Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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L’addio/ Borghetto dimentica il sindaco della ‘rapallizzazione’. Quel che la storia dice di Barone


Può spegnersi nel silenzio stampa il maggiore protagonista, nel male e nel bene, della storia urbanistica di Borghetto S. Spirito? Indicato da decine di articoli di quotidiani e settimanali quale ‘padre della rappalizzazione‘ savonese e non essere neppure citato da una notizia in breve? Se n’è andato da cittadino qualunque e noi comuni mortali  chiediamo perdono della ‘dimenticanza’ al maestro Silvano Barone per 11 anni fiero condottiero del paese che amava e gli ha dato i natali. Ora riposa nella tomba di famiglia. Nell’ultimo viaggio terreno ci ha colpito la modesta partecipazione di ‘popolo’ (meno di un centinaio), la mancata ‘orazione’ funebre del sindaco Gandolfo, solo il gonfalone del Comune. Nel lontano 1968 avevo titolato la prima pagina de La Settimana Ligure-La Nuova Liguria: “Borghetto piange e sarà un disastro socio-economico”. Non appartengo alla schiera dei prediletti da osannare. E, da vecchio cronista, ho raccolto le ultime voci, testimonianze, per non dimenticare.

 

Silvano Barone (nella foto a sn), insegnante di scuola elementare (a Ceriale), primo cittadino dal 1961 al 1972 e un breve periodo vice sindaco con la giunta di Gianluigi Figini (1984-’91). Ha chiuso gli occhi vivaci  e tristi a 91 anni. In due occasioni ufficiali si erano bagnati di lacrime. Durante una manifestazione estiva di protesta  popolare, con blocco dell’Aurelia, causa la cronica alternanza di rubinetti asciutti e nel momento della sepoltura (20 gennaio 1988) del compianto Secondo Olimpio, a lungo sindaco di Bardineto, capo ufficio stampa e braccio destro del più volte ministro Paolo Emilio Taviani.

Barone, fiero, orgoglioso, imperturbabile, difficilmente alzava la voce. Indole tenace, fu chiamato col voto popolare alla guida di un comune che non si era ancora dotato di piano regolatore. Si costruiva, soleva giustificarsi, rispettando distanze ed altezze  previste dal codice civile.  Aveva una sua idea di crescita e sviluppo. Non era preoccupato e non prevedeva che Borghetto avrebbe perso la secolare identità. E la comunità, in maggioranza, ci avrebbe fatto l’abitudine. Prevalso l’indifferenza, in parte la rassegnazione. Inoltre aveva’ ricevuto’, ripeteva, i primi ‘mostri’ realizzati sull’arenile dal predecessore Giuseppe Rocca (1951-1961).

Barone personaggio impenetrabile all’inesperienza del giovane corrispondente del primo quotidiano della Liguria, Il Secolo XIX. Un sindaco considerato dai suoi avversari (una minoranza)  l’anima nera delle cosiddette ‘trame immobiliari’. Un sottobosco che all’epoca vedeva indiscusso ed abile mattatore Francesco (Cecco) Vacca, il cui figlio Santiago sarà premiato dagli elettori e chiamato a reggere le sorti della cittadina dal 2007 al 2012.  Con una brillante carriera politica (in Provincia) e professionale.  Un benestante che non fa sfoggio, un saggio moderato. Il gruppo Barone e C. era riservato, nella prima fase operava dietro le quinte tale Lorenzini, toscanaccio gladiatore, gestore di un camping (Europa) a ridosso di Capo Santo Spirito. Fu lui a pilotare, tra inutili clamori di stampa, i 5 edifici fronte camposanto e a ridosso dell’Aurelia (Anas).

Come dare torto alla ‘memoria locale’ di Guido Michelini, ora residente a Ceriale, ex commerciante d’auto, giovanissimo segretario della sezione DC dal 1975 fino al ’93 (con la fine del partito), coscienza critica sia a livello cittadino, sia provinciale (chiamato anche alla segreteria), che conferma quanto si sapeva:  ovvero, duri scontri e contrapposizioni sulla gestione della cosa pubblica, edilizia in particolare, proprio con Barone.

