convegno, promosso dalla sezione del ponente ligure del Centro Pannunzio e dalla la F.I.V.L. – Associazione Volontari della Libertà Liguria, sul tema: “Il contributo delle Forze Armate e delle donne alla Resistenza”. L ‘evento è stato coordinato da Marco Servetto, responsabile della sezione del Ponente ligure del Centro Pannunzio. Nella mattinata precedente aveva curato l’organizzazione di una commovente cerimonia di deposizione di un mazzo di fiori al sacrario dei Martiri della Foce. Un omaggio ai Vittime della follia nazifascista. Altri fioriuo al Monumento ai Caduti di tutte le guerre. Ha presieduto i lavori Lelio Speranza, vice Presidente Nazionale F.I.V.L. – Presidente Associazione Volontari Libertà Liguria (A.V.L.L.).
Nella sala, gremita, folta è stata la partecipazione della cittadinanza, dell’associazionismo cittadino e delle Autorità civili e militari. Erano fra gli altri presenti: il Generale di Brigata Odello, in servizio a Roma presso lo Stato Maggiore Esercito; il T.V. (CP) Alessandro GUERRI, comandante dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Alassio; il capitano Michele Morelli del Nucleo operativo dei Carabinieri della Compagnia di Albenga; le rappresentanze della Compagnia di Albenga della Guardia di Finanza, delle sezioni ingaune dell’Associazione Arma Aeronautica (A.A.A.) e dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I); nonché Mauro Zunino, presidente dell’Aero club Savona e Riviera ligure; e Gianfranco Cagnasso, Vice presidente dell’Istituto storico per la Resistenza di Savona e vicepresidente all’A.V.L.L..
Dopo gli indirizzi di saluto, su delega del sindaco di Albenga Rosy Guarnieri, dall’Avv. Massimiliano Nucera, Vice Sindaco di Albenga, dall’Assessore provinciale, Roberto Schneck, incaricato dal Presidente della Provincia di Savona, Angelo Vaccarezza, ed, infine, dal Generale di Brigata, nuovo Comandante del Comando Militare Esercito Liguria Francesco Patrone, originario di Ceriale, ha avuto luogo l’introduzione del Comandante Lelio Speranza. Dalle sue accorate parole è risaltato, forte e chiaro, l’alto valore storico delle iniziative che si prefiggono di ridare luce alle gesta degli Uomini e delle Donne della Resistenza, appartenenti ad un vasto complesso di forze che senza esclusione comprendeva tutte le ideologie antifasciste e le classi sociali. Tutti si ponevano come primo obiettivo quello di liberare l’Italia dal regime e da una dominazione straniera.
Un insieme di pagine vibranti, non certo di retorica, ma di intensa passione civile, morale ed umana, che è doveroso ripercorrere, oggigiorno, con il necessario distacco critico – proprio della storia – e quindi senza enfasi celebrative. Si è proceduto, quindi, alla cerimonia di consegna di un attestato di benemerenza F.I.V.L. al Generale di Brigata Riccardo Bilotti, il quale dal termine del servizio attivo nelle Forze Armate, con zelante impegno si dedica ad innumerevoli iniziative di stampo civile e sportivo nel comprensorio albenganese. Sono dopo seguite le due relazioni in programma.
La prof.ssa Mina Bencardino, della Commissione Cultura della F.I.V.L., docente di Italiano e Storia presso l’Istituto Comprensivo di Vado Ligure (SV), ha tracciato le linee essenziali del ruolo avuto dalle donne nella Resistenza, traendo tra l’altro spunto da lavori di approfondimento svolti in classe dai ragazzi della scuola dove insegna: http://www.braviautori.com/il-ruolo-delle-donne-durante-la-resistenza.html
Fonti attendibili attestano che la componente femminile che partecipò alla Resistenza Italiana fu molto elevata. Un apporto consistente, cominciato fin dagli inizi della lotta partigiana, fino all’aprile del 1945, quando vi fu la liberazione dell’Italia, che, purtroppo, per decenni a livello storiografico ed istituzionale non è stato sufficientemente riconosciuto, scontando una visione limitata, per la quale anche la Lotta di Liberazione veniva declinata al maschile.
