Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Diocesi di Savona-Noli. Magia ed Inquisizione. Rivelazioni in due faldoni nel XVI e XVII secolo


Molto si è scritto e detto sulla (Sacra) Inquisizione, uscendo spesso dalla mera analisi storica per finire nella “Leggenda Nera”, sottolineando e amplificando le torture ed i roghi, tralasciando le cause e le motivazioni che li avevano provocati.

di Giuseppe Testa

Soprattutto manca di completare un ritratto antropologico degli uomini e donne del tempo che praticavano una medicina antica e che di colpo vennero equiparati a streghe e maghi, in combutta con i diavoli.

Il ritrovamento- Ritrovare, dopo lunghe ricerche in archivi polverosi, del materiale interessante è già cosa difficile. Ritrovare tutto di un colpo due faldoni che contengono decine di indagini preliminari degli Inquisitori (indagini che serviranno eventualmente ad “istituire” il processo, del Tribunale dell’Inquisizione) è un colpo di fortuna. Questi faldoni contengono casi di medicina popolare, di magia bianca e nera”, e poi esorcismi, evocazioni spiritiche, stregoneria, filtri d’amore, divinazioni, e molto altro. Prima di tutto è basilare un accenno alla storia dei due faldoni che raccolgono i documenti dai quali abbiamo estrapolato la maggior parte delle carte utilizzate in questo lavoro.

Inizialmente, tutta la corrispondenza ed i documenti prodotti dalla Diocesi e dalle varie parrocchie veniva e viene ancora oggi classificata in due categorie: Actorum e Diversorum. Al primo reparto sono destinati tutti i casi riguardanti la condotta del clero, le scelte procedurali, i pareri, le sentenze etc. Nel secondo viene inserito tutto ciò che è escluso dal primo, quindi suppliche, corrispondenze tra parroci, frammenti di processi. Come si può intuire non si tratta di una divisione netta, ma a volte di scelte aleatorie e molto discrezionali. Per questo spesso gli studiosi locali hanno preferito scorporare i due fondi secondo nuovi criteri, selezionando i documenti in base ai toponimi o alle parrocchie, o alle date di inizio dei processi. Questo ci fa capire come nei fondi delle parrocchie siano confluiti i documenti più disparati, a discapito di quella che poteva essere la collocazione originaria.

Fino a pochi anni or sono un archivista poteva gestire in modo abbastanza elastico il fondo di sua competenza.  Poteva rivedere la catalogazione e riordinarlo secondo un criterio logico, magari più attuale e moderno rispetto a quelli usati in precedenza, per essere adeguato ad una più organica consultazione. Fino al secolo scorso, per conseguire l’incarico di archivista, ritenuto un ruolo di prestigio, spesso era indispensabile la laurea, ed un periodo di tirocinio (lungo alcuni anni) in un archivio, svolto senza retribuzione. Era necessario conoscere il greco, il latino, la paleografia, la storia, e i classici della letteratura. Si doveva essere in grado di tradurre e trascrivere i documenti, classificarli e posizionarli nel modo corretto.

Oggi gli archivi sono ritenuti un Bene Nazionale e gestiti dallo Stato con criteri uniformi decisi e controllati da una Soprintendenza Archivistica, che detta delle linee guida. Un archivio oggi deve essere ordinato, inventariato, agibile, ma all’operatore che lo gestisce è vietata l’iniziativa personale, come lo scorporo dei fondi, anche se questo può apparire logico e sensato. Questa precisazione serve a chiarire la nascita dei “Faldoni Inquisizione” presenti in ASD a Savona, che sono “nati” nella seconda metà del secolo scorso proprio per una iniziativa (allora concessa) del gestore dell’archivio. E’ presumibile che sia stato don Mario Scarrone a razionalizzare secondo il suo criterio il fondo diocesano. Autore di un eccezionale lavoro, come prete, archeologo, studioso e archivista, egli pensò e creò un nuovo fondo, detto allora “Armadio dei processi dell’Inquisizione”, dove fece convergere tutti i documenti, che fuoriuscivano da un suo poderoso riordino dei fondi Actorum e Diversorum, che trattavano di istruttorie, lettere, interrogatori, comunicazioni e istruzione dei processi inerenti la stregoneria e l’eresia.

