Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Amianto anche in Val Bormida, parla il presidente Meinero. Il primo caso fu all’Acna


L’attenzione sulla questione Amianto, sul processo di Casale Monferrato, ha sollevato anche nella nostra provincia varie prese di posizioni, in particolare in Val Bormida, territorio a intensa industrializzazione fino pochi decenni fa. Ne parliamo con Gianpietro Meinero, ex sindacalista della CGIL , per anni Presidente dell’INAIL e poi dell’INPS delle sedi Provinciali di Savona, ma soprattutto Direttore dell’INCA di Savona, dal 1994 al 2004 e tutt’ora collaboratore per le Malattie Professionali, settore nel quale ha maturato anche a livello regionale e nazionale un’esperienza diretta sui danni che le lavoratrici e i lavoratori hanno contratto a causa dell’esposizione ad agenti chimici e cancerogeni.

Oggi l’attenzione si sta concentrando sul rischio Amianto, quale è secondo te la reale situazione.

Gianpietro Meinero fiduciario Slow Food Alta Valle Bormida e Riccardo Mendi, innestatore di piantine

La situazione è molto complessa e molto delicata e non si può liquidare con qualche battuta, intanto parlare di amianto significa parlare dei danni che ha determinato e ancora oggi determina questo materiale cioè, le asbestosi, i tumori ai polmoni , i tumori alla pleura e al peritoneo , in questo caso definiti Mesotelioma pleurico e Mesotelioma peritoneale. Se poi pensiamo che la latenza fra l’esposizione e la manifestazione della patologia in particolare per i Mesotelioma, è stimata mediamente fra i 30/40 anni stiamo parlando delle attività a rischio di molti anni addietro. Ma come tutte le medie anche in questo caso vi sono varie differenze nell’arco temporale, ho visto casi di insorgenza della patologia anche a distanza di soli 25 anni dalla esposizione certa come altri casi con una distanza di 45 anni

In che settore operavano i lavoratori che hai seguito e che hanno contratto il Mesatelioma

I casi di mesotelioma pleurici riconosciuti in questi anni dall’INAIL di Savona come origine professionale certa, riconducono ad una attività con esposizione all’asbesto fine anni 70 inizio anni 80 e sono lavoratori dei più disparati settori, portuale, trasporto, chimica, edilizia, vetro , ceramica e metalmeccanica.

Quando è stato il primo caso di Mesotelioma che hai seguito

Ricordo che il primo in assoluto era un tubista dell’ACNA (anni 90) era poco prima di assumere l’incarico di Direttore dell’Ente di Patronato a cui da alcuni anni fornivo consulenza tecnica in quanto lavoravo ad un progetto della CGIL Nazionale, Tecnologia & Salute.(*)

Da allora, due , tre casi all’anno , che purtroppo ancora oggi seguo con la stessa passione e delicatezza mi fanno riflettere su come possa accadere che dal mattino alla sera venga diagnosticata questa terribile patologia a persone, spesso amici o conoscenti che fino a pochi mesi prima ( a volte settimane) non accusavano nessun tipo di disturbo da far pensare al Mesotelioma

Da alcune parti viene sollecitata la creazione di un registro dei Mesoteliomi cosa ne pensi

Forse non sono molti a sapere che esiste il ReNaM ovvero il Registro Nazionale dei Mesoteliomi, che trova nei COR (Centri Operativi Regionali) lo strumento di monitoraggio territoriale, ad esempio nella
Regione Liguria: 4 province (popolazione 1.600.000 abitanti) è attivo presso l’IST .

Il COR Liguria è parte del Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM); con altri COR Mesoteliomi regionali partecipa alla descrizione dell’incidenza nazionale del mesotelioma maligno (MM), individuando e studiando le esposizioni ad amianto in ogni singolo caso di MM, ma anche studiare il mesotelioma maligno nelle sue principali localizzazioni (pleura, peritoneo, pericardio, tunica vaginale del testicolo) nei pazienti residenti nella Regione Liguria.

