Con la parola maccheroni, nell’uso internazionale, si indica genericamente la pasta alimentare ottenuta mescolando semola di grano duro e acqua, ed è sinonimo di “pastasciutta”, il tipico piatto italiano.
di Tiziano Franzi
Nell’uso italiano, invece, il termine non è generico, ma indica determinati formati di pasta, diversi però a seconda delle regioni italiane; può quindi riferirsi a pasta corta o lunga, di semola di grano duro o all’uovo; spesso indica la pasta lunga a sezione rotonda e spesso bucata, di diametro più grande di quello dei bucatini e più piccolo di quello degli ziti.
In Liguria, nel savonese, un piatto tipico sono i maccheroni con la trippa, un tipo di zuppa. In questo caso per “maccheroni” si intendono delle lunghissime penne lisce

L”invenzione dei maccheroni non è attribuibile a un singolo evento o luogo, ma la loro storia affonda le radici in tempi antichi nel Mediterraneo e si sviluppa tra Sicilia e Napoli. Documenti storici attestano l’esistenza di un prodotto simile già nel XIII secolo in Liguria e Sicilia, dove avveniva l’esportazione di pasta essiccata anche grazie all’influenza araba. A Napoli si consolidò la popolarità dei maccheroni solo a partire dal XVII secolo.

Copertina di un numero del “The Macaroni Journal”
Anche se molti associano l’idea della pasta alimentare e in particolare dello spaghetto alla Cina, a seguito del racconto di Marco Polo nel “Milione”, questa è in realtà una fake new, un’invenzione commerciale diffusa dagli Stati Uniti a partire dal 1929. In realtà, la pasta era già conosciuta sia in Cina che in Italia secoli prima del suo viaggio. La storia fu inventata come trovata commerciale dai produttori americani di pasta in un articolo del Macaroni Journal, un bollettino dei produttori americani di pasta. La storia raccontava di un marinaio di nome Spaghetti che avrebbe introdotto gli “spaghetti “in Italia dopo averli scoperti in Cina. In realtà la parola “spaghetti” compare nella lingua italiana molto più tardi, con le prime attestazioni nel XIX secolo.
Nel suo libro, Marco Polo menziona una pasta simile alle lasagne che aveva visto sull’isola di Sumatra, prodotta con farina di sago, estratta da un particolare tipo di palma. Ne portò una piccola quantità in Italia e il fatto che potrebbe aver ispirato i creatori del mito degli spaghetti.
La verità è che il primo documento scritto che menziona i maccheroni risale al 1279, in un inventario di beni genovese.
I Genovesi attorno all’anno mille, grazie ai traffici con l’Oriente, detenevano un quasi monopolio nel commercio del grano Mediterraneo. Il primo documento scritto sul quale compare il nome di questo impasto risale al 4 febbraio 1279: uninventario di beni appartenenti all’uomo d’arme genovese Ponzio Bastone, in cui è citata una “barixella una plena de macharonis“, cioè un cestino di maccheroni. L’atto in questione precede di tredici anni il ritorno di Marco Polo dall’Oriente. Involontariamente, il notaro Ugolino Scarpa, con la redazione del testamento del soldato Ponzio Bastone segnò un punto temporale di partenza ben preciso per la storia di questo alimento fondamentale della dieta mediterranea.
Più tardi le citazioni si infittirono e a Napoli presso la corte angioina la regina Maria, madre di Carlo Martello nel 1295 incaricò di pagare ai creditori “quattro once per prezzo di maccheroni ed altro“. Poi nel Decameron di Boccaccio nella descrizione delle delizie del paese di Bengodi e nelle ricette del grande cuoco del XV secolo Maestro Martino, che parlava dei maccheroni alla romana, cioè strisce di pasta tagliata e dei maccheroni alla genovese, molto più sottili, e quelli alla siciliana, modellati con un ferro. Infine, nelle raffigurazioni del libro “Opera” (1570) di Bartolomeo Scappi compare il “ferro da maccaroni”, un apposito arnese per tagliare la pasta. Il “ferretto” o “ferro“ è un antico e semplice bastoncino di ottone a sezione quadrata, utile per realizzare una tipica varietà di pasta casereccia chiamata fusilli o maccheroni al ferretto.