Grazie a questo lavoro, la nostra ricerca è risultata molto più facile e veloce di quella che avremmo dovuto intraprendere se così non fosse stato. Per quello che riguarda la nostra diocesi, nel periodo preso in esame, dalla metà del 1500 alla metà del 1600, fino ad oggi si ha notizia di 24 processi, di cui solo 5 vennero istruiti, cioè quelli per i quali è documentata una sentenza, essi furono seguiti dai vicari foranei, e solo quello contro Caterina de Bono, nel 1608, risulta affiancato da un vicario del Santo Offizio. Il processo venne poi abbandonato perché il fatto non sussisteva.

Dopo aver inquadrato il periodo storico, che ci permette di collocare gli eventi nella giusta prospettiva e di osservare i fatti scevri dal giudizio moderno; abbiamo scelto alcune vicende che più di altre ci hanno incuriosito. Abbiamo trascritto i testi in maniera fedele, rispettando le righe e le colonne delle pergamene, scegliendo come criterio quello di dividere gli interrogatori come indicato nel titolo tra “streghe” e “preti” e seguendo rispettivamente per ciascun “gruppo” un ordine cronologico. Una parte dei documenti è scritta in latino e si tratta in genere delle domande poste dall’Inquisitore o dal suo vicario; le risposte agli interrogatori, invece, sono quasi sempre in italiano volgare, ma a causa delle traduzioni dal dialetto, a volte il testo risulta contorto, poco chiaro e spesso di difficile interpretazione. Per questo motivo, e per dare la possibilità a chi lo desiderasse, di leggere gli atti in maniera integrale, la trascrizione dei documenti è stata messa in appendice. Fa eccezione il procedimento contro il parroco di Portio, del quale si pubblica solo il riassunto, in quanto si tratta di un carteggio veramente molto lungo ed estremamente ripetitivo. I fatti e gli eventi contenuti nei documenti, sono stati proposti in forma discorsiva di brevi racconti, dove i riflettori sono puntati sulla particolarità di alcuni aneddoti e sulla curiosità di certe pratiche, senza mai perdere di vista il contesto storico nel quale queste vicende si dipanano. Di seguito alla storia sono stati inseriti ed approfonditi alcuni aspetti simbolici ed alcune particolarità legate all’uso di oggetti rituali, alle pratiche di guarigione e all’utilizzo di piante ed erbe necessarie nei riti magici. Non sempre la documentazione è completa, spesso mancano delle pagine, a volte non si tratta neppure di processi veri e propri, ma solo di indagini, interrogatori o raccolta di testimonianze. Conoscere il nome e cognome di questi personaggi e leggere le loro storie ci ha reso più empatici nei confronti di questi uomini e queste donne, trasformando un mero documento in uno spaccato di vita quotidiana, dove paura, povertà, invidia, malattia e guarigione e talvolta ingenuità ci trasmettono un caleidoscopio di emozioni e sentimenti che travalicano lo spazio e il tempo.

Nuovo e straordinario impulso della Chiesa alla “caccia alle streghe”- Già durante le prime fase del Concilio di Trento, apparivano chiare le direttive verso cui intendeva indirizzarsi la Chiesa Romana, la quale invece di accogliere alcune istanze dei “riformatori”, irrigidì ancor più la sua posizione inviando decreti e regole di comportamento a cui tutti dovevano attenersi. Il documento che segue, inviato dall’Inquisitore genovese ai cittadini savonesi, reca l’obbligo di notifica ad ogni singola parrocchia. Non sappiamo, ma poco importa ai fini della trattazione, se questo monitorio sia il primo di questo tenore. Questo decreto è un invito alla delazione (…chi sapesse…), e appare pure minaccioso (… che persona alcuna, ardischi dar favori consiglio o, aiuto…). Da questo momento si acuisce la “caccia alle streghe” e maghi, divinatori, eretici, indovini e guaritori, verranno identificati grazie alle denunce che seguivano solitamente l’affissione di questi avvisi alle porte delle chiese. Il numero di persone coinvolte si allargherà a macchia d’olio: è iniziato il tempo che non conosce più tolleranza. 

Decreto Inquisizione 6 giugno 1551- Per parte del Reverendo Priore Fra Hieronimo da Genoa dell’ordine dei PadriInquisitori e delegato Ap.lico di Genoa e di tutta la ill.ima (… illegg …) 

Si comanda ad ogni huomo e dona habitante in Saona e in tutto il distretto di essa città di Saona che debbiano manifestarsi le infrascritte cose ad esso Padre Inquisitore sotto pena di excomunicazione (in prima…cancellato) infra sei giorni. 