Non c’è quindi nulla da creare , esiste , sono disponibili rapporti e pubblicazioni specifiche, oltre ai dati relativi ai casi (anche nominativi) registrati oggetto della rilevazione sul territorio attraverso i Servizi di Anatomia Patologica pubblici e privati. Il Sistema degli Archivi Ospedalieri pubblici, cliniche private, reparti universitari (Cartelle Cliniche). In particolare i reparti di chirurgia toracica e di pneumologia. Archivi delle schede di dimissioni ospedaliere (SDO) .Registri di Mortalità delle Unità Sanitarie Locali ( tramite la scheda ISTAT) Servizi di Medicina del Lavoro.

Ma anche in questo caso la completezza e attualità del ReNaM è da mettere in relazione alle risorse dedicate e pertanto i dati complessivi potrebbero essere sottostimati, ma ripeto per quanto riguarda i danni asbesto correlati il Registro esiste , magari si tratta di verificarne la piena attuazione, cosa che invece, è quantomeno per usare un eufemismo “carente” l’implementazione del RNMP (Il registro nazionale malattie professionali )

 Puoi spiegarti meglio.. di che si tratta

Il RNMP ( da non confondere con il ReNaM) era stato Istituito con il decreto legislativo n. 38/2000. Con tale disposizione il legislatore ha inteso creare, presso l’INAIL ,un “punto” centrale di raccolta di informazioni sulle caratteristiche e dimensioni del fenomeno tecnopatico nel suo complesso per la diffusione e la circolazione delle conoscenze tra i soggetti operanti nel settore. Il Registro, quale osservatorio delle patologie di origine lavorativa, potrebbe garantire la piena tutela assicurativa per le malattie la cui origine professionale risulta nota e costituirà uno strumento per superare il divario tra le malattie denunciate all’Istituto e le previsioni statistico-epidemiologiche relative alle malattie di origine professionale che dà luogo al fenomeno delle malattie perdute. Potrebbe, altresì, contribuire ad evidenziare nuove malattie ad oggi sconosciute per insufficiente circolazione di informazione o a causa di carenza di conoscenze scientifiche ed epidemiologiche.

Inoltre, sul piano della tutela prevenzionale del fenomeno tecnopatico, il Registro potrebbe contribuire in modo determinante al raccordo di tutte le informazioni contenute nelle banche dati disponibili presso gli Organismi istituzionali, competenti in materia assicurativa, prevenzionale, previdenziali, ecc, finalizzate alle rispettive funzioni e, superando la frammentarietà delle conoscenze, potrà costituire ulteriore strumento di supporto alle azioni finalizzate al miglioramento della sicurezza negli ambienti di lavoro.

Non solo; potrebbe/dovrebbe diventare uno strumento utile anche per i riconoscimenti da parte dell’INAIL delle molte malattie da “lavoro” oggi non riconosciute anche per una scarsa evidenza dei singoli casi.

Chi dovrebbe implementare questo Registro

Il Registro dovrebbe essere “alimentato” dalle denunce/segnalazioni previste dall’art.139 del Testo Unico (DPR n.1124/1965). Detto articolo sancisce l’obbligo per ogni medico che riconosca l’esistenza di una delle malattie professionali indicate in un apposito elenco, approvato con decreto ministeriale, di effettuarne la denuncia anche se il lavoratore che ne è affetto non è soggetto alla tutela assicurativa INAIL ed anche senza l’espressa volontà del malato. E’ bene ribadire che la denuncia segnalazione è un atto che ha finalità totalmente diverse dalla certificazione medica allegata alla denuncia di cui all’art.53 del T.U. (DPR 1124) la quale come già richiamato attiva il procedimento per l’eventuale riconoscimento della tutela assicurativa.

Come mai questo non avviene

Provo a rappresentare le cause utilizzando un documento dell’INAIL

Scarsa conoscenza dell’obbligo di denuncia/segnalazione ai sensi dell’art.139 T.U. – tale norma, nonostante la sua obbligatorietà e la sua sanzionabilità, è applicata in modo disomogeneo sul territorio nazionale e non esiste una diffusa conoscenza di tale obbligo, nonché delle sue finalità, tra gli operatori interessati (i medici di base, ospedalieri ecc.).