Dallo scranno della acquisita saggezza ed esperienza, con una salute piuttosto cagionevole, l’onesto e galantuomo  Michelini (foto a sn), a lungo milite benemerito della Croce Bianca, commenta: “Non è polemica, bisogna ammettere che la comunità di Borghetto non ha risposto al suo concittadino Silvano come meritava. Prima di tutto parlo dell’uomo, poi del pubblico amministratore. Non c’erano gran parte di quanti, grazie a lui, si sono arricchiti; trasformati da umili contadini in possidenti immobiliari , con robusti risparmi o rendite. Certo, molti se ne sono andati prima di lui, però non credo che gli eredi ignorino, non sappiano, oppure siano pentiti”.

Cosa risponde Michelini a chi definisce Barone “il becchino delle future generazioni“. Il simbolo della cementificazione selvaggia, della sistematica distruzione ambientale e idrogeologica. Oppure “il sindaco che ha azzerato le terre coltivate, i pescheti della decantata piana borghettina, illudendo poveri contadini nel “domani radioso”. Facendo leva  su quella atavica mentalità che faceva esclamare: ” Ti savessi quante palanche u ga’ in banca!

Una classe contadina che usciva da una guerra mondiale persa (per l’Italia), anni di dittatura fascista  e povertà diffusa, diplomarsi era un privilegio di pochi.  E a non conoscere fatica, sudori, sacrifici, privazioni erano una minoranza.  Cosa risponde Michelini ad un’analisi storica, difficile da contestare, che ci indica un salto di qualità per poche centinaia di privilegiati, grazie alla ‘rappalizzazione’. Il suicidio di massa dovuto alla disintegrazione del tessuto ambientale, sociale, commerciale, turistico. Basti pensare a chi ha ereditato appartamenti e negozi (non un paio di locali) e oggi abbiamo di fronte persino un centro storico caratterizzato da chiusure di attività e di fatto svalutato sotto ogni aspetto. E soprattutto senza prospettive di rinascita per i prossimi decenni. Con progetti di rilancio al palo da tempo, nonostante gli spot degli annunci, compresa la galleria sotto il Monte Piccaro.

Ancora Guido Michelini: “ Le cronache del ‘regno Barone’ documentano che io, Ernesto Piccinini, Guido Trucco, (foto a sn) Silvio Sarà e Angelo Tito Reale, rappresentavamo lo zoccolo d’uro anticemento. Chi non ricorda le minacce di morte, i manifesti, le mobilitazioni di costruttori e sindacati del settore in occasione dell’adozione del primo piano regolatore! Non eravamo né eroi, né primi della classe, semmai cittadini, pubblici amministratori che si ribellavano a interessi neppure  troppo occulti. Avevamo una visione meno integralista dello sviluppo, meno miope e più lungimirante. Tutto questo  non cancella i ricordi bellissimi, fin da ragazzo, che conservo dell’amico Silvano Barone. Una vita di contrasti. La mia aperta battaglia anticementificazione,  le pesanti responsabilità di un sindaco di tutti i cittadini, non possono far passare in secondo piano i meriti di Silvano. Perché dimenticare, ad esempio, la battaglia sul metano. Mentre avevo quasi tutti contro, per questione di lobby,  fu l’unico a darmi una mano, a rifiutare compromessi. Gli amici, in quell’occasione, preferirono invece disertare il consiglio”.

Con i capelli bianchi si intenerisce il cuore. Michelini confida: “Col tempo Silvano è diventato una persona tenera, in cuor mio gli ho sempre voluto bene. Peccato che il sindaco Gandolfo non abbia ritenuto di commemorarlo, non significa necessariamente assolvere il passato, onorarlo sull’altare; sarebbe stato un gesto di sensibilità e di rispetto. Lo dice uno che in tempi non sospetti fece affiggere un manifesto col titolo “Borghetto affonda” e per un periodo Silvano mi tolse il saluto”.

