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L’ACUTO – Cronache teatrali. Savona. Il “Rigoletto” che (quasi) m’aspetto. Nell’allestimento dell’Opera Giocosa prevale il dettato della tradizione, ma con indulgenze registiche ad effetti da Grand-Guignol


Vale la pena partire dal programma di sala, per parlare del Rigoletto andato in scena in prima serata il 7 novembre al teatro “Chiabrera” di Savona.

di Angelo Magnano

Un programma che, oltre a presentarsi nella curiosa impaginazione double face per ospitare anche l’introduzione al Gloria e al Beatus vir di Vivaldi, in cartellone il prossimo 13 dicembre, raccoglie i frutti del certosino lavoro che la musicologa e scrittrice Emanuela Abbadessa ha coordinato in diversi istituti superiori per avvicinare i giovani al capolavoro verdiano. Da tanti anni il teatro dell’Opera Giocosa sviluppa con professionalità e passione questo meritorio progetto nelle scuole di Savona e provincia, ma mai come questa volta la contaminazione fra le nuove generazioni e il mondo dell’opera ha prodotto esiti così interessanti.

Intorno al tema “Io e Rigoletto: storia di amori fragili”, i giovani studenti – detto per inciso in buona parte di origine non italiana – hanno offerto le loro personali interpretazioni del dramma verdiano, realizzando un’intrigante polifonia di letture tutt’altro che banali, riassumibili in sottotitoli come “Dentro una bolla” “Saper lasciare andare”, “Diversi, quindi uguali”, “Tre volti della violenza”.

Non saranno dotte dissertazioni di insigni musicologi, ça va sans dire, ma quelle si possono trovare in ogni dove, mentre è ben più raro leggere le risonanze che l’opera in questione ha suscitato in menti e cuori non ancora appesantiti dai pregiudizi dell’età adulta. Dieci e lode, quindi, ad un progetto che, condotto in questi anni con chiarezza di obiettivi, contribuisce realmente a ridurre il gap fra i giovani e la musica “forte”, come la definisce Quirino Principe.

Se invece si passa a ciò che si è visto in scena al “Chiabrera” il voto complessivo si abbassa di qualche punto, assestandosi tra il sei e il sette. A far scendere l’asticella è anzitutto l’allestimento, realizzato dal Teatro nazionale sloveno di Maribor con la regia di Pier Francesco Maestrini, le scene di Juan Guillermo Nova e le luci di Jean-Paul Carradori. Tutto ciò che ci si può aspettare dal più tradizionale dei Rigoletti non manca. Nessuna pretesa di attualizzazione della vicenda né velleità da “famolo strano”, e fin qui passi: Rinascimento è scritto nel libretto di Francesco Maria Piave, e la scenografia ci riporta nella consueta corte di Mantova, nella sordida casa-prigione del buffone e nella semidiroccata locanda di Sparafucile sulle rive del Mincio. Inoltre gli eleganti e sontuosi costumi – da chi ideati? – riesumano l’immaginario rigolettiano  che ogni melomane custodisce nella memoria. Insomma, tutto secondo convenzione, e forse non è male che perlomeno gli studenti abbiamo approcciato un allestimento non troppo spiazzante.

Quel che ha convinto meno è la lettura del regista Maestrini, che, con abbondanti effetti da Grand-Guignol (valga per tutti l’assassinio della custode Giovanna) e scivolate nella volgarità, ha voluto imprimere alla vicenda una tonalità estremizzante e “verista”, pigiando sul pedale di un erotismo sfrenato – ben più di quanto il libretto suggerisca – e sull’esibizione della violenza nelle sue molteplici varianti. D’accordo che la corte di Mantova non era certamente un collegio di educande, ma la forza drammaturgica del dramma verdiano non sarebbe venuta meno anche con un tocco più lieve. La stessa gestualità dei cantanti – talvolta lasciati a se stessi – non andava molto oltre il convenzionale e qui e là questi sembravano poco a proprio agio nei movimenti scenici richiesti dalla regia. Efficaci, per converso, le proiezioni video e i giochi di luce creati da Carradori, soprattutto nel terzo atto.

Il direttore Aldo Sisillo ha fatto valere la sua consumata esperienza nel cercare di compattare l’Orchestra sinfonica di Savona ma non sempre è riuscito nell’intento, cosicché il rapporto fra buca e palcoscenico si è talvolta mantenuto in precario equilibrio, mandando fuori tempo le voci o costringendole a spingere sul forte per non essere sovrastati dall’orchestra. Lo stesso coro del teatro dell’Opera Giocosa, preparato come sempre da GianLuca Ascheri, si è trovato ogni tanto nelle stesse difficoltà dei solisti. Da tradizione ed in linea con la regia erano le scelte di Sisillo di concedere ai cantanti le puntature non scritte da Verdi: ad approfittarne soprattutto il tenore Infantino, record di decibel negli applausi.

Molta curiosità aleggiava intorno al cast vocale, formato perlopiù da giovani di belle speranze. L’attesa, alimentata anche dalla proiezione del film “The opera! Arie per un’eclissi”, avvenuta pochi giorni prima al Nuovo Filmstudio, era soprattutto per il soprano italo-etiope Mariam Battistelli, interprete molto glamour (veste Dolce&Gabbana) della suddetta pellicola firmata da Davide Livermore e Paolo Gep Cucco. Avvenenza e presenza scenica non le mancano, il timbro è luminoso soprattutto nel registro centrale, ma quando s’inerpica su quello acuto la voce s’irrigidisce e diventa gessosa, con effetti poco piacevoli come nel finale della  “Vendetta”. Deve inoltre affinare l’interpretazione: il suo “Caro nome” era povero di sfumature e di poesia, ma a suo pro bisogna registrare un salto qualitativo nel terzo atto. Sempre sul fronte femminile, qualche fatica anche per il mezzosoprano Carlotta Vichi nel ruolo di Maddalena e per Elena Serra, chiamata a dar voce alla malcapitata Giovanna.

Pagelle migliori per il cast maschile. Giuseppe Infantino ha sfoggiato timbro brunito e acuti squillanti, disegnando un Duca sfrontato al punto giusto e mietendo gli allori più profumati nell’aria e nella cabaletta del secondo atto. Abbastanza convincente il giovane baritono Junhyeok Felix Park nel ruolo eponimo: voce bene impostata tecnicamente, registro centrale dalla limpida sonorità, qualche opacità nel registro grave. Deve ancora maturare sul piano interpretativo ed attoriale: la gestualità tradiva un che di “marionettistico” e nelle pagine più celebri – vedi “Cortigiani” – l’espressione difettava di calore drammatico. Ma il coreano dispone di non poche frecce nella faretra e può crescere. Sicuro e dal timbro corposo il basso Tiziano Rosati, convincente Sparafucile. Lodevoli, infine, i comprimari, con una menzione speciale per il Marullo di Dario Giorgelé. Nelle ripresa del 9 novembre, il coreano Junhyeok Felix Park ha scambiato il ruolo di Rigoletto con Diego Savini, Monterone nella recita del 7: ma non avendo assistito a questa recita, il giudizio resta sospeso.

Angelo Magnano


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