Tilò non riusciva a prendere sonno. Si rigirava nervosamente nel letto, sotto la pesante trapunta, nella calda stanzetta dell’osteria “del cacciatore”. Eppure la cena era stata ottima, come sempre, la compagnia allegra e un po’ spaccona, come sempre, con le solite spesse battute alla bella Mina, quando arrivava dalla cucina con la pignatta del coniglio.
Ma le parole del “Sciù Beriu”…,no,non sarebbero bastati neanche dieci caffé per digerirle. A fine cena, spostato il piatto leggermente di lato,”u Sciù Beriu“,comandante indiscusso di quella squadra di valenti cacciatori (soprattutto perché pagava il conto) ,programmò la giornata di caccia: “allora domani sveglia alle cinque, andremo fino al Pian delle Gorre, da lì al Pian del Crésu. Batteremo tutto il Cars, fino ad arrivare al casino di caccia, e poi andremo fino al Mondolé. Qualche gallo lo fermiamo di sicuro! E’ una bella tirata in un giorno solo, me ne rendo conto, e Tilò, che è vecchio, forse è meglio se ci aspetta qui, all’osteria.”.
Vecchio?! A Tilò mai nessuno aveva osato dire: “vecchio!”. E quando “u Sciù Beriu” uscì con questa sparata, Tilò, sempre ironico e pronto alla battuta, rimase ammutolito, tanto patì quella botta inaspettata e a bruciapelo.
Vecchio! Un colpo alla rotella dell’accendisigari per capire l’ora: le due. Un falcetto di luna vecchia si è levato, ed illumina le fredde cime, spruzzate d’argento. Tilò si ricorda le parole del nonno. L’idea prende corpo in un attimo, sa che è una pazzia, è talmente strano quello che gli raccontò il nonno, che sembra impossibile. E poi la comba è ad una giornata di cammino, come farà a tornare per la sera? Ma sa anche che, se le cose andranno come spera, rimarranno tutti senza parole, ed allora potrà esclamare: “guardate qui il vecchio Tilò, cosa sa fare…!”.
Si veste senza fare rumore, passa davanti alla porta della camera di Mina, lentamente per non far scricchiolare le vecchie tavole del pavimento. Sente il suo profumo, “forse anche lei è sveglia…“, pensa, e sorride, ricordando quando le sue passeggiate notturne si fermavano proprio in quella camera… Ma, quella notte, neanche la dolce Mina potrà scaldargli il cuore.
Vecchio! Fa il giro largo per non farsi sentire dai cani e si infila nel bosco. L’aria punge, fredda sulla faccia, e il passo è veloce, molto veloce. Cerca di distrarsi aumentando l’andatura, ma le parole du Sciù Beriu gli rimbombano nelle orecchie.
Vecchio! Mentre cammina veloce, nel bosco di larici, sullo spesso tappeto di aghi morbidi che ovattano gli scarponi, gli vengono in mente le cose più strane. Episodi di tanti anni prima. Aveva talento, e tutto quello che faceva gli riusciva bene.
Vecchio! Già da bambino, a Pietrabruna, riusciva ad imparare le melodie ad orecchio, in un attimo, senza conoscere le note, ed il capomusica lo portava sempre con sé, quando lo invitavano nelle feste grandi dei paesi della valle: San Marco a Civezza, San Cosimo a Torre, San Clemente a Lingueglietta, e addirittura ad Oneglia, nelle solenni celebrazioni in onore di San Giovanni Battista.
Vecchio! Al balùn, pur non avendo un fisico eccezionale, era richiesto dalle squadre più forti, perché sapeva colpire bene la palla (abilità dei mancini) e la piazzava sempre nel modo più opportuno.
Vecchio! E le carte? A belotta era imbattibile. Si ricordava a memoria tutte le giocate, e poi osservava attentamente gli avversari cogliendo, da particolari impercettibili, la loro filosofia di gioco, e anticipava le loro mosse.