Vale a dire,  ci sono eccome responsabilità politiche, morali, umane, personali, tuttavia non si può gettare l’acqua sporca con il bambino. Barone era figlio di contadini,  la moglie apparteneva alla famiglia Orsero (parenti degli omonimi pietresi industriali ed imprenditori), agricoltori più agiati in quanto a proprietà, alcune delle quali interessate da operazioni immobiliari. Barone si è trovato a gestire la potente e vorace macchina dell’eplosione delle seconde case, dell’evoluzione di muratori e carpentieri diventati in un baleno impresari miliardari. Basti pensare a Miino, Cappelluto (il papà di Enzo), allo stesso Antonio Fameli che è stato anche lavascale.

E’ probabile che la ‘storico’ Guido Michelini abbia potuto toccare con mano quale fosse il giro ed il gruppo ristretto che gestiva e tirava i fili della grande torta edilizia e aree edificabili  baciate dalla fortuna. E’ logico che possa aver intuito, da testimone,  il meccanismo del rilascio di certe licenze edilizie e cosa fruttavano a chi firmava, a chi le sponsorizzava.

Tra i tanti ricordi un 6 aprile 1963. Un’area, tra i palazzi Ischia e Positano, lungo il fiume. Si voleva utilizzare quel suolo per stazione pompaggio del depuratore. Su quel terreno era stato presentato il progetto per costruire un terzo edificio gemello. Il proprietario era un cittadino della provincia di Cuneo.  Un giorno fu contattato e si incontrò con un ricco faccendiere borghettino (per altre storie finirà in carcere, non c’entra Fameli ) e  che ha ricoperto diversi ruoli in enti , associazioni locali, accompagnato da una smagliante agente immobiliare torinese, all’epoca operante a Borghetto. La proposta senza tanti giri di parole: il tuo progetto può essere approvato, firmato in tempi brevi, però devi dare un appartamento al ‘gruppo‘, proprio questa definizione ‘gruppo‘. Quell’uomo confidò pure chi, a suo avviso, faceva il regista.  Ebbe paura, anzi qualcuno lo sconsigliò. Non certo un esponente della classe borghese che a Borghetto era di fatto assente. Una concausa del disastro socio-culturale e ci vorranno forse secoli per rimediare.

Il giorno dei funerali di Barone non hanno voluto mancare, oltre a Michelini, l’ex combattente vice sindaco Ernesto Piccinini  (foto a sn), il big del Pdl provinciale, Santiago Vacca; Gianluigi FiginiMario Carminati già funzionari Usl e Asl, Antonio Beccaria sindaco di Toirano metà anni ’80,  Paolo Rosso (foto a ds), fu consigliere comunale e regionale Dc, esponente di spicco Coldiretti;  Duilio Ghibaudi (foto a ds con Cecco Vacca), medico, ex presidente della Pro Loco.

Ci scusiamo se è un elenco incompleto.  Non sappiamo se era presente Ottavio Roveraro, figlio del mitico Eligio Roveraro, serbatoio di voti e ‘ago d’oro‘ per l’infaticabile attività di infermiere a domicilio. Sempre sulla breccia, giorno e notte, anima della Croce Bianca. Presente un Carlo Vacca, altro ramo famigliare che gestivano la farmacia di Tovo San Giacomo.  Non sappiamo dei fratelli Franchi,  nome storico e prestigioso della cittadina e dell’omonima farmacia.

Non mancava qualche volto segnato dagli anni, dalle rughe, da mani callose. Coloro che più da vicino sono stati testimoni del boom edilizio, della corsa a comprare la casa al mare degli operai Fiat, Lancia, Alfa Romeo. Hanno vissuto, forse senza renderne conto, in un grande cono d’ombra, il ‘buco nero‘ della storia borghettina. La fungaia di cemento, di mega costruzioni  anche al confine dei corsi d’acqua, sulla sabbia.  Il business delle mansarde non era ancora esploso, neppure quello dei box interrati, al massimo qualche sotterfugio nei piani attici. C’erano i condoni, a migliaia. Nulla faceva scandalo se non le bombe d’acque dei titoli di giornale e le locandine esterne. Con il giornalista indicato a ‘nemico’ e  avvertimenti poco goliardici.