Sulla scorta di dati forniti dall’ANPI: le donne partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della Donna. 4653 di loro furono arrestate e torturate, oltre 2750 vennero deportate in Germania, 2812 fucilate o impiccate. 1070 caddero in combattimento, 19 vennero, nel dopoguerra, decorate di Medaglia d’oro al valor militare. In seguito alla lettura di questi tragici numeri, per rendere l’onore dovuto alle Donne, ai Combattenti e ai Caduti per la libertà, ha fatto il suo ingresso in sala il Gruppo Bandiere, con due vessilli tricolori simbolo dello spirito patrio e delle tradizioni alle quali la F.I.V.L. si ispira.
Angelo Mercandelli, Alfiere della FIVL, sezione di Albenga, portava la bandiera della F.I.V.L., mentre la sua consorte, Maria Aschero, rappresentante femminile della “Associazione Familiari dei Caduti”- “AVL Liguria”. Si tratta della sorella di Attilio Aschero, fucilato dai nazifascisti il 18 febbraio 1945, lasciato cadavere incustodito per oltre un mese alla foce del fiume Centa, ad Albenga; accompagnava la bandiera combattimento del Corpo Volontari Libertà – Divisione Fumagalli, dal periodo degli eventi bellici gelosamente custodita dal presidente Lelio Speranza. Dopo lungo tempo tornata ad essere esibita in sede pubblico per la speciale occasione.
Davanti alla platea, alzatasi in piedi, il Ten. Antonio Rossello, primo Alfiere e Presidente della F.I.V.L., ha impartito gli ordini, facendo osservare un minuto di raccolto silenzio. E’, dunque, ripreso l’intervento di Bencardino, la quale ha riscontrato che alla fine del conflitto si tentò di quantificare e di valutare l’entità della lotta di Liberazione.
In quest’ottica, i dati ufficiali prima enunciati non sono certo scevri da criteri di attribuzione puramente militari, non tenendo in debita considerazione forme ulteriori, ma non per questo di secondaria importanza, con cui le donne parteciparono al movimento resistenziale. In altri termini, si può correre il rischio di dimenticare tutto il lavoro di assistenza, di soccorso e sostegno fisico e morale di tutti coloro che non presero mai le armi in mano. Liberando questi frangenti dall’oblio, e a volte persino dagli studiati silenzi che li hanno circondati, per questi motivi si può addirittura arrivare a parlare di “Resistenza taciuta”.
Attraverso una più seria capacità di storicizzare, solo oggi, ci si può rendere conto come donne nella Resistenza Italiana, lasciati i propri tradizionali compiti sociali lottarono per riconquistare la libertà e la giustizia del proprio paese, ricoprendo funzioni di primaria importanza. In tutte le città le donne partigiane lottavano quotidianamente per recuperare beni di massima necessità per il sostentamento dei compagni. Con gruppi organizzati di donne che svolgevano propaganda antifascista, raccoglievano fondi, assistenza ai detenuti politici ed erano impegnate nel mantenimento delle comunicazioni oltre che nelle operazioni militari.
Donne semplici, animate da un forte senso antifascista e dal desiderio di cambiare la società. Ad esse va tributato il merito di aver operato secondo il richiamo agli ideali di patria e libertà, lungo una linea in continuità tra primo e secondo Risorgimento, prodromi della successiva stagione dell’Europeismo. Tanto che si può affermare che, a partire dalla lotta di Resistenza e dalla Costituzione del 1948, le donne si trasformano in soggetti storicamente visibili.
