni il Consiglio Savonese deliberò l’acquisto della Castellania di Quiliano, delle Terre di Vezzi e dei Boschi di Consevola, obbligandosi a darli in feudo ai vecchi signori aleramici.

Nell’archivio di Savona esiste la pergamena originale del Diploma di Federico II, dato da Brindisi nell’aprile del 1222 che conferma la proprietà sul territorio di Vezzi, con tutte le sue pertinenze, a Ottone Del Carretto, figlio di Enrico I Del Carretto, soprannominato il Guercio: …”emptionem quam cives eius fecerunt de pedagio porte et ripe Saone et de Legino et Lavagnola et Quiliano et Vezio et Cossegola et eorum Pertinentiis ab Ottone Marchione de Carreto”.

Gli storici savonesi lamentano la mancanza di documenti ed il Verzellino afferma che le terre di Vezzi furono acquistate dal Comune di Savona nel 1132, ma l’atto di questo acquisto non è depositato nell’archivio.

Nascono dei contrasti tra il Gastaldo di Vezzi, Raimondo, che fino all’ora si era dimostrato fedele alla politica savonese ed al Comune, tanto che per sua sicurezza, questi, nel 1256, lo costrinse a giurare fedeltà.

Mai dal tempo che seguì vi furono contrasti tra l’Università degli uomini di Vezzi ed i Comune di Savona, tanto che il l’ 11 novembre 1254 gli uomini di Vezzi giurarono fedeltà al giudice Bertolino Bonifacio, rappresentante del Comune, retto da Simone d’Oria.

I nomi di questi uomini si riscontrano nel secondo volume dei Registri a catena ed alcuni di questi si tramandano ancora oggigiorno, o per patronimico di famiglia o per indicazione di località.

Essi sono: “Io de Telesio, Ioh.iudex Riccardus de Campedo, Guillelmus de Campedo, Iacobus Bertaldus, Cbertus Gallerus, Obertus de Lore, Anselmus de Campedo, Enricus de Monte, Iacobus Rauscius, Iacobus de Lombarda, Raymondus de Telayo, Iaccibinus Rauscius, Toh de Calvis, Rufinus Buchinus, Nicholosus de Quercu, Enricus de Vassallo, Bonavia Collegius, Gullelmus de Costa, Ugo de Fascia, Iacobus Calumbus, Enricus de Fascia, ….”

Nel 1260 Raimondo di Quiliano giura al Podestà di Savona di tenere come feudo del Comune tutto ciò che possiede nei territori di Quiliano e di Vezzi, mai suoi discendenti vengono considerati decaduti dalla successione.

 Nel 1261 una parte del territorio di Vezzi venne ceduto in feudo alla famiglia genovese dei Cigala nella persona di Nicola Cigala, che nello stesso anno lo restituisce, in presenza di Jacopo Fornari e dei cittadini di Vezzi, al Comune, tuttavia il podestà di Savona, Jacopo Boccanegra, lo reinveste del feudo e ne riceve giuramento, assicurando al Comune il mantenimento dei suoi diritti e la restituzione delle terre qualora ne fosse fatta richiesta e l’obbligo di reclutare armati, quanti più ne possa raccogliere. In quest’occasione anche gli uomini di Vezzi, riuniti nella Chiesa di S. Giorgio giurano fedeltà al Comune savonese.

Queste cessioni e questi acquisti celavano senz’altro manovre politiche. Un giuramento simile era stato fatto da Enrico II Del Carretto allorché Marchese di Savona governava la città.

Trascorrendo il tempo in pace, e poiché le terre di Vezzi erano care al Comune ed il governo dei Cigala era improntato sulla giustizia e sulla rettitudine, il giudice di Savona, Simone Cancellieri, ritenne utile per il bene del Comune dare investitura al casato di tutto il territorio di Vezzi in feudo nobile ed onorificato.

Per ben due secoli la famiglia Cigala fu feudataria delle terre di Vezzi.

