Se non sarà il porcellum (legge attuale), sarà il super-porcellum (legge attualmente in discussione), ossia un prodigio: l’unico sistema capace di sommare i difetti del proporzionale e i difetti del maggioritario. La legge di cui si parla da settimane, infatti, gode di tre interessanti proprietà: permette ai segretari di partito di scegliere a tavolino una frazione considerevole degli eletti, a prescindere dalle scelte degli elettori; non consente ai cittadini di sapere, la sera delle elezioni, chi ha vinto e chi ha perso (si torna ad accordi fatti in Parlamento, come nella prima Repubblica); distorce la rappresentanza, nel senso che, con il premio di maggioranza, conferisce al partito più grande molti più seggi di quanti ne meriti in base al voto.
Numero delle liste: saranno tantissime, come sempre, ma quelle “vere”, ossia con la ragionevole possibilità di superare il 5% dei consensi, saranno solo 7.
Ci saranno quattro formazioni che, se non sbagliano clamorosamente strategia e se non sono cannibalizzate dalle liste di disturbo, possono teoricamente aspirare a un risultato non lontano dal 20% ciascuna.
Due di esse, Pdl e Pd, sono vecchie, ma si presenteranno con sigle più o meno rinnovate. Le altre due liste sono nuove di zecca, e sono il movimento di Grillo (Cinque Stelle) e quello nascente di Montezemolo (Italia Futura).
Gli elettori che andranno al voto si divideranno quindi fra chi è ancora disposto a scegliere una forza politica tradizionale e chi invece preferisce puntare su una forza nuova.
I primi, i “vecchisti”, potranno comodamente ragionare in termini di destra, centro, sinistra, scegliendo una fra le tre opzioni disponibili: Pdl, Udc, Pd, i tre partiti che hanno sostenuto il governo Monti.
I secondi, i “nuovisti”, dovranno invece ragionare in termini molto diversi, perché l’offerta politica delle due principali liste nuove è molto più polarizzata: da una parte c’è l’anticapitalismo anti-euro e anti-Europa di Grillo, dall’altra c’è il turbo-liberalismo di Italia Futura e dei gruppi ad essa vicini, come “Fermare il declino” di Oscar Giannino. Qui destra e sinistra c’entrano davvero poco, quel che conta – e divide – sono le ricette per affrontare la crisi: con meno Europa e meno ceto politico se voti Grillo, con meno tasse e meno Stato se voti Montezemolo.
Sono due modi di porre i problemi che, in questo periodo, hanno entrambi un grande appeal. I sondaggi mostrano da almeno cinque anni che le spinte anti-partitiche e i dubbi sull’Europa sono molto radicati nell’elettorato. Ma un interessante sondaggio di Renato Mannheimer di qualche tempo fa segnalava anche un’altra e assai meno nota novità: per la prima volta da molti anni sono più gli italiani che si preoccupano dell’eccesso di tasse che quelli che si preoccupano di salvare lo Stato sociale. Insomma, se fossi il leader di una forza politica “vecchia”, sarei preoccupato, molto preoccupato.
La forza d’urto dell’onda anti-partiti potrebbe essere assai forte, specie sotto l’ipotesi Ber-Ber: un Pd guidato da Bersani (l’usato sicuro) e un Pdl guidato da Berlusconi (lo strausato insicuro). E molto mi sorprende che, quando si parla di premio di maggioranza, se ne discuta come se potesse andare solo al Pd o al Pdl, o addirittura come se la corazzata Bersani-Vendola avesse già la vittoria in tasca.
Se fossi Bersani non sottovaluterei né l’area Montezemolo né quella di Grillo, specie nella sciagurata eventualità che i partiti continuino a restare insensibili al “grido di dolore” che, da tanti anni e da tante parti d’Italia, i cittadini levano contro la politica e i suoi indistruttibili, irrottamabili, rappresentanti di sempre.
Luca Ricolfi (La Stampa)