Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La piana di Albenga sulla strada del macello


Mi è capitato di entrare in un macello industriale, che trattava e tratta centinaia di bovini al giorno, a ritmo continuo. Il quadrupede entra intero ed esce a mezzene.

di Filippo Maffeo

Nel macello i manzi venivano avviati all’esecuzione uno dietro l’altro, in più file parallele, delimitate da barriere metalliche; file che, verso il traguardo, si riducevano e si risolvevano in una sola.

Gli animali quando entravano erano quieti, domestici, ruminavano per abitudine forse o perché in bocca avevano l’ultima biada. Avanzavano placidi, sino alla corsia singola, abbastanza lunga; quando stavano per entrarvi mostravano segni di inquietudine, rallentavano il passo, si fermavano.

Entrati nella corsia finale, quella della morte, da quieti che erano, cominciavano ad agitarsi, a muggire, a scalpitare, scuotersi, anche ad arretrare,per quanto potevano, essendo seguiti da altri avviati come loro allo stesso destino. Tutti agitati, qualcuno furente, eppure non potevano vedere il malcapitato, primo nella fila, che veniva stordito con un colpo di pistola in fronte, perché non soffrisse quando, poco dopo, alcuni metri più avanti, veniva fatto, letteralmente, a pezzi. Sentivano la fine, per istinto.

E gli operai addetti cercavano di ammansire, quietare tranquillizzare i malcapitati quadrupedi e di indurli a raggiungere, sereni, con le loro gambe, la pistola di stordimento, propedeutica allo squartamento.

Per ragioni che ignoro questo episodio mi ritornò alla mente mentre mi accingevo ad aprire l’articolo on line, che faceva il resoconto della visita ad Albenga del Commissario unico per lo spostamento a monte della ferrovia nella tratta Finale-Andora.

Un articolo ben fatto, completo, di semplice cronaca, senza commenti e di rapida lettura.

Giunto alla fine sono rimasto deluso, ma non sorpreso. Non che mi aspettassi chissà quali novità, ma di nuovo il commissario ing. Macello non ha annunciato proprio nulla.

In particolare non ha speso una parola per spiegare il motivo per il quale è assolutamente indispensabile che, proprio dove già esiste il doppio binario (da Albenga a Loano), si debba buttare letteralmente al vento quel che già esiste (e che funziona senza problemi, il doppio binario sul mare) e devastare quel poco che era rimasto indenne nella piana, sottraendo spazi all’agricoltura e deturpando  l’ambiente con nuove colate di cemento per viadotti, strade, massicciate e tutto ciò che serve per sostenere e far funzionare i nuovi binari ed il servizio.

Colate di cemento, ora, per l’infrastruttura.

Colate di cemento anche maggiori dopo, è facile prevederlo, per nuove seconde case, a ridosso del mare
e senza il fastidio della strada ferrata e rumorosa.

Il doppio binario tra Albenga e Loano. Una tratta che si vuole abbandonare. Una tratta negletta.

Anni fa, neppure troppi, quando la stampa illustrava lo spostamento a monte, circolava sui giornali una planimetria di progetto, nella quale l’intera tratta Andora Finale Ligure era segnata a binario unico.

Per gli smemorati riproduciamo la mappa, con l’elettronica è questione di un click.

Questa la planimetria, il tracciamento, o, per usare il lessico delle nostre ferrovie, il profilo di progetto:

Sostanzialmente coincide con le planimetrie che circolano oggi, quanto al percorso.

Nella legenda, come si vede (linea nera continua), la tratta tra Andora e Finale viene indicata, tutta, a binario unico, con la linea nera continua. Ma, nella realtà, i binari erano doppi, come tuttora sono.

Ed allora ci si chiede: chi ha elaborato il profilo di progetto, la planimetria, non conosceva la situazione di fatto?

Grave.

Oppure la conosceva bene e voleva, facendo, come si dice, carte false, ingannare chi a livello centrale, ignaro, doveva decidere e, a livello locale, chi non conosceva lo stato dei luoghi?

Grave, molto più grave.

Il Commissario può ben ignorare la genesi di questa planimetria e, quindi, non essere in grado di fornire delucidazioni.

Ma non ignora certo il dibattito in corso, con le ipotesi di nuovo tracciato o di nuove soluzioni che, in parte qua, sono state recentemente formulate.