1261  Nicola Cigala è investito dei 3/4 del territorio

1270  Nicola Cigala è investito del restante 1/4 del territorio

1293  Corrado Cigala e i suoi due nipoti, figli di Guglielmo Cigala, sono investiti dei 2/5 del territorio

1302  Corrado Cigala e Anselmo, figlio di Lanfranco Cigala, sono investiti di 1/5 del territorio, Corrado giura fedeltà al Comune di Savona rappresentato dal Podestà Giorgio De Mari.

1309  Corradino e Melania figli di Corrado, sono investiti dei 4/5 del territorio.

Dopo questa data non si trovano altri documenti riguardanti la famiglia, fino al 1518, anno in cui Battistina Squarciafico, vedova di Bartolomeo Cigala reclama il resto della sua dote in 1400 lire genovesi.

Tuttavia già dal 1456 sono operanti gli Statuti della terra di Vezzi del tutto simili agli Statuti di Quiliano del 1407.

Il nome di Portio appare in alcuni documenti testamentari duecenteschi, il primo documento ufficiale di appartenenza al Marchesato di Finale è l’atto di divisione ereditaria rogato dal notaio Siccardi nell’ottobre del 1253 a Millesimo.

La spartizione della grande Marca lasciata da Giacomo Del Carretto, Universale Signore e Marchese di tutto il territorio carrettesco, Marchese di Savona e Signore del Finale, fermi restando i diritti di giurisdizione ed i proventi di acqua, di bosco, di pascolo e di pesca, toccò, per il territorio del Finale, al primogenito Antonio, che in effetti governava la Marca dal 1263.

In questo atto di spartizione si riscontra la dicitura “Castra et Villas et campagna vidolecit…item campagnam mediam de Portius et Vosis”, vale a dire la metà del territorio di Portio.

Quest’atto ci dà la certezza che, mai nominata prima d’ora in atti ufficiali, Portio costituisce Campagna, governata da un Rettore e legata, politicamente ed economicamente al marchesato.

Pochissime e frammentarie sono le notizie che sono giunte fino ai nostri giorni: inverta è la presenza dei Padri Domenicani nel XV secolo nella Chiesa del S. Sepolcro.

Una fitta documentazione tra il 1432 ed il 1452, si può così riassumere: Cristoforo de Marcho, cittadino savonese, aveva acquistato dai Sindaci dell’Oratorio un bosco di castagni, sito in “Villa Portui in Contracta Ecclesie Sancti Sepulchri”.

Nel suo testamento nominava eredi per i suoi beni in Portio il Convento dei Padri Domenicani di Savona affinché tenessero un frate ad effettuare il servizio religioso: se questi non avessero assunto tale onere, altri li avrebbero sostituiti nell’eredità e per ultimo sarebbe stato un sacerdote secolare designato dal Vescovo di Noli; ma nel 1451 i Domenicani del Convento di Santa Caterina di Finalborgo appoggiati dal Marchese, rivendicano presso la Santa Sede l’eredità. Questa richiesta non appare molto chiara, per cui si apre un inchiesta portata avanti da un canonico della diocesi di Savona. incaricato di controllare il testamento; i Domenicani di Santa Caterina non ottennero il legato.

Da documenti successivi si viene a sapere che, nelle feste di precetto, si celebrava il rito alternativamente nella Chiesa del S. Sepolcro e nella Chiesa di S. Salvatore (Magnone)In mancanza dell’officiante i redditi del lascito erano percepiti dalla Comunità.

In località “Ca de Bo” la tradizione ci tramanda la “Cappella dei Frati”, conglomerata ad una antico edificio ora residenza privata, ed un pozzo attiguo ad un orto che porta il nome di “Orto del Frate”.

Poiché si riscontra tra i documenti del 1557 una tassa sui mulini di 49 scudi, la più alta del Marchesato in proporzione alla popolazione, si può in qualche modo pensare ad un commercio del macinato in super produzione.

Dissidi campanilistici sorsero tra gli abitanti dei due rioni: Magnone, così chiamata perché secondo la tradizione popolare fu abitata per la prima volta dall’antica famiglia dei “Magnonsis” che aspirava ad autogoverno.

Molte furono le liti per ragioni di confine, tanto che nel 1553 dovette intervenire il Vescovo per sedare una rissa prima che degenerasse in una faida.