Le mosche bianche che si mettevano contro corrente si ritrovavano emarginate, al punto che pure  l’esperienza ‘rossa’ ha vissuto disgrazie e molti paletti, attratta da irresistibili sirene. Uscì a testa alta l’incorruttibile Tito Reale (foto a sn) che all’amico cronista ammise “Ho firmato per nuovi palazzi perchè era l’unico compromesso possibile, forse un domani me ne pentirò, ma ho la coscienza e le mani pulite“. Doveroso citare rettitudine e coraggio, con inevitabili errori, di Riccardo Badino (1991-’97), insegnante e direttore didattico. Erano gli anni dello strapotere  Fazzari e  Gullace. In una città caratterizzata dalla presenza di alcune famiglie meridionali, con piccoli boss della malavita, immancabili notti far west. Eppure gli omicidi si contavano sulle dita di una mano e rapinavano al massimo le due banche allora operanti.  Borghetto che ha visto crescere la fortuna immobiliare  di un paio di famiglie indigene su tutte: gli eredi di Santiago Vacca e Elena Roveraro, i due fratelli Cavallino (uno non è più in vita). Parliamo di interi palazzi e con proprietà anche fuori dai confini comunali; nel primo caso estese sulla Costa Azzurra. Una fortuna, insomma.  Da precisare che i fratelli Cavallino non hanno partecipato alla vita pubblica, un loro congiunto, Giacomo, è stato sindaco dal 1946 al ’51 e non era esplosa la ‘febbre del mattone’ ed aree edificabili.

Avevamo incontrato l’ultima volta Silvano Barone lo scorso anno, procedeva lentamente in centro, all’inizio della provinciale per Bardineto, appoggiandosi al bastone. Un breve saluto, mente lucida ed informata sulla vita borghettina. Un “ti perdono anche se di me hai sempre scritto male“. Inutile spiegargli che il giornalista dovrebbe sempre fare il ‘cane da guardia‘. Non il giullare o il ‘cameriere’. Ho ammesso, avevo sposato la causa non degli ambientalisti, ma che il ‘troppo cemento, lo sconvolgimento dell’ambiente, fa felici alcuni, muove molti interessi legittimi e non,  porta all’autodistruzione della società ed in qualche caso delle famiglie“.  Rispose: “vallo a dire a tanti borghettini dei miei tempi, mi votavano, ricchi e poveri. Non ho rimorsi”.

Potrebbe, a questo punto, darci un giudizio la valente ed affascinante figlia Anna Barone che gestisce un eccellente agriturismo a Borghetto ed è mamma di due ragazze e un ragazzo. Lei che, nella vita, ha avuto la possibilità di incontrare, conoscere due illustri personaggi del mondo politico imperiese e ponentino che contava. Dapprima Gianfranco Cozzi, classe 1951, a lungo presidente della Camera di Commercio di Imperia, poi parlamentare Udc, convolato a nozze con Beatrice Parodi, erede della più facoltosa famiglia della provincia. Cozzi scomparso tragicamente in un incidente stradale  l’8 giugno 2004.  La frequentazione di Manfredo Manfredi, classe 1928, spentosi  benestante nel febbraio scorso. Originario di Pieve di Teco, una vita nella Dc e nella politica, una miriade di incarichi, compreso quello di sottosegretario di Stato.  Anna, da papà, ha imparato discrezione e riservatezza, allergica alle passerelle o la ricerca della ribalta.  Proprio lei che poteva essere informata di tante segrete cose della vulcanica Riviera dei Fiori.

E in onore del caro papà  si potrebbe scrivere: Non omnis moriar.

Luciano Corrado

Borghetto, fine anni ’60’, una riunione per l’emergenza acqua a palazzo civico con il sindaco Barone (ed altri giovani volti) mentre parla con l’assessore  Giannino Oliva

L.Corrado

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