Vittorio Pastorelli era nato a Monesi Vecchio (Mendatica) il 28 agosto 1927 nel ‘teccio’ dei giovani genitori Maitin e Taviè. Se n’è andato da taciturno. Dimenticato dai riflettori Tv liguri e media imperiesi nonostante fosse l’ultimo alfiere decano del vecchio borgo trampolino di lancio alla Monesi Nuova (Triora), peraltro decaduta ed impoverita. Vittorio apparteneva alla schiera di chi non credeva più ai farfalloni. Ma non urlava, rassegnato tra i rassegnati al destino della sua cara montagna, autentico testimone di inenarrabili fatiche di un paio di generazioni di monesini veri. Pastori e boscaioli che abitavano in miseri locali senza luce, gas, senza acqua, né strade asfaltate. La fontanella era nel Tanarello dove le mamme e le nonne lavavano anche i panni. I bambini giocavano tra i massi del torrente.
Il mondo è cambiato, ma Monesi Vecchio, dopo gli anni dell’insensato e caotico sviluppo edilizio, dei ‘tecci’ venduti a villeggianti attratti dalla fama e trasformati in seconde case; dopo gli anni di un albergo costruito nuovo e poi chiuso per crisi di clienti; dopo la caserma della Guardia di Finanza (anni cinquanta) trasformata in abitazioni, Monesino è rimasto al palo, assistito da volenterosi cittadini giunti dalla costa. Monesi Vecchio immobile e desolatamente solitario. Tante case, occupate a singhiozzo e per brevi periodi. Annunci di affittasi su gli Affari. La rassegna stampa, per chi ha avuto la costanza di seguirla e custodirla, ha riservato lampi di vana gloria ed illusioni. Tra progetti di piste da scii, tunnel, insediamenti turistici. Pur sempre meno blasonato rispetto alla sorte toccata a Monesi della seggiovia e dello scii, area di pascolo, marmotte e rododendri, dove solo un cittadino aveva il coraggio di raccontare all’amico cronista, dall’A alla Z, ciò che lui aveva vissuto. Le smaccate ingiustizie. Tra politica in gran parte ladrona e dilettanti progettisti che volevano ‘omaggiare’ a suon di cemento e palazzoni, palazzine, lo sviluppo della località, oltre allo scempio già perpetrato, diventato monumento e monito all’incuria, alla desolazione, all’egoismo miope. Guido Lanteri, dai tempi della gioventù in quel di Piaggia (Briga Alta), fino alla sua esperienza negli anni d’oro dell’albergo Redentore e di sindaco che ha meritato l’intitolazione di una strada a perenne memoria e riconoscenza. Ha lasciato la straordinaria ed impareggiabile vedova, le figlie. E un manipolo di ‘cavalieri del lavoro’ e della speranza.
Vittorio Pastorelli, cittadino qualunque, uno di noi, gran nostalgico, ci ha lasciato in punta di piedi, si suol dire e lontano dagli echi. Ha testimoniato in vita avvolto nel silenzio della fierezza delle sue origini montanare. L’orgoglio di chi era cresciuto a pane e bruss, formaggio, ricotta, pastasciutta e minestrone, lumache, fino ad arrivare all’onore del mondo della terza età. Fiero ed orgoglioso del traguardo, dei suoi cari che adorava. Dalle povere fasce colme di ricordi e di sudore, con la coltivazione delle patate, grano, rape; la mietitura del fieno, il bestiame, le malghe. Vittorio, con i sacrifici quotidiani, col risparmio della saggezza, era un piccolo proprietario immobiliare ad Oneglia. A suo modo era l’enciclopedia di chi aveva conosciuto e vissuto i tempi della miseria, dei pastori, del pascolo, delle terribili ferite della guerra e del fascismo, della dittatura. Aveva nella mente e nel cuore i volti, i nomi, le storie di tanti ‘martiri della fatica’, della sofferenza degli ultimi, delle privazioni, delle ingiustizie sociali che hanno accompagnato per decenni tanti mendaighini, ma non solo. Aveva gioito quando Monesi turistica era un via vai di auto, pullaman, gitanti, vacanzieri, appassionati ed ammirati dalla ‘piccola Svizzera’.
L’avevamo intervistato, promettendogli che quei ricordi – testimonianze sarebbero serviti per scrivere “Monesi com’eri“. Teccio per teccio, famiglia per famiglia, gregge per gregge. Poi lungo quel cammino di ricerca ci siamo imbattuti in un testimone (nel frattempo mancato) che aveva vuotato il sacco. Nel bene e nel male, scaturiva un ‘album’ con pagine sconcertanti su ‘verità’ mai emerse. Dagli inizi del ‘900 alla fine del secondo millennio. Persone, eventi, fatti e misfatti, le crudeltà belliche, con pagine agghiaccianti. E non era più possibile cercare riscontri. Vicende a volte amare, con evidenti ricadute sulle comunità, su qualche concittadino diventato illustre. Una scelta poteva essere di riportare le testimonianze ricorrendo all’autocensura, facendo un’eccezione al dovere del giornalista. Chissà se ci sarà ancora tempo. Vittorio regalava la gioia di ritrovarci nel cuore, nei ricordi d’infanzia, un compaesano autentico, semplice. Severo e buono, comprensivo e schietto, sensibile e generoso, austero e riservato, molto legato alla figlia Carla, al genero Nello ammirevole volontario in Croce Bianca, al nipote Davide, alla piccola Luisa. Alcune decine di persone hanno partecipato ai funerali, l’hanno accompagnato, abbracciandolo per l’ultima volta nel sonno eterno. Vittorio, seduto sulla panchina – muretto davanti al Municipio del paese, a scrutare, osservare, salutare gli amici, ci mancherà, come il suo sguardo benevolo, ora triste, ora pensieroso. Abbiamo smarrito un amico. (L.C.)