Se n’è andata senza chiasso, senza eco mediatica, in sordina, un giorno di primavera anomala. Ha raggiunto, in cielo, il paradiso terrestre dove l’attendevano due amori carissimi: l’adorato figlio Giampiero e Gino, fiero ed esemplare marito. Così ci ha lasciati su questa terra di gioie e sofferenze, di giustizie ed ingiustizie, di persone perbene e mascalzoni, di anime pie e miscredenti, Cecilia Natero, 88 anni. Per la storia dimenticata di Peagna, borgo sulla prima collina di Ceriale, Cecilia fu la prima persona, con la sua famiglia, ad usufruire del telefono pubblico. Agli albori degli anni sessanta.
L’arrivo del telefono, a Peagna, fu un avvenimento che aveva seguito di qualche anno l’energia elettrica, allora Cieli. Era stata la Sip, con il suo direttore di Savona e il responsabile tecnico dell’albenganese, ad estendere la rete ed il servizio a quella che all’epoca era una comunità in gran parte di piccoli agricoltori, qualche pastore transumante dalle Alpi Marittime, un paio di operai occupati nelle ‘Terre Rosse’ di Accornero, un impiegato che faceva la spola a piedi a Ceriale, poi in treno al porto di Savona e di sera il ritorno a casa. Eletto sindaco, Carlin Vacca.
La postazione telefonica venne ospitata nel salotto, senza pretese, di casa Natero: capofamiglia ” Bacicin du Podestà“, soprannome per la carica che aveva ricoperto ai tempi del Fascio. Chi lo ricorda, di podestarile e fanatico del regime fascista, Bacicin non aveva proprio nulla. Buono, mite, sapeva ascoltare, impegnato a rappresentare, pur senza il voto popolare, gli abitanti di uno dei tanti poveri paesi della nostra Patria. Due guerre mondiali, la dittatura, migliaia e miglia di morti, di martiri, devastazione e desolazione, tanta miseria e pochi aristocratici.
Cecilia, una gioventù come tante ragazze del mondo agricolo e figlie di famiglie semplici, con le mani callose dal lavoro, sudore della fronte. Giovanissima aveva conosciuto Gino (Luigi) di Zuccarello che diventerà marito e padre di due figli. Si erano conosciuti in un’occasione di ballo. A Peagna, allora, erano poche le feste con serate danzanti. Nel periodo di carnevale, il Giovedì grasso, San Giovanni patrono del paese. Negli anni ’50 e ’60 la forza giovanile era una capillare risorsa per tante famiglie. La scuola elementare ospitava fino a una trentina di alunni per cinque classi. Una sola maestra Virginia Gerosa che arrivava da Loano, in pullman fino a Ceriale, poi a piedi per Peagna, nei giorni di sole, con la pioggia, vento, il freddo che pungeva. Alla fine si rese necessario la costruzione di un nuovo edificio, oggi museo Lai.
E’ in questo contesto di famiglie all’antica, laboriose, ricche di onestà, rettitudine, valori etici e calore umano che è cresciuta, si è sposata, fino a diventare mamma, Cecilia Natero. L’avvento del telefono, per di più pubblico, rappresentò una grande novità, un passo avanti oltre i confini, una comodità ed un servizio che coinvolgeva i primi proseliti di quello che oggi è diventato un infinito pianeta di tecnologia, consumismo, innovazioni planetarie. E quando arrivava una telefonata con la richiesta di ‘parlare’ con questa o quella persona, era Cecilia la ‘postina’ che si incaricava di raggiungere l’abitazione del destinatario ed avvertire. E’ andata avanti così per oltre un decennio, fino alle prime utenze telefoniche singole.
Cecilia che ha conosciuto nell’infanzia le conseguenze e la miseria devastante, la tragedia dell’ultima Grande Guerra. Lei che era rimasta – con altri due longevi ‘peagnoli’, i benemeriti coniugi Delina e Mauro – l’ultima testimone, vessillo di Peagna d’altri tempi. C’era più calore umano, le tradizioni religiose e ‘pagane’ erano ‘cemento’ e convivenza. Il calendario per gli addobbi: la solenne processione del Corpus Domini con le strade ricoperte di petali di fieri, le ginestre e rami verdi a decoro dei muri delle case. I falò di San Giovanni, la barca con il bianco d’uovo di San Pietro. Resta il camposanto a ricordare l’ultimo capitolo del ‘libro, ‘ C’era una volta’, per chi è stato sepolto nei loculi e nelle cappelle di famiglia. Le immagini, la scritta, le date.