  • In prima chi sapesse niuna persona che fosse heretica, o, sospetta di heresia per qualunque setta dannata dalla Santa Romana Chiesa e principalmente della setta luterana
  • chi sapesse qualcheduno che avesse commesso idolatria, fusse incantatore o, divinatore, o, sortilego cò qualche manifesta heresia
  • chi sapesse qualche persona che fussi strìa, o strìone malefico e incantatore diabolico.
  • Chi sapesse alcuno che avesse libri luterani, o altri libri danati dalla Santa Chiesa Romana, o havessiro havuto e ritenuto per qualche tempo li debbano manifestare e portare ad esso Padre Inquisitore
  • Si comanda sotto la pena scritta che persona alcuna, ardischi dar favori consiglio o, aiuto a persona luterana, o, in qualche modo sospetta di heresia né impedischi lo ufficio della Inquisizione in modo alcuno 

Et molte altre cose che richiede ordina e comanda detto Padre Inquisitore in favore della santa Fede cattolica e chi vuole (vedere?) il … che il tutto contiene, legga i punti monitorij (delle ammonizioni) quali staranno affissi sopra le porte della chiesa di S. Pietro e su molte altre chiese principali di Saona.

Alcuni casi 1555 – Gentile Pessana di Segno viene interrogata dal vicario Generale Granella a seguito di una denuncia per pratiche superstiziose, parte quindi un monitorio per tutti i cittadini: chi sapesse che in Segno si facciano simili cose, chi conoscesse persone che di notte vanno nei cimiteri o tengono in casa ossa di morto o fanno danni ai bambini o bestiame, è obbligato a denunciarle. Il “Monitorio” è una lettera con cui l’autorità ecclesiastica, minacciando di scomunica o altra pena, ingiunge di denunciare tutto ciò di cui si è a conoscenza rispetto ad un determinato fatto. Gentile Pessana viene accusata di far ammalare i bambini di “seccare le ossa”, di trasformarsi in lepre o capretta rossa e naturalmente di avvelenare col cibo, procurando malori e morte. Una donna infatti dopo aver mangiato una focaccia e una fetta di torta offerta dalla Pessana, dichiara  di essere  stata colta da un tremore “che pareva de quelli ballarini che vanno ballando per lo mondo e per un mese in circa appresso stetti cossì sottosopra, né poteva mangiar né bever, ma stava con gran pena di continuo al core, al fine pigliai tre matine acqua fresca con l’alicorno et in capo di tre matine me dettero a bever certa lexia fatta de cenere de poàze (legni vari di potatura, utilizzati per fare la cenere da bucato) et in continente gettai fora per bocha certe erbe che parieno fresche, come se alora le avesse mangiate”.

E’ curioso notare che la donna aveva in casa un antidoto contro i veleni come l’alicorno. Fin dal Medioevo si credeva che il corno a spirale dell’unicorno, l’alicorno appunto, fosse un potente antidoto contro i veleni. La pratica dell’uso anti-venefico di questi corni, che erano in realtà dei falsi ottenuti dalla lavorazione di rari denti di narvalo, corna di orice o intagliando ossa o corna di diversi animali, ebbe larga diffusione nell’Europa Medievale. Nell’inventario del tesoro di papa Bonifacio VIII del 1295, venivano menzionati quattro corna di unicorno, lunghe e contorte, utilizzate per fare l’assaggio di tutto ciò che veniva presentato al papa. L’unicorno che compariva spesso raffigurato nei Bestiari medievali, uscirà dalla lista degli animali esistenti solo con l’avvio della scienza naturalistica.

Di Gentile Pessana si dice anche che balla di notte con altre streghe, e tutti gli abitanti di Segno hanno paura di lei e ben trentuno sono i testimoni che la accusano davanti al Vicario. La donna si difende da sola negando tutte le accuse, tranne quella di usare certi rimedi contro le malattie accompagnati da formule che sono quelle tipiche usate dai guaritori tradizionali.