Assenza di una modulistica uniforme sul territorio – l’assenza dell’obbligo all’utilizzo di un unico modulo per la denuncia/segnalazione comporta un’alimentazione disomogenea del Registro con il rischio di informazioni eccessivamente dettagliate o troppo generiche e, in ogni caso, difformi sul territorio.

Complessità nel flusso di trasmissione della denuncia/segnalazione al Registro – allo stato sul territorio il flusso di trasmissione di dette denunce/segnalazioni, fra medici certificatori e i destinatari istituzionali, risulta piuttosto complesso e differenziato anche nell’ambito delle stesse realtà territoriali e, quindi, poco funzionale all’alimentazione del Registro”

Questioni condivisibili ma che non giustificano nella nostra Regione, l’assenza a volte totale della denuncia/segnalazione da parte di medici ospedalieri di patologie di evidente e indubbia alta probabilità della origine professionale.

E’ il caso di Tumori polmonari, per rimanere in ambito di patologie asbesto-correlate, oppure Tumori vescicali in ambito di esposti ad amine aromatiche.

Ad oggi sono veramente poche le segnalazioni, fatta eccezione ovviamente dei casi che sono stati oggetto di denuncia per il riconoscimento della malattia professionale.

In merito ai Mesotelioma quanti casi pensi ci siano (tra quelli che segui tu e altri, in Vb, e che fabbriche riguardano)

Il numero esatto dei casi di Mesotelioma che si sono evidenziati non mi è noto, credo che però una stima basata sull’incrocio di diverse banche dati mi consente di dire che siamo molto sotto i 20 casi all’anno per tutta la provincia di Savona. Se prendiamo i dati ufficiali pur in ritardo di alcuni anni del registro RE.NA.M del IV Rapporto Pubblicato nel 2012 relativo alla casistica con incidenza fino al 2008, troviamo che in Italia negli anni dal 1993 al 2008 sono stati segnalati 15845 casi , in Liguria dal 1994 al 2008 ( 15 anni) i casi segnalati 1897 con una incidenza del 12%,(terzi dopo il Piemonte con il 18% e la lombardia con il 17,75-) sempre in Liguria troviamo che i casi segnalati nel 2006 sono stati 178 e nel 2008 , 147.

In Liguria , Genova e alcuni comuni limitrofi e La Spezia sono fra i 12 comuni italiani (su 8000) che le segnalazioni rientrano in una forbice da 165 a 952 casi nei 15 anni osservati. Nella nostra provincia, troviamo il comune di Savona e alcuni comuni della Valle Bormida collocati fra i 125 comuni italiani (su 8000) dove le segnalazioni rientrano in una forbice da 14 a 165 casi nei 15 anni osservati. (vedi immagine a sn)

Sono tanti, sono pochi? Anche uno solo è troppo, se poi mettiamo il dato complessivo dei mesotelioma con i tumori ai polmoni, alla vescica, di origine professionale certa , questa patologia va a collocarsi in fondo alla graduatoria, ripeto però che anche solo uno rappresenta una morte causata dall’assenza di una prevenzione primaria, ovvero la non esposizione.

Non si può parlare tanto di fabbriche ma di singole attività svolte in diversi settori, al primo posto quelle attività dove come nel caso dei manutentori meccanici o edili utilizzavano massicciamente asbesto, così come anche altre attività nell’industria chimica, del vetro e in particolare della cantieristica industriale, civile e navale.

 Parliamo allora anche di malattie professionali e dell’INAIL

Anche qui una premessa, la malattia professionale (detta anche “tecnopatia”) è la patologia che il lavoratore contrae in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa a causa delle presenza di fattori presenti nell’ambiente nel quale presta servizio. I fattori possono essere sostanze chimiche ma anche fattori fisici, dalle tecnopatie da movimentazione manuale dei carichi , passando per il rumore e le vibrazioni fino alle sostanze cancerogene.