Anche Peagna ha via via convissuto con l’evolversi della società civile, del benessere, tra virtù e vizi. Con usanze e tradizioni smarrite. Orfana di quel legame che univa dal primo all’ultimo concittadino. Non era certo la ‘ Terra promessa‘, non erano tutti santi, rose e fiori, ma la solidarietà, rispetto, onestà erano un patrimonio, un pilastro. Peagna che, con telefono pubblico, poteva contare, subito dopo la fine della guerra, di una rivendita di sale e tabacchi, ospitata in una stanza sovrastante una stalla e attigua alla cucina. Col telefono pubblico fece la sua comparsa l’illuminazione, l’acqua corrente nelle case, i servizi igienici, il primo asfalto.
Con Cecilia se ne sono andati tanti ricordi, tanti aneddoti. Ha lasciato ‘peagnoli’ e ‘peagnine’ sparsi tra paesi e città, privi dell’identità che li univa, li accomunava. Esempio di una civiltà meno materialista, meno edonista, più altruista. Gli ideali che aiutano e non si arrendono all’egoismo. Cecilia che la ricordiamo premurosa e sorridente il giorno della nostra cresima, dell’arrivo ‘solenne’ del vescovo, monsignor Raffaele De Giuli, parroco don Pietro Menini, nato e cresciuto in paese da umili genitori. Era il 18 novembre 1951, quattro cresimanti maschi e tre femminucce. Quando ancora si recitava: “ invoca la Spirito Santo, amore, grazie e benedizioni per i genitori adorati, per tutti i tuoi cari, per gli abitanti tutti di Peagna”. Si praticavano i cinque precetti della Chiesa, le due campane suonavano l’Angelus la mattina, a mezzodì e la sera. Il rosario era una pratica diffusa, le cerimonie religiose, vespri compresi, momenti di aggregazione e spiritualità.
Il cuore di Cecilia si è fermato alle 14,48 di un giovedì di giugno. L’adorato figlio Fulvio era tornato dal lavoro dei campi, dalla raccolta delle ‘trombette’ d’Albenga. Appena il tempo per chiamare il medico di famiglia perchè mamma aveva iniziato a non stare bene. E nonostante due giorni prima era stata ‘visitata’ dal medico curante che aveva prescritto il farmaco abituale. Cecilia afflitta da alcuni anni dai primi acciacchi della vecchiaia e da un paio d’anni aveva difficoltà a camminare. Lei che era solita alzarsi alle sei del mattino e andare a letto alle 21. L’epilogo di una vita ammirevole, tra privazioni, sacrifici, soddisfazioni, momenti di gioia. Un figlio, ragioniere, fino a diventare direttore di banca, strappato ai suoi cari da una morte crudele e implacabile, sotto gli occhi sgomenti del figlio, impotente, mentre insieme camminavano lungo un sentiero della Valle delle Meraviglie (Francia). Un marito, un padre, un nonno, Gino che non ha retto a lungo al dolore e non riusciva a rassegnarsi. Quel vuoto era più pesante di un macigno. Vicino a Cecilia era rimasto il figlio Fulvio, contadino, che con la mamma ha condiviso i ricordi, la ricchezza immateriale di chi ha continuato a resistere a Peagna nel terzo secolo dopo Cristo.
Cecilia se n’è andata con un dolore nel cuore. Non è il caso di ricordalo. Ai funerali, all’ultimo addio,non hanno voluto mancare un centinaio di persone. Lungo quella strada che lei ha percorso tante volte, per recarsi nei terreni di famiglia, oppure raggiungere a piedi Ceriale come accadeva per fare la spesa. Ad accompagnarla, oltre al neo parroco don Gianluigi Monti, monsignor Fiorenzo Gerini per 60 anni ‘pastore’ di anime e promotore di tante iniziative per il paese, per i parrocchiani e sulle spalle ormai tutto il peso dell’avanzare della vecchiaia, della sofferenza, problemi di salute inclusi. Il sacerdote testimone di come sia cambiato, nel suo amato ‘gregge’, il tessuto sociale. L’identità della sua gente, a partire dai giovani, alle prese con valori sovrastati da troppa ‘sporcizia’, dalla dissacrazione.
A Peagna, nonostante tutto, nonostante la ‘disgregazione’, comune peraltro a tante altre realtà, dalla montagna al mare, sperare si può e si deve. Con l’augurio che le nuove generazioni non dimentichino e facciano tesoro del buon esempio dei nostri cari che hanno lasciato un grande e incolmabile vuoto.
Luciano Corrado