Riportiamo di seguito alcune di queste formule, che vengono chiamate historiole, e che sono solitamente in rima per facilitare l’apprendimento mnemonico. Negli interrogatori gli inquisitori insistono spesso con i testimoni, affinchè ricordino le parole precise che i guaritori o le guaritrici dicono durante il rito; si tratta per lo più di preghiere, ma a volte sono piccole storie in rima, dette appunto historiole. Questi brevi racconti parlano di Gesù o di Santi, i quali mentre si recano in qualche luogo si trovano ad affrontare un “accidente”. Quando il guaritore recita la filastrocca, egli ritorna in “hillo tempore”, cioè al momento in cui il fatto ha avuto origine, in questo modo si può intervenire modificando il corso degli eventi, si può ristabilire un nuovo equilibrio e restituire la salute al malato.

Se alchuno homo o dona ha alcuna bixera, gli dixe tale parole per farnela andare: Bixia serpentina per una via se ne andava. Jesu Christo se intopava: Onde vai bixia serpentina? Jo vado nella carne de l’homo e de la femina. Tornate indietro bixia serpentina; te ne andrai in Mescina (La Mecca), te ne andrai in Babilonia, te farano le corne, ti te dislocherai come fa la giasa al sole in lo lavezo”. Il lavezo potrebbe essere la forma dialettale di lavezzo, una pietra metamorfica di epizona, detta anche pietra ollare. E’ possibile che per estensione il nome della pietra sia passata ad indicare il contenitore costruito con la pietra stessa.

Questa filastrocca, accompagnata probabilmente da segni e gesti, doveva servire ad allontanare bisce e serpenti o eventualmente a curarne i morsi.

Gentile Pessana riferisce anche una formula per guarire il male agli occhi: “La Vergine Maria per una via se ne andava; lo so figlio in braccio che portava, una rama de oliva in li ochii li incontrava; e gle li insegnava et gle li incantava con quella rama. Et li segnava con doe dite dicendo uno delli doi, delli trei, delli 4, delli 5, et poi li copre il male con la mano stesa dicendo: Con la sua santa parmixella (il piccolo palmo della mano di Gesù Bambino.) se l’è lo reo male che debia manchare et se è il porpo che si ne debia andare”.

Si vedrà in seguito anche l’importanza della numerologia nelle guarigioni. Il processo a Gentile Pessana durerà circa tre anni, al termine dei quali la donna, nonostante le pesanti accuse, verrà assolta, ma condannata a pagare le spese processuali; una condanna comunque piuttosto grave per una povera contadina.

1572- Le sorelle Madina e Pellegrina Conte di Bergeggi vengono incarcerate nelle prigioni della podesteria di Vado in seguito ad una denuncia per aver maleficiato e fatto morire un bambino.

Seguono molte altre testimonianze, con le quali si accusano le due donne di aver “affaturato” (fare una fattura, cioè una magia o un sortilegio a danno di una persona) bambini e adulti, di avere lanciato il maleficio ad una donna facendole perdere il latte e di conseguenza di aver causato la morte del figlio che non poteva più essere allattato. Di aver avvelenato attraverso il cibo, in particolare con l’offerta del maiale cotto e Madina è accusata adirittura di essere sparita rendendosi invisibile. Di Pellegrina si dice che che risana una bambina che non voleva succhiare il latte materno e che dopo il suo intervento “retornò subito sana et gagliarda et cominciò a tettare”. In tutti i processi l’accusa di maleficio è associata al potere di rendere la guarigione; per questo coloro che curavano attraverso erbe, unzioni, o semplici parole, erano visti con sospetto dalla Chiesa e dalla comunità.  Il “terrorismo psicologico” che i predicatori facevano dai pulpiti durante le prediche, non faceva che rinforzare i sospetti verso quelle persone ritenute dotate di poteri particolari. Per le due sorelle, il processo termina con la messa al bando per tre anni dai territori della Repubblica di Genova, poi su richiesta dell’avvocato difensore l’interdizione viene limitata alla sola podesteria di Vado, che comprendeva anche il territorio di Bergeggi. Nella sentenza non viene più menzionata la stregoneria, è evidente quindi l’intenzione di allontanare Madina e Pellegrina dai luoghi in cui avrebbero potuto essere ancora molestate e perseguitate.