Come quella, originale ed in astratto molto interessante, che prevede la conservazione del vecchio tracciato tra Albenga e Ceriale, con deviazione sotto il Capo di Borghetto, per raggiungere poi il nuovo tracciato sotterraneo a monte di Borghetto e Loano. Una soluzione mediana, tra tutto a monte o tutto nella sede attuale, una soluzione che sarebbe difficile da criticare, se tecnicamente attuabile.

Il Commissario non sapeva? E nessuno dei partecipanti all’incontro gli ha detto nulla? Anche due parole, potevano bastare ed invece neppure quelle. Un silenzio che ha il sapore di totale disinteresse se non peggio. Les jeux son faits, game over. E’ tutto finito.

Di fatto, comunque, giova ripeterlo, non sappiamo perché si deve mettere sottosopra la piana e non sappiamo neppure perché le proposte, per quanto estemporanee, non possono essere valutate, seppur in modo informale. Eppure parliamo di un’opera plurimiliardaria e di milioni di euro che potrebbero essere risparmiati, con benefici per le finanze pubbliche, l’ambiente e i proprietari delle aree interessate, che vedrebbero salve le loro case e le loro aziende.

In compenso apprendiamo che il Commissario ha un’idea precisa – fatte salve, bontà sua, eventuali diverse soluzioni- su come sistemare le aree dismesse: facciamo una bella pista ciclabile, anzi, dice testualmente, la ciclovia del Tirreno.

Pista ciclabile evidentemente è poco, meglio dire ciclovia. E non solo ciclovia, termine forse riduttivo, ma ciclovia del Tirreno, per usare l’espressione più adeguata.

Ciclovia del Tirreno.

Senti come suona bene, come allarga l’orizzonte e come impreziosisce l’opera.

Un’espressione che è anche uno slogan, suggestivo, allusivo, immaginifico.

Ciclovia del Tirreno

Evoca lunghi e meravigliosi viaggi sulla bicicletta, con vista mare, per centinaia e centinaia e centinaia ancora di chilometri. Luce, sole sulla testa (gradevole d’inverno, meno in estate) e tanta salute.

Come è bello andar sulla bicicletta e sulla ciclovia del Tirreno.

Si parte da Ventimiglia e poi Imperia e poi Albenga e poi, sperabilmente, Savona, Genova, La Spezia e poi giù, giù, la Toscana, il Lazio, la Campania, la Basilicata, la Calabria.

Tutte le Regioni della sponda a sud ed ponente ponente dell’Italia continentale, legate dal fil rouge della ciclovia, in attesa di ciclisti impavidi che inforcano la bicicletta a Ventimiglia e, volendo, se tutto andrà bene, potrebbero spingersi sino a Punta Pezzo, per vedere lo stratto di Messina e, quando sarà, anche il Ponte voluto tenacemente da Matteo Salvini.

Che senso avrebbe una ciclabile in Liguria se non fosse la ciclovia del Tirreno? Ciclovia è molto più di ciclabile, perbacco!

A spanne 1500 km di ciclovia. Un sogno ad occhi aperti, che abbaglia ed affascina e tutto travolge.

La fantasia vola, i polmoni si riempiono di salmastro. Quella Ligure è marina “forte”, per le colline che scendono a picco nel mare. In Toscana la situazione cambia, ma trovi pini dappertutto, da Castiglioncello a Castiglione della Pescaia ed anche prima e dopo.

La fantasia che vola, però, è solo quella degli altri.

Il cervello di chi scrive non ama le fantasticherie e neppure le fumisterie; preferisce restare con i piedi ben piantati ben a terra.

Quindi si smarca, rileva ed osserva.

Ciclovia del Tirreno? Ma quando mai?

Il Commissario, ad Albenga, una ciclovia del Tirreno non potrà mai farla, né lui né altri. Mai, proprio mai.

Il mare di Albenga, come quello della Liguria tutta, si chiama mar Ligure e non mar Tirreno.

Il Mar Tirreno non comprende, non assorbe il Mar Ligure. Il confine è segnato dalla linea che da Capo Corso va all’Elba e poi a Piombino, ben sotto gli stessi confini geografici della Regione Liguria.

Del resto quel mare, il Tirreno, si chiama così perché era il mare dei Tirreni, nome col quale i Greci designavano gli Etruschi.

E gli Etruschi nella Liguria non sono mai riusciti ad entrare, fatta salva una parte della costa Spezzina.