Ogni piccola motivazione era colta per litigare: nel 1590 Portio e Magnone sostennero una lite causata dalla rottura della campana della Chiesa del Santo Sepolcro. Magnone non voleva partecipare alla spesa per la riparazione, intervenne nuovamente il Vescovo ma neppure Lui riuscì ad ottenere la pace; questo litigio durò senza tregua fino al 1614 e fu la causa della separazione in eterno delle due parrocchie, sentenza che divenne esecutiva il 7 marzo 1615.

Poiché la delimitazione dei confini tra il Marchesato ed il Comune di Noli erano sempre stati incerti, in una sentenza del 1411 essi vennero posti tra il cimitero di Voze e la proprietà del finalese Chiesa, ma, Noli, insoddisfatta di tale decisione, con l’appoggio di Genova, che non mancava mai alle opportunità per ledere agli interessi del Marchesato, ottenne la revisione e lo spostamento dei confini in coincidenza con la strada per VozeQuesta incertezza sulla delimitazione dei confini darà spunto ad altre dispute ed ad altri litigi: uno di questi avvenne a causa di furti commessi a danno di cittadini nolesi, dai soldati spagnoli che erano di presso in Voze; altra lite scoppiò nel 1652 quando furono fatti prigionieri nell’entroterra di Noli di alcuni conducenti di muli di Mallare che trasportavano le loro mercanzie.

In atti nel 1562 si riscontrano alcune vendite di alberi di ciliegio, alcuni litigi sulla raccolta dei frutti lungo i confini ed ancora altre dispute sull’uso dell’acqua irrigua. Si trovano ancora dispute sul taglio delle piante e sull’invasione da parte degli animali nel seminato. I territori di Vezzi e di Portio appartennero dal 1798 al mandamento di Noli, ma il territorio di Portio fece parte a se e nel 1804 fu unito al Comune di Magnone per fare un unico Comune e per essere nuovamente diviso dal 1814.

Nel 1815 Portio fu nuovamente legato a Magnone e nel 1854 fu Portio a dare il nome al Comune.

Nel 1871 i Comuni di Vezzi e di Portio furono uniti in un unico Comune, ma solo il decreto reale del 27 luglio 1895 autorizzò e sancì l’effettiva unione.

Bibliografia:

a) A.Barberis – L.Bertolotto: Vezzi – Portio cenni storici, 1989

b) S.A.S. Giorgio I° Principe di Seborga – I Documenti parlano – gennaio 2000

              c) “Archeo” – Le grandi strade dell’Impero n° 39,1988

d) Archivio parrocchiale

Bibliografia da Barberis-Bertolotto

Arch.Com.Sv.    Registro a Catena 2 c.XII – Instrumentum fidelitatis hominum de vecio Filippi    Una contesa tra Genova e Savona del XV secolo

Garoni            Codice della Liguria – Genova 1870

Strabone        Geog. Parisiis Didot – 1863

Verzellino    Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona – Bertolotto 1885 Vol. I Volpisco        Aurelianus in Hist. Aug. Se Registro a Catena 2 c. xxviiii    Instrumentum sicut dominus Nichola Cigala redidit et consignavit castrum et villam Vecii comuni Saone Instrumentum feudi et fidelitatis domini Nichola Cigala facta de castro et villa Vecii

Registro a Catena 2 c. xxxi Instrumentum fidelitatis hominum de Vecio

Registro a Catena 2 c. xxxii Instrumentum fidelitatis quarte partis Vecii facta per comune Saone et concesso domino Nichola Cigala

Registro a Catena 2 c. cxxxxv Instrumentum nobilis et honorifici feudi illorum de Cialis pro villa et castro Vecii et de promissione ipsorum facta comuni

Registro a Catena 2 c. cxxxxviii Instrumentum nobilis et gentilis feudi dati et facti per comune Saone certis de Cigalis pro quinte parte castri et villa Vecii

Registro a Catena 2 c. clxix  Iura villa Vecii

Registro a Catena 2 c. clxx Instrumentum investictionis feudi et iurium de castro et villa Vecii

Vezzi Portio lì 31 novembre 1997

Aggiornamenti:

24 luglio 2002

09 luglio 2003

28 agosto 2004

                                Alesben*

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