La Provincia di Savona è stata teatro di efferati episodi, durante i quali rivoli di sangue femminile venne sparso per via della barbarie nazi-fascista. Eccone alcuni. Luciano Luberti, il tristemente noto “Boia di Albenga”, protagonista di torture e assassinii di prigionieri, tra i quali diverse donne, dentro al bunker presso la foce del fiume Centa, sulle pareti del quale il 10 giugno 1946 venne apposta una lapide da parte dell’Unione Donne Italiane (U.D.I). Tra le tante che seppero dimostrare le loro innate qualità di coraggio , di fermezza d’ animo , di spirito di sacrificio durante la lotta di Liberazione, al caro prezzo della vita, due in particolare sono state ricordate con l’intitolazione di vie e scuole. La prima è Ines Negri, nata a Savona l’8 ottobre 1916, la quale, subito dopo l’armistizio entrò nei Gruppi di difesa della donna, divenendo staffetta partigiana; fu arrestata ad Albisola Mare, nei pressi di Villa Faragiana, mentre accompagnava in montagna militari della “San Marco”; uccisa a Savona il 19 agosto 1944. Clelia Corradini, invece, nacque a Vado Ligure nel 1903. Militante attiva al fianco del figlio in montagna, animatrice insostenibile del movimento partigiano e fiera responsabile del Gruppo di Difesa delle Donne, di cui localmente mise in piedi l’organizzazione, inoltre coordinò la raccolta fondi per i partigiani e diffuse materiale propagandistico, specie in occasioni di scioperi. Denunciata, arrestata e condannata, dopo aver subito minacce, sevizie e torture, per poterle strappare i nomi delle sue compagne e dei suoi compagni, venne giustiziata il 24 agosto 1944.
Un’altra martire, invece, già si trova sul terzo dei quattro gradini necessari per gli Altari. E’ Teresa Bracco, ventenne, la quale, il 28 agosto 1944, sui monti di Santa Giulia (Dego), durante una tragica rappresaglia tedesca, confermò col sacrificio della vita la fedeltà del suo amore a Cristo. Un sacrificio eroico, non improvvisato. La sua maturazione spirituale avvenne sotto la guida del parroco don Natale Olivieri, nella semplicità della vita dei campi e delle faccende domestiche. La beatificazione di Teresa Bracco risale al 24 maggio 1998 a Torino, durante la Santa Eucarestia presieduta dal Papa Giovanni Paolo II. Nelle sue conclusioni la professoressa Bencardino ha proposto alcune considerazioni personali, legate a ricordi di infanzia in una famiglia che vanta membri fra le fila dell’Arma dei Carabinieri e dei Volontari della Libertà.
La parte finale del convegno è stata incentrata sulla relazione, ampia e d’alto profilo, del Prof. Pier Franco Quaglieni, storico contemporaneista, direttore del Centro “Pannunzio” e presidente della sezione di Alassio e Laigueglia della F.I.V.L., il quale ha toccato il tema delle Forze Armate nella Resistenza. In apertura, Quaglieni ha espresso il proprio personale sconcerto in merito alla querelle sui funerali di Erich Priebke, l’ex ufficiale nazista condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine e morto a 100 anni a Roma la scorsa settimana e in questi giorni è giunta alla ribalta delle cronache nazionali.
Si è addentrato, quindi, nell’analisi del contributo dato dalle Forze Armate – ossia dai soldati che combattevano in divisa, con le stellette, e sotto la bandiera dei corpi armati del Regno d’Italia, per fedeltà a un giuramento e alla Patria – alla Guerra di Liberazione dal nazifascismo dall’ 8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. Le varie fasi furono contraddistinte dalla cobelligeranza con gli Alleati, come dalla Resistenza armata di militari, sottoufficiali e ufficiali, che costituirono, con altri patrioti, formazioni partigiane o entrarono a far parte di quelle già esistenti; senza trascurare gli oltre seicentomila soldati e ufficiali internati nei campi di concentramento, per aver rifiutato la collaborazione con i tedeschi e non aver aderito alla R.S.I.<
Da qualche anno in Italia si sono aperti nuovi studi storici, che hanno evidenziato le carenze della storiografia dominante sul tema della Resistenza. Tra gli intellettuali impegnati su questo fronte, merita menzione il recentemente scomparso Raimondo Luraghi, insigne studioso di storia militare e specialista della guerra civile americana, professore emerito di storia americana dell’Università di Genova e membro di importanti organismi a livello internazionale dediti alla Storia Militare. Fu diretto protagonista entrando nelle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà, conquistando la medaglia d’argento al valore militare sul campo.