Vecchio! E le donne? Non erano mai state un problema. Piaceva Tilò, anche troppo, e forse, qualche volta, per fare del bene, aveva, senza assolutamente volerlo, provocato qualche dispiacere…
Vecchio! Ma la vera specialità di Tilò d’Angé, per cui era conosciuto ed apprezzato non solo nelle valli di Porto Maurizio, di Oneglia e di Pieve, ma anche nelle valli di Mondovì, era la caccia.
Tilò era un cacciatore formidabile, non solo per la sua mira infallibile, ma soprattutto per la sua capacità di cogliere, capire ed interpretare gli odori, le tracce, il vento, gli alberi, di immedesimarsi nella logica del camoscio ed in quella del gallo forcello.
Il gallo forcello, la preda più ambita! U Sciù Beriu, per garantirsi la presenza di Tilò nelle sue battute, mandava il suo “chauffeur” direttamente a Pietrabruna a prelevarlo, e se lo portava, come una reliquia, nelle valli Pesio, Ellero e Corsaglia. Ed ora, proprio lui, gli spara a bruciapelo? “Ma stasera se ne accorgerà!”, pensò Tilò.
Senza accorgersene, Tilò arrivò nella comba indicata dal nonno, percorrendo in sei ore la strada che di solito si fa in dodici. Si acquattò immobile in un punto dal quale poteva vedere benissimo la base contorta dell’enorme larice al centro della radura, ed aspettò.
Ora il ricordo del nonno divenne più chiaro, come le sue parole: “I galli sono solitari, si incontrano tra di loro solo al disgelo, in primavera, per le sfide d’amore ma, prima che scenda la neve, con l’ultima luna vecchia prima dell’inverno, i giovani galli si riuniscono nella comba di…., per rendere omaggio al grande vecchio. Al centro della radura c’è un grande larice, con una specie di nicchia alla base, rivolta ad occidente. Il grande vecchio si sistema lì ed aspetta che i giovani, ad uno ad uno, vengano a rendergli omaggio.”.
Un tuffo al cuore svegliò Tilò dal torpore del comodo giaciglio: un enorme gallo, nero e fiero, attraversò la radura, e si sistemò nella nicchia alla base del larice. Tilò pensò di sognare, soprattutto quando vide un altro gallo uscire dal bosco e procedere rispettosamente verso il grande vecchio.
Alzò lentamente la canna della doppietta, mirò con attenzione, ma esitò. Stava assistendo ad un rito quasi magico, gli sembrava male premere il grilletto. Una voce prepotente da dentro gli urlò: “vecchio!”, il suo orgoglio ferito. Tilò sparò. Una, due, tre,… dieci volte. Nella radura c’erano dieci esemplari, immobili. La cosa assurda è che, nonostante i boati delle botte, amplificati dal silenzio del bosco, i galli continuavano ad uscire e ad andare verso il grande vecchio, che se ne stava immobile. Si mosse solamente quando, dal bosco, uscì un galletto titubante (probabilmente era la prima volta che partecipava alla cerimonia). Il vecchio gallo si mise sulla invisibile linea del tiro che, un istante dopo, avrebbe fulminato il galletto, si voltò e guardò Tilò, che nel frattempo aveva puntato per l’undicesima botta. Non sparò Tilò, ed abbassò il fucile. Il vecchio gallo si rigirò e lentamente se ne tornò nel bosco, accompagnato dal giovane galletto.
Tilò raccolse le dieci prede e tornò all’osteria che era già notte, mentre gli amici cominciavano a preoccuparsi. Buttò lo zaino sul tavolo e, mentre gli altri contavano increduli i dieci galli disse: “Ecco il vecchio Tilò cosa riesce ancora a fare!”.
Tilò entrò nella leggenda. Nessun cacciatore, né prima, né dopo di lui, riuscì mai a prendere dieci galli in un solo giorno.
Non disse a nessuno che i galli, in realtà, quel giorno, erano dodici. E non disse neppure cosa vide nello sguardo del vecchio gallo. Sappiamo solo che, da quel giorno, Tilò non sparò mai più.
Roberto Amoretti