Il Secolo XIX ha scritto: dalla Calabria alla Liguria (Varazze), fino al Piemonte. Si snoda per tutto lo Stivale la storia di ribellione e indipendenza di Maria Stefanelli, la prima testimone di giustizia contro la ’ndrangheta al Nord appartenente a famiglie mafiose, capace dopo una vita di abusi e di violenze di rinnegare il suo passato e tentare di rompere le catene imposte dalle cosche. L’inizio è tra i più classici, l’emigrazione che ha portato la sua famiglia dalle falde dell’Aspromonte fino a Varazze. Gli Stefanelli non cercano fortuna. La fanno, diventando il riferimento per lo spaccio di droga nel levante savonese. Per Maria è l’inizio di un incubo che si delinea in maniera netta quando per ordine della sua famiglia sposa Francesco Marando, rampollo della cosca che domina l’hinterland torinese, detenuto in carcere. Tocca a lei fare il lavoro sporco: aiutando il marito e la famiglia, dalla quale viene vessata. Maria porta avanti gli affari, tra Calabria e Nord, finchè Ciccio Marando viene ucciso e il suo cadavere trovato poi carbonizzato.
Tutto cominciò quando nei boschi di Chianocco, un paesino sperduto nella Valsusa attraversato dai fiumi delle profonde gorghe dell’Orrido fu trovato un cadavere carbonizzato. Nei verbali di sopralluogo dei carabinieri chiamati in fretta e furia dai vigili del fuoco c’è scritta una data: 3 giugno 1996. Il giorno prima, lì, si è consumato un omicidio. E’ l’inizio di una delle faide più sanguinose del Nord Italia, di Torino. E’ una faida di ‘ndrangheta. Da una parte la famiglia Stefanelli da Oppido Mamertina con base a Varazze e con un florido mercato di stupefacenti, dall’altra i Marando di Platì che nell’hinterland torinese hanno trapiantato una “locale” militarizzata e particolarmente feroce.
Sono parenti, soci in affari. Si sono sposati tra di loro per rinsaldare – com’è uso nelle famiglie calabresi – i rapporti tra le “locali”. Si siedono allo stesso tavolo, mangiano dallo stesso piatto, bevono lo stesso vino e trafficano la stessa cocaina. Che è poi quella che arriva in Italia grazie a Pasquale Marando, “vangelista” (massimo livello) delle ‘ndrine aspromontane e trafficante con invidiabili rapporti in sudamerica nella colonia dei narcos di Bogotà.
Ci saranno morti ammazzati, vendette incrociate, padri e figli trucidati, testimoni scomodi eliminati, vedove diventate collaboratrici di giustizia (per poco) e aspiranti pentiti suicidi in carcere. E ancora processi perentori, ma anche indagini lente, condanne dure e scomparse eccellenti come quella di “Pasqualino” il boss dei due mondi di cui le tracce si sono perse ormai da sei anni. Introvabile, desaparecido, lupara bianca.
Maria, io donna di ‘ndrangheta vi racconto la faida di Varazze (leggi…).
Un articolo preveggente del 7 ottobre 1981 a firma del compianto Angelo Regazzoni coraggioso corrispondente de Il Secolo XIX