E Albenga, Albingaunum, anzi Album Ingaunum, e i Liguri in genere, con Genova, furono fieri ed invitti avversari degli Etruschi.

Albenga poi, in particolare, fu, poi, boccone difficile anche per il potente esercito Romano.

Famoso è rimasto lo sbarco della flotta di Magone, fratello di Annibale, proprio e non a caso ad Albenga.

Quindi, al più, ad Albenga e dintorni la ciclabile, dovrebbe chiamarsi “Ciclovia Ligure” o se si preferisce, Ciclovia del Mar Ligure, altro che Ciclovia del Tirreno.

Dalla Liguria, da Albenga e dintorni, il Tirreno non lo vedi neppure in lontananza, se resti sulla costa; è ben più in basso, a sud; è il mare posto tra la parte centro-meridionale dello Stivale e le due isole dirimpettaie, la Corsica e la Sardegna, sotto la linea che unisce Capo Corso e il promontorio di Piombino.

Fatta questa doverosa precisazione e digressione storica e geografica, ci chiediamo: ma davvero una “ciclovia” foss’anche del Mar Ligure o, nientepopodimeno del (Mar) Tirreno, compensa il sacrificio della Piana e l’enorme aggravio di spese per lo spostamento a monte?

Un treno in cambio di una bicicletta. Non sembra un baratto vantaggioso.

E che dire delle ormai mitiche “opere compensative“, ricordate dal Commissario? Continuano ad essere come la mitica Fenice, che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa.

50 milioni di compensazioni precisa e ricorda il Commissario; ma per fare che cosa e da chi?

Per ora fumo o poco più.

Così come restano fumosi i mezzi e le spese relative per garantire un mezzo di trasporto da e per Albenga città verso la nuova stazione di Bastia. Chi li gestirà, quanto costerà, quante navette sono previste, sia pure in via di massima?

E, comunque, alla fine, queste opere “risarcitorie” davvero compensano (e perché) la distruzione della piana? E i futuri mezzi di trasporto davvero saranno efficienti e non soltanto un semplice paravento?

Nessuna risposta, nessuna precisazione, nessuna spiegazione.

Il Commissario, infine, ha messo giù un’altra carta: i treni in circolazione aumenteranno, anzi raddoppieranno, da 60 a 120 al giorno.

E se anche fosse cosi, con 120 treni al giorno quante navette da e per la stazione servirebbero? E chi le pagherà?

Domande che restano senza risposta.

120 treni al giorno, in arrivo e partenza (forse) sui binari di Albenga.

Buffo. 30-40 anni fa sulla vecchia tratta ne circolavano molti più di oggi. Via via nel tempo sono stati ridotti per scendere agli attuali 60.

Non si può pensare che le ferrovie lo abbiano fatto a dispetto degli utenti o per farsi del male sotto il profilo economico.

Quindi il motivo è legato alla diminuzione dei viaggiatori, che, miracolosamente, però, dovrebbero domani aumentare, perché la percorrenza si riduce di ben 10 minuti o poco più.

Se oggi i treni sono sessanta, resteranno 60 anche dopo, suggerisce la logica.

Quanti, invece, saranno i viaggiatori che non prenderanno più il treno, perché non ci sono più le stazioni nel luogo di destinazione?

Già, il numero dei viaggiatori.

Si dice, frequentemente e da molti, che, laddove la ferrovia è stata spostata, siano diminuiti ed in misura notevole.

Sarebbe stato e sarebbe facile per il Commissario, o per chi sa e decide, smentire queste “dicerie”, bollarle come notizie false, tranquillizzando gli scettici e mettendo al tappeto i critici.

Non lo ha fatto, sinora, il Commissario. Non lo fanno i Sindaci.

Quindi?

La conclusione da trarsi è questa, facilmente intuibile: quelle sulla riduzione dei viaggiatori non sono dicerie ma constatazione, vere e veridiche.

Il Commissario, peraltro, fa il suo lavoro.

Come gli operai del macello devono quietare ed accompagnare i malcapitati quadrupedi alla pistola di stordimento, il Commissario deve tenere tranquilli gli interessati, le persone coinvolte, sino al completamento dell’opera.

Poi, quando sarà realizzata, varrà la regola del “cosa fatta capo ha” e non si potrà tornare indietro.

Filippo Maffeo

Nota di Trucioli.it: magistrato in pensione, è stato Pretore di Albenga, sostituto Procuratore della Repubblica a Imperia e giudice a Savona.


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F. Maffeo

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