Che la Resistenza avesse molto da dire alla storia lo si sapeva da tempo, seppure in Italia la sua lettura in chiave eccessivamente ideologica e strumentale sia stata un limite che ha soffocato la ricerca della verità. L’auspicio è che in futuro emerga una riflessione storica serena, come raramente accade a chi scrive, che elimini le tossine della faziosità che ancora oggi imperversano. Anche i fatti dell’8 settembre 1943, i quali presero le mosse dall’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre 1943 tra il generale Castellano e gli Anglo-americani, consegnando a moltitudini di Italiani la speranza effimera della fine della guerra, sono stati talora descritti secondo una prospettiva opinabile.
Ad esempio, nel rilevante filone filmografico, su antifascismo e Resistenza, che si sviluppò negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, non mancano visioni stereotipate dello sbandamento totale dei reparti militari italiani, che presentano un quadro parziale e semplicistico degli avvenimenti reali. Su questa improbabile falsariga si trova anche un film, considerato tra i migliori di Comencini, “Tutti a casa”, nel quale Alberto Sordi, nella parte di sottotenente ligio ai superiori, dopo l’8 settembre 1943, non vedendo arrivare ordini, scioglie le fila del suo reparto mandando tutti a casa. Non fu così per molti militari, che in quei giorni incominciarono la lotta armata per esclusivo effetto del giuramento prestato al Re.
Ecco perché vanno ricordati l’eroismo della Divisione Acqui a Cefalonia, il contributo alla Guerra di Liberazione dell’Esercito regolare del Regno del Sud e la scelta coraggiosa dei soldati internati in Germania, equiparabili, ad ogni effetto, con i resistenti. La Resistenza fu un movimento nazionale di libertà che investì l’Italia dopo venti anni di dittatura , esprimendosi in forme e modi diversi: tutti questi valorosi ne furono primari interpreti. Sono momenti del nostro passato da rileggere senza mitizzazioni e senza pregiudizi negativi che deformano la realtà. In parte, certi eventi, come il colpo di Stato del 25 luglio e la “fuga di Pescara”, richiedono ulteriore acquisizione documentaria e, perciò approfondimento storico.
In quest’ottica, può ritenersi un giudizio arbitrario quello di uno studioso di rango come Ernesto Galli della Loggia, quando parlò dell’8 settembre come del giorno che sancì la “morte della Patria”. Un’idea di Patria totalmente diversa, di un popolo che voleva guadagnare la propria libertà sul fascismo nel nome della democrazia, ma che si appellava all’endiadi alfieriana e risorgimentale con la libertà, rinacque in montagna proprio dopo l’8 settembre.
Dopo ventanni di retorica totalitaristica, il Tricolore ritornò insegna dei nuovi ideali a cui Costituzione del 1948 diede pieno riconoscimento: valori di libertà, di democrazia e di pace che hanno retto, bene o male, le sorti della nostra Repubblica. Fu allora che, le grandi doti di onestà, lealtà, correttezza e umanità, di uomini, molto spesso ascrivibili a quella tradizione militare piemontese e risorgimentale, a cui Quaglieni sente di attingere per storia di famiglia, emersero a tutto tondo. Da essi scaturì gran parte del contributo dato alla Resistenza dalle Forze Armate; la progressiva alleanza che si instaurò, la partecipazione dei singoli, le scelte che arricchivano di professionalità militare il lavoro dei partigiani, la collaborazione con gli alleati per abbreviare la durata della guerra. Esponenti di spicco, quali Ignazio Vian, Martini Mauri, Pamparato, Montezemolo o Perotti, tratteggiati ognuno con dovizia dal relatore, grazie ad una memoria resasi ancora possibile sul piano nazionale.
Cercherò – ha detto Quaglieni – di parlare rivolgendomi ai giovani. A loro credo vada riferita la Resistenza riferita al Risorgimento. Motivo particolare dell’incontro è stato ulteriormente aprire un discorso su fatti, uomini e figure che agirono sullo scenario ligure, e segnatamente savonese, – teatro di una sanguinosa ed atroce guerra civile che lasciò cicatrici profonde neppure oggi rimarginate -, che non sono state finora ricordate a sufficienza.
