Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Il vero cammino di San Pé in Val Bormida


La strada per arrivare in Lavà, passato il Ponte Romano, si inerpica per il fianco del monte, come scavata nella marna azzurra dalla pioggia e anticamente dal transitare dei muli in fila indiana, che venivano dal porto di Savona, sia di giorno che di notte; quasi in cima alla salita vi era l’officina del maniscalco e il posto di cambio dei quadrupedi.

 

I muli silenziosi delle carovane di trasporto salivano allegramente l’ultimo tratto di strada, quindi entravano quasi di corsa nella stalla dove gli veniva tolto il basto e le mercanzie destinate al vicino Piemonte. Potevano bere e mangiare la loro biada nella stazione di cambio mentre altri muli freschi venivano caricati del loro basto e dei sacchi di merce, subito partivano per Cortemilia e Alba.

Un po’ prima di svoltare nella strada di Lavà, vi era un tempo la chiesetta di San Pè, San Pietro, me lo ricordava nonna Maria mentre salivamo la mulattiera; sulla punta del monte ancora si trova la spoglia chiesetta di San Giovanni dei Vigneroli.

Ero salito da bambino nel posto dove c’era ancora qualche pietra di muro e la nonna dalla strada che sale mi confermava come una brava maestra che quelle erano proprio le ultime tracce della chiesetta di San Pè. Ma ora che ci ripenso, si trattava forse di una chiesetta di san (Am)pè, ossia Ampelio, il protettore dei maniscalchi? Per me questa strada in salita tra le colline di marna azzurra era il vero cammino di San Pè verso il cielo e l’ultima tappa terrena era la chiesetta di San Zuan, lassù in cima al monte…

Me la immaginavo come una grande reliquia dei nostri avi volatizzati e certo vi saranno state da qualche parte anche le orme dei sacri piedi di San Pè quando aveva fatto il salto verso il cielo. Sentivo poi parlare dai nonni dei Vigneroli, il piccolo paesino dall’altra parte del monte di San Giovanni, abitato in passato da esseri umani ormai tutti morti e sicuramente saliti in cielo assieme a San Pietro (1) della chiesetta di cui avevo trovato qualche traccia. Me li immaginavo alti e vestiti di scuro, con il cappello come il nonno, muoversi silenziosi tra le case, spostarsi senza peso da una stanza all’altra come in visita di cortesia. Guardavo sempre con interesse e curiosità questa ripida salita e ogni pietra che incontravo ai lati della strada aveva una sua particolarità che dovevo assolutamente osservare e interpretare, era per me un segnale, un reperto che non potevo portar via ma ricordare dov’era.

Chiedevo informazioni allo zio Mario e a mio padre che mi sembravano reticenti e sommari, pensavo che non volessero rivelarmi il segreto dei Vigneroli o che non potessero. Ma era un racconto che ad ogni richiesta si arricchiva di qualche particolare, dovevo solo aver pazienza e chiedere quando l’occasione si presentava. Una volta venne fuori casualmente che la casa di Lavà era stata la Casa degli Abissi e che vi era scritto anche il suo destino sul muro: fame, fumo, freddo… Ma chi l’aveva scritto? Il suo vecchio proprietario che doveva essere stato un poeta e un burattinaio del paese.

Poi vi era stata anche una conclusione drammatica, quasi una maledizione per chi avesse abitato la casa: oltre alla fame, il fumo se il camino non tirava, ovviamente il freddo se il fuoco si spegneva, ora anche “miseria e povertà”. Queste due parole erano proprio terribili e mi consolava solo il fatto che fossero passati tanti anni da quando erano state scritte e poi non vi erano più sul muro della cascina…Certo dovevano essere stati anni terribili come quando un vecchio del paese, stanco di vivere e di tribolare, il Bocia, che aveva lavorato anche di notte a fare mattoni e coppi nella Fornace alla Moglie, aveva dato al nonno un coltello e gli aveva detto: “Pinén ti do mille lire se mi ammazzi.”

Il nonno gli aveva risposto di cercare un altro disperato che lui non uccideva i cristiani. Conclusi che il nonno era stato un fifone e il povero Bocia sarà morto di fame o di malattia, a meno che non avesse trovato un uomo coraggioso che lo avesse pugnalato al petto. Chiesi al nonno se il Bocia fosse poi morto accoltellato ma lui mi disse di no.

Bruno Chiarlone Debenedetti

(1) Dal catasto di Rocchetta di fine secolo XIX si evince un “San Pietro del Ponte” che sarà certamente quello del Ponte Romano di cui parlava la nonna Maria Carle in Chiarlone almeno sessant’anni fa.

 

 


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B. Chiarlone

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