Per alcune malattie esiste la presunzione legale che è stata la lavorazione e/o attività svolta a determinare la malattia, per altri occorre che sia il lavoratore a dimostrare che si è ammalato o subito danni a causa dell’attività svolta. I lavoratori hanno diritto di farsi assistere in questa ardua impresa dagli Enti di Patronato che forniscono al lavoratore gratuitamente la consulenza amministrativa, tecnica e medica. ( a questo proposito l’ipotesi di togliere risorse ai Patronati determinerebbe un danno a tutto il sistema della tutela)

E sull’INAIL?

Sono troppi anni che non seguo direttamente le vicende dell’Istituto , so che è attualmente in corso una profonda ristrutturazione e, come in tutti i processi di questo tipo vengono messi in gioco diverse funzioni e strategie forse gli obiettivi , non entro quindi nel merito, mi limito, questo si, a rilevare segnali preoccupanti, un esempio per tutti, negare il riconoscimento di malattia professionale ad un ex lavoratore dell’ACNA che dopo 30 anni di attività in fabbrica ha contratto un carcinoma vescicale.

 Ad alcuni ex lavoratori Acna è stato riconosciuto il rischio amianto, ad altri il rischio chimico.. E’ vero? Come mai questa differenza, e tradotta in soldoni che cosa comporta?

Con la legge 257/92 all’art. 13, comma 8 era stato previsto che tutti i lavoratori per i quali veniva accertata la esposizione all’amianto, potessero godere di un bonus previdenziale consistente nella maggiorazione contributiva pari al 50% del periodo di esposizione, ovvero a un lavoratore con 20 anni di esposizione venivano accreditati 10 anni di contributi, chi ne aveva 30 un bonus di 15, i requisiti erano di avere almeno 10 anni di esposizione (520 settimane piene) e ovviamente l’attestazione di avvenuta esposizione rilasciata dall’INAIL sulla base di un parere della CONTARP – la Consulenza Tecnica dell’INAIL oppure in base a specifici atti di indirizzo Ministeriali.

Per l’ACNA, ma anche per molte altre aziende la CONTARP aveva negli anni 2000 fatto diverse consulenze individuando con parere positivo, alcune mansioni specifiche, ad esempio all’ACNA i manutentori edili, meccanici e elettrici, determinando una situazione nella quale alcuni lavoratori potevano usufruire del bonus e altri no, inoltre la questione del requisito delle 520 settimane di esposizione penalizzava chi magari pur avendo la sua mansione fra quelle positive non avesse i 10 anni ( ricordo casi in cui il bonus veniva non riconosciuto perchè l’esposizione era solo di 518 settimane)

Nel 2003 grazie all’azione dell’ALA ( Associazione Lavoratori ACNA) dopo una intensa attività di coinvolgimento di alcuni Parlamentari fu approvata dal Parlamento una legge la n° 350 del 24 dicembre 2003, n. 350, ( la cd legge Rischio Chimico) la quale all’articolo 3, comma 133. prevedeva che TUTTI lavoratori dello stabilimento ex ACNA di Cengio, hanno diritto al beneficio previdenziale consistente nella moltiplicazione del periodo di esposizione per il coefficiente di 1,5, sia a fini del diritto che della misura del trattamento pensionistico, precisando che “la disciplina applicabile, ai fini della individuazione del contenuto del beneficio previdenziale, è quello dell’articolo 13, comma 8, della legge n. 257/1992 , ovvero in beneficio AMIANTO.

Il beneficio del rischio Chimico è dunque identico a quello del beneficio Amianto ma con un grande vantaggio l’assenza del requisito dei 10 anni di esposizione, e pertanto chi ha lavorato all’ACNA un anno ha avuto o avrà sei mesi di bonus chi 6 anni 3 anni di bonus e così via. Da sottolineare che a nessuna altra azienda chimica in italia è stata estesa tale normativa. 


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