1608 Caterina de Bono di Quiliano, si presenta spontaneamente davanti al Vicario generale della Curia Episcopale di Savona e il Priore del convento di San Domenico e si autodenuncia: “Signori, quando io ero fanciulla di anni otto circa, stando con mio padre e mia madre al molino del quondam Christoforo Garavagno in loco detto Tre Ponti sopra la fine de Quiliano, venne in detto molino, ove ero io, una donna, nominata Lamia Salvagina, qual abita in detta contrata di Tre Ponti, che ora non so il suo cognome, e mi disse se volevo andar con lei che mi faria acquistare un galante e mi daria dinari, e me ne diede alquanti che non mi parsero come gli altri, e poi mi menò in un loco lontano, in un ritano dove era del aqua e vi era un noce (il noce è da sempre un albero legato alle streghe, famoso è quello di Benevento, intorno al quale si celebrava il grande Sabba, al quale partecipavano tutte le streghe d’Europa) e mi cominciò a far ballare con un giovine, che comparve ivi vestito di negro, e poi detta Salvagina mi fece montare con li piedi sopra la Croce e poi mi fece biastemare Iddio  e rinegarlo, e detto giovine sonava con un tamburo, e poi detto giovine mi bassò e mi butò in terra e fece di me quello volse, e mi fece inginocchiare e poi bassare le sue parti vergognose, e mi fece giurare sopra una cosa negra, poi detta Salvagina mi ritornò a casa et dal hora in qua ho continuato fino al presente, che sono d’anni 19 incirca et in questo tempo ho guastato da cinquanta figlioli, de quali ne sono morti quatro; di più ho guatato da otto in dieci animali e fatto negare quattro barche o sia gondole; ho fatto tempestare cinquanta volte; però ho fatto danno alla raccolta tre volte et in questo tempo ho continuato la pratica carnale con detto giovine vestito di nero, che si domanda Martino, di giorno e di notte et ancora il Venerdì Santo e prossimo, passato et anche la notte passata”. Alla richiesta che tipo di malefici usa per “guastare” le persone, Caterina risponde:” Pigliamo delle foglie d’oliva e palma benedetta, del lilio, del aqua benedetta, sangue de vespisordi, bagii, scorpioni, cera benedetta, del orina, ossa de morti de’ figlioli picoli et animali, e le pestavamo tutte insieme in un mortaro et le portavamo con noi in una pignata, e le gettavamo adosso delle creature e animali col dire: “Possi tu morire e crepare”.

Dopo aver fatto l’elenco di parecchie altre donne che la ragazza dice siano streghe, Caterina supplica di essere perdonata per emendarsi e vivere cristianamente. Negli interrogatori successivi Caterina esagera davvero aumentando in maniera esponenziale il numero delle donne che praticano stregoneria e quello dei bambini uccisi che a conti fatti, forse supera addirittura il numero degli abitanti stessi. Nelle dichiarazioni della ragazza è evidente come convergano tutti quegli elementi che concorrono a formare lo stereotipo della strega. Non manca nulla; dal rigetto alla fede cattolica alla consacrazione al diavolo con bacio alle parti intime e congiungimento carnale, al volo ai raduni, al maleficio a bambini e adulti, alla preparazioni di pozioni mortali, al provocare tempeste e uccidere gli animali. Nonostante la confessione gli inquisitori si rendono conto che la ragazza non dice il vero e non danno neppure inizio all’istruttoria.

Dunque, nell’arco di cento anni, nella diocesi di Savona-Noli si susseguono giudici che sanno esaminare i fatti e discernere la realtà dalla fantasia, con un metodo che potremmo definire elastico e distinguendo sempre la magia diabolica da quella naturale. Per tanto se non viene riconosciuta la presenza del diavolo i verdetti portano all’assoluzione. Tutti i processi sono stati condotti da magistrati ecclesiastici ordinari e non da inquisitori; questo perché nel 1472 papa Sisto IV della Rovere, con la bolla (o breve) Sincerae devoctionis affectus, concedeva ai savonesi, suoi concittadini, il privilegio di essere giudicati esclusivamente dall’autorità diocesana.

Ambrogio Gariglio di Quiliano, viene interrogato sotto giuramento e gli viene chiesto se egli cura i malati con incantesimi. Egli risponde che quando qualcuno prende una storta egli lo cura con le seguenti parole:

Messer Santo Paulo allo boscho

  se ne andava, con la sua  manera,(roncola con grossa lama)

si ben  tagliava, si ben boscava

  e lì niente gli manchava

  quando è stato a mezo

   la via ha misso lo

   piede sopra a una pietra

   e la pietra si è volta

   e lo suo nervo se destorto

   messer Dominedio se contrato

   e gli dice: o Paulo va va

   tornate in dietro, e

    lavatelo d’ acqua e salatelo

    de sale, e allo sole

    levato lo tuo nervo sarà

    aconciato et allo sole

    stramonto sarà aconso”.