Nel XVIII secolo, i maccheroni non erano più prodotti a mano, ma iniziarono a essere prodotti con la macchina, che creò numerosi formati diversi di pasta.
Nel ‘700 a Napoli, grazie alla comparsa di macchine per la fabbricazione su larga scala, i maccheroni divennero alla portata anche del popolo. Agli angoli delle strade trovarono posto le grosse caldaia dei maccheronari, affiancate dal piatto di terraglia con la piramide bianca di formaggio grattugiato, solcata da righe di pepe. I maccheroni si affermarono prima come streetfood e poi come cibo gourmet.
Un osservatore francese scriveva “quando un lazzarone ha guadagnato le quattro o cinque monete che gli bastano per comprarsi i maccheroni, non si preoccupa più del domani e smette di lavorare”. L’immagine dello spiantato che, con la testa buttata all’indietro, si faceva scendere in bocca una manciata di pasta fece il giro d’Europa.
Assieme a racconti come quello citato c’è anche anche un vero e proprio testimonial d’eccezione che elevò i maccheroni a cibo di corte: il re Ferdinando I di Borbone. Un ospite irlandese della corte borbonica che aveva assistito a un pasto regale, lo descriverà così: “Li afferrava tra le dita, torcendoli e stiracchiandoli, e poi infilandoseli voracemente in bocca, disdegnando con la massima magnanimità l’uso di coltelli, forchette o cucchiai, o qualsiasi altro strumento eccettuati quelli che la natura gli ha gentilmente messo a disposizione”.
Il cibo cucinato in strada e mangiato con le mani era poco appetibile per i viaggiatori stranieri, ma era un fatto di folklore: il popolo partenopeo, fino ad allora definito mangiafoglie perché dedito ad un notevole consumo di cavoli e broccoletti, si vide affibbiare un nuovo soprannome, quello di mangiamaccheroni.
Fu poi nell’ottocento che i maccheroni si colorarono del pomodoro, generando specialità uniche al mondo. Da notare che ancora in quegli anni la pasta era identificata con il nome “maccheroni”, mentre il termine spaghetti venne registrato per la prima volta nel 1819, dal “Dizionario della lingua italiana” di Tommaseo e Bellini, che alla voce “spago” riporta anche la locuzione “minestra di spaghetti: paste della grossezza di un piccolo spago e lunghe come i sopracappellini”.
Secondo il linguista Giacomo Devoto il termine “maccheroni” deriva da “macco” una polentina di legumi, maccare e ammaccare stava, infatti, a significare: schiacciare per esser consumati. Esattamente come avviene per il frumento che viene ridotto in polvere per ottenere la farina fondamentale per la realizzazione della pasta.
Anche Cristoforo Messisbugo, cuoco alla corte estense nella prima metà del XVI secolo, parla, nell’opera Libro Novo, di un particolare arnese denominato ingegno per i maccheroni, cioè un marchingegno, un torchio per fabbricare la pasta. Quest’ultimo attrezzo meccanico per la formatura fu adottato in massa dai pastai napoletani i quali portarono, così, la fabbricazione su larga scala tanto da guadagnarsi, nel Settecento, l’appellativo di mangiamaccheroni.
Per quanto riguarda i condimenti occorre tener presente che solo nel XVIII secolo nacque la consuetudine di condire i maccheroni con salsa di pomodoro come riporta, per primo, il cuoco romano Francesco Leonardi nella ricetta dei Maccaroni alla Napolitana.
Il termine “maccherone” comporta, ancor oggi, notevoli differenze di tipo regionale e locale. In Abruzzo quando si parla di maccheroni ci si riferisce ai maccheroni alla chitarra, una pasta lunga a sezione quadrata, tagliata con un apposito strumento. In regioni come la Toscana e il Molise, i maccheroni sono identificati con pasta molto simile agli spaghetti o alle tagliatelle. In Calabria quando si tratta di maccheroni si intende la fileja, ossia un tipo di pasta lunga, come mezzo spaghetto, ottenuto arrotolando la pasta intorno ad un ferro, come del resto avviene in Sicilia. Mentre a Napoli i maccheroni si collegano al ragù nella ricetta codificata nel 1837 nel libro di Cucina teorica-pratica del gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti, il quale, tra l’altro, sancisce la regola della cottura al dente.
Tiziano Franzi
