Da oltre dieci anni su proposta del governo italiano, esiste un accordo con l’Unesco per un appoggio militare sotto forma di Caschi blu per difendere il patrimonio culturale mondiale, ribadito pochi mesi fa con una analoga iniziativa presentata all’assemblea generale dell’ONU.
Di fronte alla continua e sistematica distruzione delle testimonianze culturali, prima in Afganistan e poi in Siria, Iraq, Libia e Yemen, l’alto rappresentante Unesco, Mounir Bouchenar , mentre da un lato denuncia la folle volontà di gruppi criminali, di distruggere la memoria e il rapporto dei popoli con il loro passato, dall’altro rilancia il progetto italiano.
In realtà l’elenco delle opere e dei luoghi, Patrimonio mondiale dell’umanità, rischia di rimanere tale, se non si fa nulla per difenderli concretamente.
A tal fine l’ambasciatore Francesco Caruso ( già rappresentante italiano all’Unesco ) rivendica il “diritto all’ingerenza culturale” oltre a quella umanitaria già praticata nel mondo dalla Croce Rossa e dal Unhcr.
Tutte considerazioni totalmente condivisibili, anche oltre le notevoli difficoltà di attuazione che queste meritevoli iniziative incontrano nella loro realizzazione.
Tuttavia se passiamo alla scala Nazionale, dove è risaputo esiste la gran parte del patrimonio mondiale delle testimoniaze culturali e sebbene non vi agiscano le organizzazioni terroristiche, il problema della loro difesa esiste lo stesso per altre cause, sia a livello qualitativo che ancor più su quello della quantità delle opere.
Molte delle testimonianze della nosta cultura materiale continuano a crollare per abbandono e incuria dovute alla mancanza di risorse, ma anche a causa di un sistema di tutela non ottimale, probabilmente troppo burocratizzato e poco partecipativo, che non utilizza appieno le notevoli risorse insite nella comunità.
Eppure localmente i Caschi blu della cultura esistono già e sono disponibili, sotto forma di Associazioni, Comitati e singoli cittadini, armati dell’articolo 9 della Costituzione e della determinata intenzione di salvare le opere che testimoniano le loro radici e la storia delle collettività dei loro avi, che le hanno costruite.
Infatti sono in particolare ad altissimo rischio le costruzioni “minori”, situate lungo le strade o i borghi abbandonati, o alle periferie dei centri abitati, quelle che finiscono in fondo alle liste di attesa degli interventi di salvaguardia.
Peraltro la loro dimensione modesta e la semplicità della tipologia costruttiva, da un lato non sminuiscono il loro valore storico e culturale talvolta anche millenario, mentre dall’altro si prestano a interventi meno onerosi e di minore difficoltà.
Ma per essere veramente inseriti nel filone degli interventi di salvezza dal crollo per abbandono, occorre creare quelle procedure virtuose, di collaborazione e di urgenza, che purtroppo solo in alcuni casi vengono talvolta attuate, quasi sempre per iniziative spontanee popolari, quando vengono sostenute e facilitate dalle Amministazioni Comunali o Religiose proprietarie dei beni, per l’espletamento delle pratiche mirate ad ottenere con celerità le necessarie autorizzazioni delle Sprintendenze.
Per quanto riguarda la carenza di risorse Pubbliche disponibili, i cittadini gli enti privati e le organizzazioni civili, offrono spesso con generosità denaro e competenze pratiche adeguate per molti interventi indispensabili, si tratta di ottimizzarli concretamente.
Esemplare è il caso di Mallare dove è iniziato il restauro di due chiese, con queste modalità, mentre a Noli con una mobilitazione dello stesso genere per salvare la chiesetta romanica di San Michele, molti cittadini chiedono di affiancare il Comune nelle urgenti operazioni di manutenzione.
Questo sarà il tema di un incontro pubblico sabato 21 novembre alle ore 17 nella sala Consigliare.
Giovanni Maina