Il Vicario lo minaccia di scomunica, perché ciò è contro gli ordini da lui dati di non fare incantesimi. Viene infine condannato al pagamento di due scudi.

Questo caso è estremamente interessante, in quanto possiamo eccezionalmente leggere le parole della “segnatura” contro le storte. Le parole usate durante le guarigioni sono infatti segretissime, anche quando i segnatori le “passano” alla persona scelta, generalmente la notte di Natale, vengono scritte su di un foglio che viene bruciato dopo averle imparate a memoria. A quel tempo difficilmente la gente sapeva leggere e scrivere, per questo motivo erano sempre in rima, poiché questo rendeva più semplice l’apprendimento mnemonico. Si noti che l’avvenimento è riferito a san Paolo; come spesso accade, queste “historiole” hanno come protagonisti i Santi o la Madonna o Gesù, poiché questo sarebbe il fatto” mitico” accaduto per la prima volta e dal quale la malattia ha avuto la sua origine, recitando la filastrocca, si torna indietro nel tempo fino a raggiungere quello che potremmo definire il punto zero e da lì ogni cosa è possibile, persino alterare gli avvenimenti e portare la guarigione. Siamo quindi di fronte ad una “segnatura” che ha oltre cinquecento anni e che ci svela un segreto custodito per secoli. Esiste una pratica simile anche presso le sperse comunità siberiane, dove gli sciamani, per ritrovare l’armonia e l’unione con l’anima del mondo ed ottenere la guarigione, durante la trance si collegano ad un tempo mitico nel quale si ritrovano le favole delle origini che hanno portato in essere le cose per la prima volta. Queste favole, venendo narrate nuovamente, hanno il potere di cambiare le cose.

Gerolamo della Torre di Albisola

Inquisito per evocazione di spirito

(su istigazione di Giacomo de Obertis, di Pinerolo)

1565

(ASD- fondo inquisizione) 

Documento XI

Gerolamo della Torre di Albisola viene interrogato e presta giuramento sotto pena di scomunica.  Gli viene chiesto se presso casa sua o di altri ritiene che ci sia uno spirito diabolico o pitonico (nell’antica Grecia la Pizia era la sacerdotessa di Apollo che dava i responsi nel santuario di Delfi. Per siprito pitonico si intende quindi uno spirito profetico o divinatorio) egli risponde che circa otto mesi prima, era a casa sua Giacomo de Obertis di Pinerolo, il quale gli disse di aver modo di far apparire uno spirito e fargli fare ciò che desidera, ma non volendo egli credergli, de Obertis gliene diede prova. Mandò a chiamare un bambino, figlio di Bernardino Soffiotto, gli sporcò la mano con la fuliggine della pentola e poi la unse di olio, poi disse tre Padre Nostro, uno sopra l’orecchio destro, uno sopra al sinistro e il terzo in mezzo alla testa, e subito lo spirito si materializzò sulla mano del bambino. De Obertis per tramite del bambino fece chiedere allo spirito di apparecchiare da mangiare per il suo re e che poi lo facesse venire. Il re comparve e mangiò, mostrandosi al bambino, il quale chiese che lo spirito facesse venire un libro, sopra il quale il re avrebbe giurato di dire la verità (forse la Bibbia?) e di esaudire tutto ciò che che gli sarebbe stato chiesto. Così il bambino comandò al re da parte di Dio di rivelare il segreto per guarire la podagra (la gotta), poi il re diede uno scritto al bambino, il quale vedeva le lettere e le dettava a de Obertis che le scriveva ad una ad una, ma non riuscì mai a capirne il significato e neppure il confessore del duca al quale le mostrò in seguito. De Obertis, chiese inoltre se in Albisola ci fosse qualche tesoro nascosto, e gli venne risposto che il tesoro c’era ed era in un determinato punto della casa. Essi allora lo cercarono ma non lo trovarono, poi de Obertis chiese allo spirito molte altre cose che gli servivano. Nonostante queste manifestazioni, Gerolamo della Torre rimane comunque incredulo e decide pertanto di fare egli stesso una prova. Chiama una sua figlia vergine, le sporca e le unge la mano, dice i tre Padre Nostro, fa portare da mangiare e poi il libro per far giurare lo spirito e poi fa comandare alla figlia per parte di Dio e per il giuramento, di dire la verità riguardo alle cose che avrebbe chiesto. Quindi chiede se è possibile guarire dalla sua malattia e lo spirito dice di sì, quindi avendo asma e tosse e il petto chiuso, gli viene detto di prendere dell’incenso di breno e con esso profumare una stoffa e poi metterla in testa la sera prima di andare a dormire inoltre di ungersi lo stomaco con olio di mandorla dolce e un altro olio (un buco nella pergamena non consente di capire di che olio si tratti) ponendo poi sopra un panno caldo e pare che questo gli facesse bene.