Tra le poche iniziative che in passato hanno lumeggiano l’argomento, specie una ha assunto grande valenza scientifica, attraverso la successiva pubblicazione dei relativi Atti: il Convegno storico. “LE FORZE ARMATE. NELLA RESISTENZA”, tenutosi, presso la Sala Consiliare della Provincia di Savona, Venerdì 14 Maggio 2004. Nell’occasione non ci si limitò ad illustrare la memoria di quegli anni, ma si riscontrò uno speciale impegno a scavare nelle testimonianze e nei documenti, senza accontentarsi dei luoghi comuni e della retorica. Venne dato risalto ad un episodio importante, quello dell’Ammiraglio Enrico Roni, avvenuto in un frangente bellico particolarmente difficile. Nei giorni 8 e 9 settembre 1943, la sua irreprensibile azione fu essenziale per la piena applicazione, a Savona, delle clausole armistiziali, consentendo sia l’allontanamento verso i porti del sud delle navi in grado di sostenere una lunga navigazione, sia l’autoaffondamento in banchina del restante, più precario, naviglio militare, evitandone la requisizione da parte dell’occupante tedesco e bloccando l’operatività dell’approdo per diversi mesi.
Il nostro capoluogo di Provincia fu uno dei quattro porti nazionali in cui la catena di comando militare non si interruppe. Altri importanti eroi locali sono stati citati, facendo necessario ricorso, talora, alla memoria storica del Comandante Speranza. Uno di essi è il padre del prima citato Gianfranco Cagnasso, Eugenio, capitano dell’esercito, funzionario della BNL, impegnato nella Resistenza con il nome di battaglia “Bill”, caduto il 30 novembre 1944; è stato comandante della V Brigata d’assalto “Garibaldi” “Baltera” e fondatore della Divisione d’assalto “Garibaldi” denominata poi “Gin Bevilacqua.
Ultimando la panoramica, la considerazione è andata alla Resistenza, quale spazio per tutti coloro che anelavano a contribuire e restituire la dignità perduta per colpa del fascismo, elemento emerso solo successivamente, dando al movimento un’immagine molto più estesa, sebbene cruda, ma veritiera, la quale, con la forza degli atti e dei fatti, evidenzia la centralità mantenuta dalle nostre Forze Armate. La fedeltà alla democrazia, e il contributo alla riconquista della libertà, delle Forze Armate è, così, divenuto un punto decisivo nella nostra conoscenza della Resistenza. E’, ancora oggi, un punto fermo nella nostra riconquistata democrazia. I medesimi Ideali di Libertà e Democrazia, per i quali Quaglieni orgogliosamente afferma di essersi in vita sua perennemente battuto, non con le armi, ma con il vigore delle sue parole e dei suoi scritti.
L’epilogo toccante dell’evento è stato la lettura del testamento spirituale, scritto ai genitori pochi istanti prima di morire da Franco Balbis, di anni 32, capitano d’artiglieria, decorato di medaglia di bronzo, medaglia d’argento e croce di guerra tedesca di I° classe e, da ultimo, medaglia d’oro al V.M. alla memoria, ufficiale di collegamento del Comitato Militare Regionale Piemontese, il quale venne fucilato il 5 aprile 1944. Eccone un estratto: ” La Divina Provvidenza non ha concesso che io offrissi all’Italia sui campi d’Africa quella vita che ho dedicato alla Patria il giorno in cui vestii per la prima volta il grigioverde. Iddio mi permette oggi di dare l’olocausto supremo di tutto me stesso all’Italia nostra ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice! Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero.
Parole forti e nobili scaturite un soldato che immolò la propria giovane vita per la libertà e la dignità del proprio Paese. Parole e sacrificio che rappresentano per quanti si occupano della cosa pubblica un monito ad agire in modo corale nell’interesse dell’Italia avendo a cuore la sua dignità, il suo futuro e l’interesse delle generazioni che verranno.
Antonio Rossello