Viene interrogato se egli fa queste divinazioni anche per altre persone, soprattutto per Antonio Saettone, egli risponde di no. Gli viene chiesto se presta fede a tali spiriti, risponde che crede solo alle cose buone che vede ma al resto no, ed ancora viene interrogato per quale motivo ha fatto queste cose, Gerolamo risponde che è solo per guarire la sua infermità che è quasi incurabile.

Il vicario che lo interroga è molto preoccupato che tale cosa sia risaputa e chiede di dire distintamente chi era presente durante le evocazioni, se queste cose sono a conoscenza di molti, se ci sia pubblica voce e se il popolo di Albisola abbia subito scandalo. Gerolamo afferma che quando hanno rotto il muro per cercare il tesoro erano presenti una dozzina di persone.

Gerolamo della Torre viene ammonito di non osare mai più fare tali cose, pena la scomuica. Viene richiesta una cauzione di 25 scudi. Viene sentito anche il bambino poiché il vicario vuole ordinargli cose utili per la salvezza della sua anima. Non abbiamo notizie della sentenza definitiva.

Evidentemente né Gerolamo della Torre né Giacomo de Obertis sono maghi molto esperti, essi infatti agiscono, uno per stupire l’amico e l’altro per ritrovare la salute. I rituali di alta magia infatti, soprattutto quelli per le evocazioni diaboliche, prevedono rituali piuttosto complessi, conoscenze di astrologia per individuare giorno e ora nei quali svolgere i riti, la preparazione di un cerchio di protezione e la consacrazione degli strumenti prima della cerimonia. Ciò nonostante, almeno de Obertis qualcosa di magia doveva sapere, egli infatti usa un bambino come tramite, poiché si pensava che essi avessero a lungo la fontanella aperta e quindi fossero un buon canale per comunicare col mondo degli spiriti, ma colui che li evoca si deve sempre proteggere e in questo caso i tre Padre Nostro hanno probabilmente questa funzione. La mano sporca di fuliggine e olio, prepara probabilmente l’arrivo dello spirito come se da essa grazie a questi elementi potesse sprigionarsi un piccolo fuoco, forse un fuoco fatuo. Inoltre ogni spirito è sottoposto ad un re che è più potente. Nel famoso Grimorio medievale “La piccola chiave di Salomone”, esiste un capitolo che insegna come portare alla luce tesori nascosti grazie agli spiriti che conoscono i nascondigli e li custodiscono. Ma spesso gli spiriti richiedono dei sacrifici in cambio, che consistono in sangue o carne di animale.

Siamo a conoscenza che nel libro di don Botta “La riforma tridentina nella diocesi di Savona” è pubblicato uno stralcio dell’interrogatorio a Giacomo de Obertis, proveniente da un documento non presente in questo carteggio. … Giacomo de Obertis sa evocare gli spiriti.Tenge la mano d’uno puto o puta vergine della tenta della padella, et poi dice uno o 2 sino in 3 pater nostri sopra la testa di quel puto, tanto che appare il spirito in la mano tenta del puto il quale li fa amasar un crastone (un animale castrato) et poì di morto lo fa scorticare et coxer et che parechi la tavola et che poi li comanda faci venir il suo re con la corona in testa et che poi li comandi che il suo re mangi, mangiato faci venire il libro et poi li fa iurar al re d’ogni cosa che li sia domandato di dir la verità et così il re iura; et se li domanda per via del figliolo quel che si vole ; così il re iura promettendo dir la verità”. Nella descrizione del rito per l’evocazione diabolica, si fa riferimento all’uccisione di un castrato, che scorticato e cotto viene dato da mangiare al “re” dello spirito evocato. Non sappiamo se i personaggi della vicenda avessero mai letto il libro di incantesimi sopra citato, ma qualcosa sull’argomento dovevano avver appreso, anche se solo per trasmissione orale. 

Interrogatorio a Stefano Borgera prete di Quiliano

Anno 1598 5 aprile

(ASD- fondo inquisizione)

Documento XV – 

Stefano Borgera è un prete di Quiliano, dopo aver ascoltato una predica durante la Quaresima si confessa spontaneamente e ammette di aver fatto alcuni incantesimi consigliato da un compagno. I predicatori dall’alto die pulpiti, invitavano la gente a denunciare i sospetti di eresia o stregoneria, a volte seminando panico e terrore tra gli abitanti dei paesi; è probabile che il prete si sia spaventato in seguito ad una predica e per questo si sia autodenunciato. Il primo incantesimo descritto è quello per suscitare il desiderio in una donna. Si scrivono con inchiostro, sulle unghie delle dita di una mano le seguenti parole: staron, chion, speon, aspran, cordalì. (non si conosce il significato di queste parole, forse nomi di diavoli) Poi si stringono le dita a pugno e si recita una formula: „scongiuro vos principes vestros ut eatis in hac nocte ad N. et faciatis me visibiliter cognoscat ut sic fiat fiat fiat“ „obbligo per giuramento voi principi vostri perchè andiate questa notte da…(si pronuncia il nome della donna) e che facciate  in modo che io possa conoscere visibilmente perchè così avvenga, avvenga, avvenga“. Il prete dichiara di aver fatto l’incantesimo due o tre volte, ma di non aver mai verificato se esso funzionasse veramente. Un’altra pratica simile, sempre per ottenere che una donna arda d’amore, è quella di scrivere alcuni segni e parole, ma questa volta su di un uovo di gallina.

Bisogna accertarsi che l’uovo sia di giornata e che ci sia la luna crescente e dopo aver scritto le parole sull’uovo, esso va messo nel focolare e dopo averlo ben coperto di brace bisogna recitare la seguente formula:“Così come arde questo ovo, così arde il core di… (bisogna pronunciare il nome della donna). Queste parole e  questi segni sono di estremo interesse, poichè alcuni di essi sono molto simili a quelli die pentacoli descritti dalla “Chiave di Salomone“, un antico libro di incantesimi, soprattuto quelli di Marte e Venere; è possibile che nell’originale tali disegni fossero inscritti proprio  dentro ad un pentacolo (pezzo di metallo, di carta o altro materiale, recante caratteri magici, racchiusi talvolta in una una stella a cinque punte usato un tempo per gli incantesimi).

Stefano Borgera riferisce anche di una filastrocca che aiuta le donne a partorire: “Susanna partorì Anna, Anna partorì Maria, Maria partorì il Salvatore, esci fuori bambino, esci fuori bambina, che Gesù ti ha chiamato alla vita eterna“. Questa cantilena è una vera e propria “segnatura“ , ve ne sono di molto simili anche in Sardegna, e servono per curare il mal di testa e liberare dal Malocchio. Naturalmente il ricordare le nascite e le discendenze ha lo scopo di riportare il fatto accaduto alle origini del mito, dove le cose sono state generate per la prima volta e da lì „rigenerare“ la guarigione. Le „magie“ usate dal prete sono molto gravi, anche se egli dice di non averle insegnate a nessuno e di non credere che possano funzionare, tranne  per l’incantesimo del parto, in questo caso dichiara che non appena recitata questa preghiera la donna alla quale era rivolta, partorì velocemente. Stefano Borgera viene infine assolto con penitenza, ma non abbiamo notizia di quale tipo di penitenza si tratti.

Tutto ciò sopra trattato, e molto altro, è diventato una pubblicazione. Questo libro, scritto con materiale estratto dai faldoni dell’Inquisizione contenuti nell’Archivio Storico Diocesano di Savona, tralascia i verdetti degli eventuali processi, qualora istruiti, e si focalizza sugli interrogatori della fase istruttoria. Questo ci rivela quali erano le accuse rivolte agli indagati e soprattutto quali erano i riti e le pratiche svolte da questi. Guaritori, maghi, streghe, ammaliatori e indovini sono costretti a rivelare procedure fino ad allora coperte dal più assoluto riserbo, come operassero, come avessero appreso il loro sapere, intimoriti dall’Autorità del Tribunale dell’Inquisizione. Questi documenti, vecchi di quasi 500 anni, spalancano anche a noi le porte di quel mondo magico e sconosciuto, oggi apparentemente smarrito o forse solo nascosto tra le pieghe del nostro inconscio.

Giuseppe Testa


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G. Testa

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